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Concorsi pubblici: l’amministrazione tecnocratica targata Brunetta

Sin dal primo aprile, giorno della pubblicazione del decreto sullo stato d’emergenza, sui social network sono impazzati tra i candidati ai concorsi della pubblica amministrazione indetti nell’ultimo periodo prepandemico, i commenti al vetriolo sulla sortita del Governo con l’intento di riformare, ma meglio sarebbe dire rivoluzionare, le assunzioni nello Stato e negli enti pubblici. Poche righe inserite in un intervento legislativo con provvedimenti provvisori, che è bene ricordare valgono per la sola fase emergenziale, ma che potrebbero rappresentare un punto di non ritorno.

L’irritazione da giorni monta non solo tra i concorsisti, ma trascina anche chi a vario titolo è coinvolto nei processi di preparazione alle prove preselettive così come le conosciamo fino ad oggi, con quesiti a quiz e multidisciplinari, talvolta di cultura generale e tese a misurare le capacità logiche.

Docenti considerati da anni punti di riferimento della fiorente editoria in materia, esperti di tecniche di risoluzione e capacità mnemoniche, hanno espresso il loro disappunto, arrivando anche ad invitare le migliaia di candidati che li seguono a sottoscrivere ed inviare lettere o petizioni. E la politica, seppur con qualche giorno di ritardo, sembra stia cominciando a raccogliere il dissenso con interventi di vari esponenti dell’esigua opposizione superstite, e anche della maggioranza di governo, in cui vengono espresse riserve.

Un crescendo di critiche dettate dalla consapevolezza che ridurre gli adempimenti procedurali nei concorsi pubblici, eliminando di punto in bianco la prova preselettiva come modalità di prima scrematura, riconoscendo una buona dose di discrezionalità alle singole commissioni giudicanti e di fatto liberalizzando le valutazioni dei curricula, in un paese quale l’Italia, che non ha mai brillato per incorruttibilità e pari opportunità, lungi dal rappresentare uno strumento per selezionare i migliori, potrebbe trasformarsi in una clava per abbattere gli intrusi figli di un Dio minore o figli proprio di nessuno, con “l’ingenua” ambizione di accedere ai ruoli della pubblica amministrazione confidando esclusivamente su studio, buona volontà e preparazione.

Quindi oltre ai titoli di studio e professionali, questa nascitura riforma, se consolidata dalla prassi legislativa anche in un tempo speriamo non lontano privo di carattere emergenziale, potrebbe premiare altre italiche usanze, non esattamente ascrivibili tra le virtù.

Le decisioni politiche, soprattutto quando afferenti all’organizzazione della pubblica amministrazione, non vengono assunte mai per caso, ma sempre in funzione di indirizzi strategici che prefigurino un apparato al servizio di predeterminati interessi o scopi.

Per capire il piano del ministro Brunetta in molti hanno cercato di basarsi sul bando per 2800 tecnici destinati alle amministrazioni meridionali e sulle sue dichiarazioni.

Nel bando le assunzioni sono a tempo determinato, come pure lo furono per migliaia di navigator voluti dal ministro Di Maio nel 2019; quindi l’impiego pubblico non sarebbe concepito come l’opportunità di una vita ma solo un lavoro temporaneo, precario. Da queste scelte emerge l’idea di uno Stato che non contribuisce attivamente alla diffusione della stabilità lavorativa.

Così le sbandierate centinaia di migliaia di assunzioni, mentre gli uffici pubblici sono al collasso per mancanza di personale, potrebbero rivelarsi meri incarichi a tempo, ad esclusione del comparto istruzione, dove si registrerà per il prossimo anno scolastico il primato di cattedre vacanti non assegnate, e dove quindi le assunzioni a tempo indeterminato saranno ineludibili, anche se stiamo assistendo ad una inspiegabile ritrosia a stabilizzare il personale docente già in servizio.

Ma al di là di questo, con l’invito implicito nel decreto stesso a porre l’accento sul possesso dei titoli di studio e professionali, si profilerebbe il rischio di lasciare ai margini coloro che privi di laurea potrebbero comunque contribuire al funzionamento della macchina amministrativa, eventualmente in ruoli non apicali, a meno che non si voglia dare un’impronta dirigistica agli uffici pubblici con attività prettamente tecnico specialistiche prive di un contatto diretto con la cittadinanza. In questo modo verrà meno lo spirito di servizio che dovrebbe animare la pubblica amministrazione, forse nella prospettiva di appaltare sempre di più le mansioni a stretto contatto con il pubblico, così da offrire opportunità ad imprese incaricate.

D’altra parte quest’ultima tendenza sarebbe in linea con la politica di liberalizzazioni e privatizzazione degli ultimi anni. Tale orientamento mira ad organizzare in forma privatistica gli stessi organismi pubblici in un’ottica di gestione verticistica e discrezionale. Brunetta si è spinto, entrando nel merito stesso dei metodi concorsuali, ad affermare che criteri basati sulla valutazione personale sarebbero più opportuni di un quiz a crocette tipico dell’esame per la patente auto.

Se è vero che il questionario a risposta multipla non è idoneo a misurare diverse capacità del candidato, oltre alla conoscenza puntuale di specifici contenuti, è comunque un mezzo veloce che consente una correzione automatica con modalità meccanografiche, trasparente e facilmente verificabile, che non lascia spazio a soggettività e decisioni arbitrarie dell’esaminatore.

La scelta di maggiore discrezionalità nelle selezioni potrebbe presentare dei problemi anche dal punto di vista della legittimità costituzionale e sarebbe in contraddizione con i criteri di imparzialità e trasparenza nell’organizzazione dei pubblici uffici, che le norme degli ultimi anni stanno perseguendo a livello nazionale ed europeo.

La questione è spinosa e non priva di contraddizioni, tuttavia l’obiettivo di semplificare le procedure concorsuali per renderle tempestive in fase emergenziale tradisce intenzioni ben più ampie di trasformazione del pubblico impiego in nome della semplificazione.

Le procedure tramite quiz, graduatorie e prove plurime, che vengono liquidate come burocratiche e farraginose nell’accesso ai ruoli pubblici, pur se non efficienti al massimo grado, rischiano di essere l’ultimo baluardo all’arbitrio del potere governativo nella pubblica amministrazione. Un po’ come la democrazia stessa, è la peggiore forma di governo, ma la migliore fra quelle finora sperimentate.

Foto di Jaime Lopes da Pixabay 

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