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Come trovare un’Italia d’amare

"Ho toccato l’Italia col piede destro" è la sorprendente autobiografia del giornalista italo-uruguaiano Federico Guiglia (www.alibertieditore.it, 2009).

Come trovare un'Italia d'amare

Il noto giornalista di La 7, che ha condotto la trasmissione “Otto e Mezzo” insieme a Lilli Gruber, possiede una scrittura poetica, essenziale, molto fluida. Il bilinguismo congenito gli ha consentito di purificare e distillare la lingua italiana con uno stile molto originale. Ad esempio del suo incontro con Papa Giovanni Paolo II ha scritto: “Non so se emanasse santità – di questo non m’intendo - , ma emanava qualcosa di ancora più divino: umanità”. Inoltre Guiglia è stato il primo giornalista a intervistare Carlo Azeglio Ciampi in Tv al Quirinale.

L’oriundo Guiglia è perdutamente innamorato dell’Italia, ma bisogna considerare che parla da italiano che ha vissuto gran parte della sua giovinezza in Uruguay e a Merano, città di cultura tedesca che si è pure risparmiata la violenza politica degli anni ’70. Il giovane Guiglia da buon uruguaiano, ai partiti aveva sempre preferito le partite e ha scoperto la passione politica in Italia. La sua prospettiva non è mai stata molto classificabile anche se ha sempre incarnato la tranquillità del vero spirito ribelle. Si potrebbe considerare un anarchico di centrodestra. Afferma di sé stesso: “Provo un’invincibile ripugnanza per i carri dei vincitori, per chi li guida, per chi ci salta sopra, per chi li festeggia. Ho nei confronti del potere un’avversione perfino inspiegabile, perché istintiva” (p. 62). Forse è una persona semplice e molto liberale o semplicemente un uomo molto libero.

Questo libro molto coinvolgente è consigliabile a tutti i genitori separati o divorziati, e ai loro figli, per le tematiche complesse che si affrontano e la narrazione molto limpida e istruttiva: Guiglia “è stato costretto a essere libero da bambino. Costretto alla libertà: potente paradosso”. Solo gli adulti possono capire “che torti e ragioni non si possono tagliare con l’accetta. La verità esiste, ma non sta mai da una parte sola. Entrambi i miei avevano torti profondi nel rapporto fra loro. Non dovevano, tuttavia, riversarli sui figli per ripicca… Lasciateli fuori, i figli. Non è vero che una separazione risolva alla radice il problema dei rapporti affettivi dei padri separati coi figli. Dipende dal “come” ci si separa, dalla civiltà delle relazioni che sopravvive tra gli ex coniugi, da quanto si è costruito insieme prima di lasciarsi. Dipende, soprattutto, dal tempo che passa, amara, ma sana medicina. Dare tempo al tempo: nient’altro che questo chiedono i figli ai genitori che non capiscono” (p. 21 e 48). E in certi casi “nessuno deve più sapere, nessuno deve più soffrire per un passato che non torna” (p. 86).

Nonostante tutto, Guiglia può vantare un’esistenza da perfetto romanzo del ventunesimo secolo. E può celebrare una vita molto intensa e dinamica con la classica storia d’amore cinematografica espressa molto bene in questa frase: “Con Daniela volavo, dunque, verso il futuro del mio passato, atterrando nello stesso aeroporto dal quale ero fuggito, otto anni prima” (per venire in Italia).

Montanelli è stata la figura centrale della vita professionale di Guiglia: questo grande protagonista dell’Italia di ieri, ha assunto Guiglia senza avere nessun rapporto di conoscenza o di amicizia col padre e senza nessun altro tipo di raccomandazione. Oggi Guiglia è una persona distinta che dimostra tutta la sua professionalità in giro per il mondo e probabilmente sarà uno dei grandi protagonisti dell’Italia seria di domani. Infatti nel 1999 Guiglia fa una scelta molto coraggiosa e poco italiana: rifiuta le garanzie dell’agognata posizione da dipendente e diventa un giornalista indipendente senza l’obbligo dell’esclusiva. Motiva così la sua decisione: “Nessun direttore del pianeta avrebbe più potuto dirmi di fare questo o quello, sollecitarmi a prendere la valigia e partire subito per un servizio, indicarmi di intervistare Caio o di seguire l’iniziativa di Sempronio. Con nessun editore del pianeta avrei più dovuto trattare da direttore” (p. 189). Così il professionista rimette in discussione sé stesso e il certo per l’incerto, convinto che la libertà e “la mescolanza di idee, sia un bene per chi dà e per chi riceve”. 

L’animo indipendentista dello scrittore si ribella anche contro le vigliaccherie generalizzate contro l’Italia: “Anche quelle in apparenza innocenti, come la nenia del tutto va male (lo dicevano la destra quando governava Prodi e la sinistra quando governava e governa Berlusconi), con l’unico esito di nascondere le cose che vanno realmente male. Bisogna invece estirpare la mafia col bisturi, che è il cancro nel mezzogiorno. Bisogna invece denunciare il civismo zoppicante, che è incompatibile con la civiltà dei valori italiani che si tramanda da generazioni. Bisogna invece risanare i conti dello Stato, l’eredità in rosso della prima Repubblica” e anche della seconda.

L’autore racconta anche l’amarezza politica maturata durante l’attività di cronista parlamentare: “Mi accorgevo che di rado i migliori italiani facevano politica, purtroppo. Sia perché la consideravano, a torto una perdita di tempo. Sia perché non erano disposti, a ragione, a prendere ordini dai galoppini di partito o da chi comandava, prepotente nel Palazzo. E poi, diciamola tutta, era più comodo stare a guardare da fuori, senza impegnarsi civicamente… Poi scoprivo che deputati e senatori non si dividevano fra partiti, ma si dividevano in base agli umori personali, agli interessi, alle convenienze… mi rendevo conto della superficialità del legislatore… Se un governo non cerca di rendere un po’ più felici i cittadini, non ha senso che governi, mi pare” (p. 138 e 139).

Tra i tanti episodi di questa esistenza molto travagliata, cito l’aneddoto del cartello appeso all’interno di un’ambasciata italiana dove “lo Stato preferiva ammonire (meglio: minacciare) il cittadino inconsapevole, invece che punire il funzionario maleducato, cioè non all’altezza del servizio che doveva rendere a tutti, e per il quale era pagato” (p. 65). Quindi in fondo in fondo anche questo italiano atipico ammette che l’Italia dimostra troppo spesso tutte le sue asperità.

Comunque Guiglia è riuscito a trovare un’Italia d’amare e ha creato una lingua d’amare. Però un paio di rondini non fanno primavera e c’è ancora molta strada da fare per incontrare l’Italia tanto desiderata dagli italiani. Diamo tempo al tempo…

Pensierino finale: comunicare facile è difficile e Guiglia è un fuoriclasse. E quando un fuoriclasse comunica nei libri e in internet, la responsabilità è più grande: la scrittura può essere visibile per molti anni, può sopravvivere alla persona che l’ha ideata e può vivere di più della società che l’ha diffusa.

Federico Guiglia è ancora “un ragazzo di provincia” nato nel 1959 a Montevideo, in Uruguay (la Svizzera dell’America Latina). Ha lavorato per Il Giornale di Montanelli, per Rai International e ha scritto numerosi libri. Attualmente è libero professionista: conduce la trasmissione Prossima Fermata su La 7 (dopo il Tg della notte), collabora con La Gazzetta di Parma e altri giornali storici. Vive a Roma (www.la7.it/guiglia).

Nota – La lingua italiana “è una delle cinque, a volte quattro lingue straniere, più studiate nelle scuole e nelle università del pianeta… Ancora oggi i cittadini italiani, singoli oppure organizzati, sono più forti, più avanti delle loro istituzioni perfino all’estero”. Uruguay è un nome indio che significa “il fiume degli uccelli dipinti”. Il significato originario di Italia è quello di terra dei vitelli (che dopo pochi mesi dalla nascita diventano carne da macello come i cittadini dopo le elezioni).

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