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Circoncisione e diritti umani inviolabili

La recente sentenza del tribunale di Colonia che ha stabilito che la circoncisione di un neonato per ragioni di carattere religioso e non, ovviamente, sanitario, è un reato, ha affermato la prevalenza del diritto del minore all'integrità fisica su quello dei genitori in materia di educazione religiosa.

Questa sentenza, dunque, ripropone di tutta evidenza il secolare dibattito su cosa debba intendersi per individuo; se fattore costitutivo di esso sia l'appartenenza a soggetti collettivi, come la comunità religiosa (di cui la precettistica è un elemento indefettibile), appartenenza che contribuisce a definirne l'identità, senza la quale l'individuo non potrebbe sviluppare alcuna consapevolezza di sé e del mondo circostante o se, viceversa, questi debba considerarsi un soggetto autodeterminantesi, a prescindere, quindi, dai condizionamenti sociali e culturali, che lo Stato anzi deve ridurre il più possibile, per permettergli, al compimento della maggiore età, di scegliere volontariamente le diverse appartenenze identitarie.

Avremmo immaginato che a tale dibattito avrebbero preso parte i più convinti paladini dei diritti umani, diritti pretesi universali e quindi non comprimibili dalle diverse confessioni religiose particolari, vale a dire, ad esempio, i dirigenti dei Radicali italiani e del Partito radicale transnazionale, come anche molti opinion makers della grande stampa d'opinione, proclamantesi liberale.

Ed invece il silenzio, forse consigliato dalla, peraltro comprensibile, condanna della sentenza del tribunale di Colonia da parte della comunità ebraica tedesca.

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