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Cina, sostegno pubblico al mercato azionario

Il panda e l'orso: in risposta al declino delle borse per cause fondamentali e geopolitiche, le autorità cinesi valutano l'istituzione di un fondo di stabilizzazione per sostenere la fiducia degli investitori

Mentre prosegue la discesa degli indici azionari della borsa cinese, per motivazioni fondamentali che è difficile confutare, le autorità starebbero valutando l’ipotesi di creare un fondo di stabilizzazione, la cui missione sarebbe quella di supportare la fiducia degli investitori attraverso acquisti di azioni nel mercato la cui capitalizzazione è oggi di 9.500 miliardi di dollari.

La misura, che potrebbe non concretizzarsi, appare in questa forma come il classico intervento dal tetto per raggiungere le fondamenta. L’economia cinese ha evidenti problemi, dal crollo al rallentatore dell’immobiliare, che coinvolge la finanza pubblica locale, sino all’eccesso di capacità produttiva di molti settori manifatturieri. Tutto congiura a favore di un grande movimento di disinvestimento da parte degli investitori occidentali, anche per effetto delle crescenti tensioni geopolitiche. Dai massimi del 2021, l’indice CSI 300 ha ceduto circa il 40%.

Csi 300 Oct 23

Nel frattempo, gli acquisti azionari da parte del cosiddetto National Team di entità pubbliche sono evidenti nei dati relativi ai maggiori Etf cinesi, che in agosto hanno avuto influssi netti per circa 12 miliardi di dollari. Le posizioni, a oggi, sono ovviamente in perdita.

DÉJÀ VU, MA NON ESATTAMENTE

Un intervento a supporto di quotazioni cedenti sarebbe l’apparente riedizione di quanto visto nel 2015, quando l’indice CSI 300 perse il 40% nel giro di due mesi, equivalenti a 5 mila miliardi di dollari di capitalizzazione, costringendo entità pubbliche a intervenire a sostegno. Quel crollo azionario venne effettivamente riassorbito in più di un anno ma oggi le condizioni fondamentali appaiono ben differenti. Secondo stime di Goldman Sachs, il cosiddetto National Team avrebbe in posizione Etf per un valore pari al 3,5% della capitalizzazione del mercato azionario cinese.

Nel frattempo, in attesa dell’atteso pacchetto di sostegno fiscale che tuttavia tarda a materializzarsi, e con allentamenti di politica monetaria molto cauti che non si scaricano appieno sui tassi che le banche commerciali praticano alla clientela, il fondo sovrano cinese Central Huijin, che controlla di fatto le maggiori entità economiche del paese, ha aumentato la propria partecipazione nelle quattro maggiori banche pubbliche. Sinora appare una misura simbolica, con un investimento complessivo stimato in circa 65 milioni di dollari, ma si ritiene che ulteriori acquisti verranno effettuati nei mesi a venire.

Per tentare di supportare il mercato azionario, nelle scorse settimane le autorità cinesi hanno effettuato interventi minimali e non fondamentali, come la riduzione delle commissioni di intermediazione e delle tasse sulle compravendite. I problemi restano tutti sul tavolo, o meglio sotto il tappeto: primo fra essi lo scoppio della bolla immobiliare, con Evergrande e Country Garden attese alla resa dei conti che produrrà la loro messa in liquidazione con la necessità che fondi pubblici rilevino le attività, per evitare traumi economici e sociali. Del dissesto degli enti locali e dei loro veicoli fuori bilancio, che produrrà un travaso di debito dalla periferia al centro, abbiamo già detto.

NAZIONALIZZARE I COCCI

Per compensare lo scoppio della bolla immobiliare, le autorità stanno spingendo, al solito, gli interventi infrastrutturali, in particolare lo sviluppo di nuove linee ferroviarie, e istruendo le banche ad aumentare il credito alla manifattura. Ovviamente, come segnala Michael Pettis, non c’è alcuna garanzia che tale riallocazione del credito determini un aumento di produttività di sistema.

Si conferma quindi la crisi del modello di sviluppo cinese, con i conseguenti rischi di deflazione di debito che iniziano a rendere il dibattito pubblico piuttosto simile a quanto visto da noi intorno al 2008-2010.

Riguardo agli acquisti azionari da parte di entità pubbliche, la Cina non è né il pioniere né il maggior attore in campo, al momento. Ad esempio, la Bank of Japan acquista da anni Etf del mercato domestico, e si stima abbia in posizione l’equivalente del 6% della capitalizzazione di mercato, quindi all’incirca doppia rispetto alla consistenza attuale dell’intervento cinese. Ma, ribadiamolo, l’azione di Pechino si verifica in un momento di crisi strutturale, e appare un tentativo di sostituire i capitali esteri, che sono in uscita dal paese, proprio mentre le condizioni di eccesso di capacità produttiva di molti settori insistono a produrre pressioni deflazionistiche.

Questa crisi di sistema risulterà ovviamente molto costosa, per le casse pubbliche cinesi. Dal più grande esperimento anarco-capitalista dei nostri tempi alla progressiva rinazionalizzazione delle parti dell’economia che stanno ammalorandosi, una robusta nemesi si abbatte su Pechino.

Foto di 995645 da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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