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Chiaiano, la vera eredità del governo Berlusconi

Quasi tre anni di esercizio ed oltre 700 mila tonnellate di rifiuti stoccate in una cava dove intorno insiste un abitato di 200 mila persone: questo il bilancio di quasi tre anni di sversamenti nella cava di Chiaiano, quartiere facente parte dell'ottava municipalità di Napoli e a ridosso delle cittadine di Marano e Mugnano. Berlusconi puntò su questa "discarica modello" per risolvere l'emergenza rifiuti e costruirsi il consenso iniziale che contraddistinse il suo governo subito dopo le elezioni del 2008. A poche settimane dalla sua chiusura, è ora di fare un bilancio di quella che è diventata l'ennesima pesante eredità per Napoli e il suo territorio.

L'annuncio arriva a pomeriggio inoltrato, una settimana fa: la discarica di Chiaiano chiuderà definitivamente i battenti il 31 dicembre di quest'anno. I comitati della zona, presenti in massa sotto la sede dell'Amministrazione provinciale di Napoli, hanno festeggiato la tanto attesa notizia arrivata dopo tre anni di massicci sversamenti.

Bisognerà cominciare già da subito alla futura bonifica. Berlusconi, nel 2008, parlò di “prati e boschi” sopra le montagne di spazzatura. Al momento, tuttavia, non esiste alcun progetto di bonifica della cava di Chiaiano e molti sono certi che tutto verrà lasciato nelle attuali condizioni. E proprio Chiaiano è il simbolo dell'ex governo Berlusconi. Questo perché sulla discarica napoletana l'ex premier puntò molto, facendone diventare il luogo chiave su cui giocarsi la risoluzione dell'emergenza rifiuti in Campania. Grazie a Chiaiano e alle altre discariche aperte “manu militari”, la città di Napoli ritornò temporaneamente pulita e permise al Pdl di conquistare consensi e di piazzare in Provincia e in Regione, rispettivamente nel 2009 e nel 2010, i deputati Luigi Cesaro e Stefano Caldoro, dopo svariati anni di amministrazione del centrosinistra. Poi le discariche si sono di nuovo esaurite (a velocità sospette) ed ora ci ritroviamo a cercare ancora nuove cave dove depositare i rifiuti per i prossimi anni, prima dell'ennesima crisi.

Ma come fu scelta la cava di Chiaiano, da molti dichiarata non idonea a causa della sua posizione troppo ravvicinata alle abitazioni e della sua struttura tufacea? Il primo a proporre Chiaiano come luogo per costruire una nuova discarica fu l'ex commissario ai rifiuti Gianni De Gennaro, nell'aprile 2008. Chiaiano, ex casale agricolo alle porte di Napoli ed ora quartiere di periferia, venne indicata dal nuovo governo come uno dei siti scelti per sversare. Per far valere le ragioni del governo centrale a maggio del 2008 si presentò uno schieramento di forze dell'ordine mai visto nemmeno nelle più agguerrite retate anticamorra. Oltre mille tra poliziotti, carabinieri e guardia di finanza vennero inviati per sedare le rimostranze della popolazione, contraria all'apertura del nuovo invaso; altre 150 unità dell'esercito furono mandati a presidiare una cava di tufo trasformata per legge in area “d'interesse strategico nazionale”. L'anticamera di ciò che poi si sarebbe verificato con la Tav in Val di Susa.

Le televisioni e i giornali mostrarono all'Italia gli scontri e le barricate innalzate dagli abitanti, dando immediatamente per scontata la presenza della camorra dietro le proteste. L'house organ di Berlusconi, il Giornale, riportò un fantomatico “tariffario” con cui i clan avrebbero pagato i manifestanti in base alle violenze commesse; la Repubblica scriveva di “professionisti”, “braccio armato della rivolta”, “prezzolati dei clan” con un tono da racconto di guerra; Cronache di Napoli parlò addirittura di “sparatorie” contro la polizia; il Mattino, infine, pubblicò uno studio commissionato dalla Protezione Civile guidata dall'allora capo Bertolaso sugli effetti benefici che l'apertura della discarica avrebbe comportato per la stabilizzazione del suolo e delle acque. Chiaiano venne definito “esempio nazionale di come gestire una discarica” da molti rappresentanti istituzionali. Poi, il 5 maggio scorso, la Procura sequestra la discarica e indaga 10 persone (tra cui Vitale Diener, direttore tecnico della Ibi e dipendente della Regione). Motivo: infiltrazioni della camorra. Le ditte che ci hanno lavorato sarebbero collegate ai clan Mallardo e Zagaria e avrebbero utilizzato argilla non idonea per impermeabilizzare il suolo. Ad accusare i titolari delle società è il pentito Gaetano Vassallo, una delle figure chiave della gestione criminale dei rifiuti in Campania. Alla faccia dell'esempio nazionale.

La Ibi Idroimpianti ottenne nel 2008 l'appalto della Protezione Civile (sebbene si fosse classificata solo terza nella classifica delle offerte pervenute) e subappaltò parte dei lavori alla ditta Edilcar di Giugliano. Entrambe le società erano già note ai carabinieri del Noe per aver gestito insieme la discarica di Masseria degli Schiavi, poi sequestrata perché controllata dai casalesi. Il particolare inquietante (ma nemmeno tanto, in verità) è che in base alle intercettazioni, i dirigenti delle società sapevano già da tempo, ben prima dell'ufficialità, quale sarebbe stato il luogo della nuova discarica. Questo perché alcuni terreni adiacenti alla cava che sarebbe poi stata scelta appartenevano proprio alla famiglia Carandente, titolari della Edilcar. Terreni su cui, successivamente, sarebbero stati collocati gli uffici della società per gestire da vicino i lavori. La Edilcar, poi, avrebbe gestito la discarica mescolando terreni contaminati e argilla fuorilegge prelevata da alcune discariche abusive e utilizzata per la impermeabilizzazione. Il rischio, elevato, è l'infiltrazione del percolato laddove è collocata il principale luogo di accumulo della falda acquifera di Napoli. Saranno i carotaggi disposti dai magistrati a verificarne le condizioni.

Questa inchiesta è stata un fulmine a ciel sereno? Mica tanto. Dinanzi alla commissione ecomafie, il comandante del Noe per il Sud, Giovanni Caturano, il 15 maggio affermò: Ho detto in premessa che quella di Chiaiano è stata una delle poche indagini condotte in tempo reale: seguivamo Chiaiano dai tempi in cui era stato individuato un primo sito in provincia di Benevento la cui proprietà era di un soggetto vicino al clan Pagnozzi, camorrista della Valle Caudina, tra Avellino e Benevento, e abbiamo subito verificato. Da lì si è arrivati a Chiaiano, su cui inizialmente facemmo monitoraggio. Innanzitutto facemmo una verifica delle particelle catastali per capire di chi fosse la proprietà e ci saltò all'occhio Carandente prima ancora che partisse l'appalto. Era un soggetto a noi noto per altre attività illecite in materia di traffico di rifiuti, per cui partì un'informativa”. La magistratura, secondo Caturano, venne informata mesi prima dell'apertura della discarica (avvenuta a inizi del 2009), ma l'inchiesta è partita soltanto quando ormai la cava era quasi satura. Che siano stati motivi di natura burocratica o altro, i magistrati sono arrivati tardi. Se c'è stato un crimine, è stato già consumato.

Ci sono molti lati oscuri su questa vicenda. In primis, la legge 123 del 2008 che autorizzava lo smaltimento di rifiuti industriali pericolosi nelle nuove discariche. Quanto di questo materiale è stato effettivamente dirottato nella cava? La scelta di affidare la sorveglianza della cava all'esercito è funzionale a questo tipo di traffici?

Se gli indagati sapevano già da diversi mesi della loro sicura vittoria nella gara d'appalto, in che modo essa si è svolta? Proseguendo nella sua audizione, Caturano dichiara: “Sull'operato della Protezione civile non posso interloquire perché materialmente non avevo «attività tecniche» sulla Protezione civile, solo le imprese sono state di nostra competenza. Non ho potuto documentare alla magistratura quello che accadeva all'interno della Protezione civile nell'aggiudicazione delle gare. Me ne duole perché, ribadisco, ci sono state delle anomalie che non abbiamo potuto riscontrare, ma c'erano in quanto effettivamente gli imprenditori già sapevano delle particelle, che alcune di quelle particelle non sarebbero state utilizzate come discarica. Loro hanno fatto un sopralluogo a Chiaiano, nella parte iniziale ci sono gli uffici, particelle della famiglia Carandente Tartaglia, che effettua i lavori di movimento terra all'interno della discarica, la quale famiglia sapeva che quelle particelle non sarebbero state toccate. Restano, dunque, anomalie cui non abbiamo dato risposta, purtroppo.” Se gli imprenditori già sapevano, necessariamente qualcuno delle istituzioni li avrà informati. Chi?

La cava, inoltre, era di proprietà dell'Arciconfraternita dei Pellegrini, un ordine monastico legato alla Curia napoletana. E anche il cardinale Sepe non si oppose al diktat del Governo. Così come il procuratore Giandomenico Lepore, accusato da alcuni magistrati di non aver voluto inquisire Guido Bertolaso per timore di gravi ritorsioni politiche (circostanza però smentita dallo stesso Lepore). E poi le rivelazioni di Rosaria Capacchione sul Mattino.

Un labirinto in cui è difficile muoversi. Tuttavia fa specie pensare che possano esistere tanti misteri intorno ad una discarica e in un territorio che, fino a prova contraria, è sottoposto alle regole della democrazia.

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