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 Home page > Attualità > Economia > Chi ha fatto il taglio del cuneo fiscale?

Chi ha fatto il taglio del cuneo fiscale?

L'ha fatto il governo italiano, nella persona del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, o l'ha fatto il Partito Democratico, col precipuo scopo di racimolare voti in vista delle europee? Se non è stata pura imperizia, non si può che pensare malignamente ad una miliardaria manovra di voto di scambio con gli italiani: niente di personale contro il taglio del cuneo fiscale, anzi; però il modo con il quale si è proceduto a farlo lascia adito a più di qualche dubbio.
Notoria è l'esigenza di abbassare la pressione fiscale, giunta al 45% circa del PIL, notori sono i "lacci e lacciuoli" che l'Europa impone, Alias Fiscal Compact e, nel dettaglio, la soglia del 60% del rapporto debito pubblico-PIL e il famigerato tetto del 3% nel rapporto deficit-PIL: meno noto è il modo ottimale di allocare quella poca larghezza finanziaria che possiamo permetterci sotto la sovranità despota dell'UE.

Questo articolo proporrà le alternative possibili a quella lanciata da Renzi, ossia l'intervento preponderante sull'IRPEF e una magra diminuzione del 10% dell'IRAP.

Il contribuente medio con un minimo di contezza si sarà reso conto del diverso modo di applicazione delle imposte: l'IRPEF è applicata in base al reddito mediante scaglioni c.d. aggiuntivi e, quindi, è un'imposta progressiva, ossia colpisce in base al reddito posseduto; l'IVA, invece, colpisce il patrimonio, nella forma di una manifestazione di ricchezza (come l'acquistare dei fazzoletti di carta). Abbiamo, quindi imposte "eque" e imposte "inique", perchè colpiscono indiscriminatamente tutti coloro che manifestano questa ricchezza.
Imposta "iniqua" è anche l'IRAP, l'imposta regionale sulle attività produttive, che si applica su una base imponibile che considera il numero di lavoratori impiegati come manifestazione di ricchezza.

Ora che si è in possesso di questi dati, dove sarebbe convenuto intervenire?
Da escludere subito è un intervento esclusivo sull'IRAP, come invocato da Confindustria: legittima è la pretesa di alleggerire il carico fiscale sulle imprese (tra l'altro arrivato a circa il 50%) per permettere loro di superare la tempesta perfetta della crisi; meno legittimo sarebbe stato conferire un vantaggio così indiscriminato alle aziende, le quali sarebbero state libere di profittarne nel modo a loro più gradito: non per forza il versante dei lavoratori.

I cultori dell'economia, e non, saranno già a conoscenza del grande divario tra CLUP (costo del lavoro per unità produttiva) italiano e tedesco, quest'ultimo di gran lunga inferiore al nostro: può essere abbassato in 3 modi:

-diminuendo i salari rispetto alle ore lavorate;

-diminuendo i lavoratori in organico;

-tagliando il cuneo fiscale sul lavoro.

Perchè le imprese devono optare per la terza e "sprecare" il vantaggio loro concesso sul lavoro, quando ci sono strumenti come la cassa integrazione, i contratti di solidarietà, il nero, per ottenere un calo del costo del lavoro?

Il problema si sarebbe potuto efficacemente bypassare mediante una comune e condivisibile proposta:intervenire soltanto sulla componente lavoro dell'IRAP. In tal modo, assumere e mantenere lavoratori nell'organico dell'azienda non sarebbe stato più un fatto meritevole di essere colpito dal fisco (con una tassa che ha suscitato più di una perplessità, tanto da finire sotto il giudizio della Corte di Giustizia dell'UE, che poi l'ha graziata peraltro). Quand'anche si sfruttasse il taglio del 10% in questo senso, ridurrebbe il CLUP dello 0,4%, a fronte del gap del 23% tra Italia e Germania. Bisogna spezzare una lancia, invece, riguardo la copertura di quest'ultimo taglio, l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20% al 26% (fino al 36%): è un incentivo a diminuire la speculazione finanziaria a discapito dei piccoli investitori, affinché i loro capitali non vengano smobilizzati verso altre mete più sicure e redditizie.

Grande vantaggio avrebbe procurato una diminuzione dell'IVA,che è arrivata alla pericolosa soglia del 22% -in Portogallo è al 24% e il Paese è alla fame- mascherando così una deflazione di fatto che si dovrebbe rispecchiare sui prezzi, già bassi di loro.

Dando uno sguardo a tutto campo, è evidente come la tassazione si è diretta sui beni di più grande richiamo per gli italiani (IMU -ora IUC- sulla prima casa, accise sulla pur necessaria benzina, IVA sui beni di consumo) tale per cui il "linciaggio fiscale" dell'Italia è stato piuttosto violento ed è stato giustificato da esigenze effimere come la riduzione del debito pubblico e il mantenimento sotto il tetto del 3% del rapporto deficit- PIL: forse non sarà un principio costituzionale al pari del rispetto della capacità contributiva o della riserva di legge per l'imposizione di tributi, ma sarebbe una decorosa etichetta politica quella di rispettare le abitudini e gli orientamenti degli italiani in fatto di beni tassabili.

La riduzione dell'IRPEF (che avverrà probabilmente mediante il meccanismo delle detrazioni) non è altro che una manovra meramente politica e non è stata dettata da un sano e logico piano di riduzione del cuneo: quindi avrà eventuali pro ma anche contro -sbilanciamenti in fatto di imposizione reale tra le varie aliquote-.
La riduzione dell'IRAP del 10% non è altro che un contentino alle imprese, le quali arrancano 
tra IRES, IRAP e costi dei servizi (l'energia elettrica, per esempio).
Il quadro generale stona come tutta l'opera scenica chiamata programma di governo dal suo
autore, Matteo Renzi.

Foto: Carlo Nidasio/Flickr

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