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Carceri: un altro morto, solo un altro morto

L’ennesimo decesso all’interno di una struttura penitenziaria, questa volta non per suicidio ma per una incompatibilità della detenzione con lo stato di salute. E' l’espressione di una situazione non ulteriormente tollerabile.

Questa è una frase ormai ripetuta – fino alla nausea – dagli stessi uomini politici responsabili delle leggi e che rimane priva di ogni riscontro. Nemmeno Buñuel nel suo film “Il fantasma della libertà” avrebbe mai potuto pensare ad una immagine più significativa: tutti hanno piena coscienza di voler compiere un'azione ma nessuno riesce a vincere una forza, quasi soprannaturale, che la impedisce.

Eppure la storia di Gregorio Durante è addirittura emblematica di uno “stato delle cose” certamente degno di paesi dittatoriali, ma con una aggravante: quelli agiscono per soffocare una opposizione, in Italia accade per indifferenza, incapacità ed irresponsabilità.

Ma cosa è accaduto? Gregorio Durante si trovava in “misura di sicurezza”: aveva interamente scontato la sua pena ma essendo stato ritenuto “socialmente pericoloso” veniva internato presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. In Italia la misura di sicurezza non ha una durata predeterminata: periodicamente il Tribunale di Sorveglianza valuta se il soggetto è ancora “socialmente pericoloso”. In caso di risposta affermativa la misura viene prorogata.

“Con ogni probabilità quell’uomo non era più pericoloso socialmente eppure le sue misure di sicurezza erano state reiterate molte volte”, ha detto Ignazio Marino, Presidente della Commissione parlamentare di Inchiesta sugli OPG; “quattordici”, riferisce l’associazione Antigone, secondo cui proprio questo dato è la dimostrazione di “come il sistema delle proroghe possa trasformarsi nella pratica in una pena senza fine”.

I parenti e i legali di Durante avevano chiesto da tempo la sua scarcerazione per incompatibilità con il regime carcerario in seguito ai postumi di un’encefalite virale che l’aveva colpito in passato. Le condizioni di salute dell’uomo, secondo i familiari, sarebbero ulteriormente peggiorate per una punizione che gli sarebbe stata inflitta negli ultimi tempi dalla polizia penitenziaria, con il detenuto costretto a rimanere tre giorni in isolamento diurno perché accusato di aver simulato una malattia. (Il fatto quotidiano).

Le informazioni di garanzia, a seguito del decesso, coinvolgono il direttore del carcere, personale sanitario del penitenziario e medici del reparto di Psichiatria dell’ospedale pugliese dove l’uomo fu ricoverato e poi dimesso. Indipendentemente dalla responsabilità che potrà essere ascritta a questi soggetti occorre ben comprendere le ragioni che hanno condotto ad un simile evento, almeno se si considera il numero di suicidi in carcere, gli eventi analoghi a quelli di cui è stato vittima Gregorio Durante e le condizioni di detenzione negli OPG.

Come riferito da Antigone e da Ignazio Marino in Italia vi sono sei ospedali Psichiatrici Giudiziari ove rinchiuse 1400 persone: oltre a quello in provincia di Messina, che ha 271 internati, gli altri sono a Castiglione delle Stiviere (Mantova), Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino (Firenze), Aversa (Caserta), Secondigliano (Napoli). In molti di loro “non ci sono le più elementari condizioni igienico-sanitarie, ha denunciato qualche mese fa Marino, mentre non si contano i casi di costrizione fisica in letti ottocenteschi ai quali pazienti vengono legati come se fossero in un girone infernale”.

In un provocatorio percorso a ritroso delle “gerarchie” della Giustizia e della sua amministrazione sono diverse le domande che è necessario porsi. Innanzitutto, il Magistrato di Sorveglianza opera effettivamente, concretamente e realmente il suo dovere di “sorvegliare”? Egli dovrebbe conoscere profondamente e con cura il detenuto del quale si occupa. Sapere tutti i dettagli della sua vita, della sua personalità. Il Tribunale di Sorveglianza deve infatti giudicare, in corso di esecuzione della pena ed anche dopo, se il soggetto “sorvegliato” può considerarsi reinseribile nel contesto sociale, se è ancora pericoloso, se è probabile o no che commetta ulteriori crimini.

Egli potrà – ed a ragion veduta – affermare che una simile diretta conoscenza è impossibile in ragione dell’organizzazione del suo ufficio, per il sovraccarico di lavoro, per le carenze di organico. D’altra parte esistono medici, sanitari e psicologici che operano tutte queste valutazioni. Viene, però, da obiettare che se in Italia esistono così tanti casi di “morti oscure” (o fin troppo chiare) ed i detenuti sono stipati in strutture che la normativa UE non accetterebbe nemmeno per gli allevamenti di maiali, forse le strutture interne (compresi medici, psicologici e personale sanitario) sono scarsamente affidabili.

Poiché al Magistrato di Sorveglianza è affidata anche la responsabilità della custodia del soggetto detenuto ed è posto a garanzia del rispetto delle leggi (ivi compreso il diritto alla salute) non sarebbe demagogico rispondere che – preso atto delle carenze degli uffici giudiziari e della loro mala organizzazione – un chirurgo non opera certo con bisturi arrugginiti.

A questo punto il provocatorio percorso a ritroso coinvolge il “capo Ufficio” del Magistrato di Sorveglianza che, evidentemente, nelle sue funzioni di Presidenza ha delle carenze manageriali e organizzative. Ma è assai curioso che funzioni di manager di una struttura pubblica complessa per qualità e quantità vengano affidato dal Ministero ad un Magistrato che non ha certo una formazione tecnica manageriale. A sua volta il Ministero risponderà che è la legge che impone il sistema delle nomine dei Responsabili.

Naturalmente analoga osservazione varrà per il direttore del carcere, per il personale medico e sanitario e così via. In questo quadro così sommariamente descritto è chiaro che parlare di “amnistia” (misura certamente indispensabile ) è come pensare di fermare una emorragia di una arteria con un cerotto.

Occorre intervenire radicalmente sul sistema della pena (creando strutture capaci di avviare inserimenti e reinserimenti degni di questo nome), ma pure sull’etica e sulla responsabilità dei singoli. Ed è un lavoro lungo.

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