Carceri: Italia condannata dalla Corte Europea
La Corte Europea per i Diritti Umani con sede a Strasburgo ha condannato lo Stato Italiano per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani che vieta la tortura o il trattamento disumano o degradante, imponendo al nostro paese ad adottare entro un anno di tempo una misura o una combinazione di misure atte a rimediare alle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento delle carceri.
La pronuncia della Corte (non la prima sul tema delle condizioni delle carceri) è stata resa su ricorso di alcuni detenuti condannati a scontare pene detentive nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza e che hanno denunciato il fatto di aver dovuto condividere con altri due carcerati una cella di 9 metri quadrati, e lamentato la mancanza di acqua calda e in alcuni casi di un'adeguata illuminazione delle celle. Per la Corte, i detenuti in questione sono stati soggetti a trattamento degradante e disumano come risultato del fatto di aver dovuto condividere uno spazio ridotto con altre due persone e che sono stati vittime di discriminazione rispetto ai detenuti che si trovano in condizioni di detenzione migliori. La Corte ha altresì condannato l'Italia a versare ai detenuti in questione la somma totale di 99.600 Euro oltre ai 1.500 ciascuno per risarcire i costi e le spese sostenute.
Nella sentenza di condanna i giudici constatano che il problema del sovraffollamento carcerario in Italia è strutturale e che la mancanza di spazio nelle celle non riguarda solo i 7 ricorrenti: l'organo di giustizia internazionale infatti ha già ricevuto più di 550 ricorsi da altrettanti detenuti nelle carceri italiane. La Corte ha osservato che nella fattispecie le due carceri, in grado di accogliere non oltre 178 detenuti, nel 2010 ne ospitarono 376, toccando un picco massimo di 415 reclusi.
La condanna di uno Stato avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per aver applicato ad essere umani – pur se detenuti perché colpevoli di aver commesso un reato – trattamenti inumani e degradanti è fatto vergognoso e sintomo di una assoluta irresponsabilità politica. Un trattamento inumano e degradante – come quello inflitto nelle carceri italiane – è tale quando non solo priva di ogni dignità l’essere umano, ma pone in pericolo la sua stessa salute fisica (malattie, contagi, infezioni) e psichica (i casi di suicidio sono una delle più tristi conseguenze dell’inumanità e della degradazione).
L’amnistia è un provvedimento dal quale non è possibile prescindere perché se il trattamento riservato ai detenuti è inumano e degradante deve immediatamente cessare, senza proroghe o altro genere di rinvii. Se poi si intende agire in maniera strutturale – e francamente l’immobilismo sul punto non è un buon segnale – sono necessari ulteriori interventi. Occorre seriamente procedere ad una adeguata riforma del codice penale ispirata alla realtà sociale. Nel nostro Paese le diverse Commissioni incaricate della riforma non hanno ancora prodotto un testo capace di passare al vaglio della politica. Al di là delle responsabilità un simile lavoro deve essere velocemente concluso.
Peraltro il processo penale necessita di un intervento rapido ed efficace proprio per restituire “significato” all’azione repressiva e sanzionatoria dello Stato. Lo stato dell’arte è particolarmente sconfortante: l’azione penale ha perso ogni funzione preventiva, repressiva e riabilitativa.
Occorrerà seriamente ragionare sulla “Obbligatorietà dell’azione penale”. È ormai indispensabile escludere l’obbligatorietà dell’azione penale per tutte quelle fattispecie di reato di minor allarme sociale idonee a non ledere la collettività. Certamente non si può ipotizzare di abrogare, ad esempio, il reato di ingiuria o diffamazione, ma non è tollerabile che per un insulto tra condomini o per “un paio di corna” ad un semaforo si debba procedere penalmente.
Negli stessi termini sarà necessario mettere mano ad una seria depenalizzazione riservando alla sanzione amministrativa (in ragione di una pubblica amministrazione efficace ed efficiente) la punizione di certi comportamenti. In molti casi la sanzione amministrativa ha una efficacia preventiva assai maggiore rispetto al processo penale (almeno per le condizioni in cui quest’ultimo attualmente si trova).
Questi provvedimenti non avrebbero efficacia diretta sul sovraffollamento delle carceri, ma potrebbero liberare risorse per consentire di evitare la presenza in carcere di migliaia di detenuti in attesa di processo. E poi possibile incidere invece sul numero dei detenuti tenendo presente che:
a) I progressi tecnologici ed informatici attuali consentono un controllo a distanza di qualsiasi soggetto. Le pene sotto una certa soglia (relative a determinati reati preventivamente individuati) devono essere scontate in regime di arresti domiciliari;
b) Le forme di devianza giovanile ( in primis la tossicodipendenza) devono trovare un intervento diverso da quello del regime carcerario. Interi reparti delle attuali carceri possono essere trasformati in strutture comunitarie gestite dalle Associazioni più strutturate ed adeguate;
c) Il lavoro, soprattutto quello socialmente utile, deve avere un massiccio ingresso all’interno delle strutture di detenzione; attraverso norme idonee a garantire un regime di dignità pari a quello di ogni altro lavoratore.
Naturalmente sarà indispensabile potenziare ed incrementare l’adozione di misure alternative alla detenzione oggi limitate da una normativa poco adeguata alla realtà sociale e soprattutto dall’inadeguatezza e dall’inefficienza, per scarsa attenzione negli investimenti, delle strutture socio assistenziali deputate alla valutazione di meritevolezza o meno di un soggetto a fruire di benefici.
Per tutto questo occorre, però, una volontà politica ed in campagna elettorale potrebbe essere poco produttivo intervenire seriamente. Così è certo che inumanità e degradazione continueranno per altri mesi , forse anni.
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