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Camillo Langone: per le strade di Parma...

  Caro Direttore,
 
 per le strade di Parma, dove è migrato da Lecce parecchi anni fa, senza farvi più ritorno, in spregio alla grammatica del verbo “migrare” (che implica “continue mutazioni di sede”) si aggira uno strano animale, il Longone (Camillo), dalle penne acuminate e con una vocazione fin troppo sbandierata e plateale da bastian contrario rispetto a tutto il “culturame” di sinistra (per riprendere il termine di Scelba e dei suoi tardi epigoni): una “cifra” artistica che ultimamente rende molto, in termini di appeal mediatico (se n’è accorto anche quella vecchia volpe di Giampaolo Pansa che a settantaquattro anni suonati s’è preso una botta di vita passando al quotidiano “Libero” di Giampietro). 
 
 E difatti lo vediamo spesso – il Longone - appollaiato sugli scranni di manifestazioni parmigiane sponsorizzate dalla solita Fondazione Cariparma e dal solito gruppo editoriale (come il ParmaPoesia Festival, dove era la spalla del paroliere Mogol) o dalla Camera di Commercio (come il “Settembre italiano”, dove si è esibito nelle vesti di interlocutore di Alain Elkann).
 
 Ma la sua ansiosa voglia di presenzialismo si manifesta soprattutto negli articoli “ pepati” sul Foglio di Ferrara.
 
 Il bersaglio del Nostro è di solito l’emigrato extracomunitario: gli sta sulle palle, ovunque si manifesti, è una cosa di pelle, non c’è niente da fare.
 
 Per lui, come per tanti altri come lui, ormai è un riflesso condizionato: l’extracomunitario è la quintessenza, l’incarnazione del male, il responsabile di tutto quanto di non bello, di non edificante accade in città: dalla bottiglietta abbandonata per strada ad un qualsiasi atto di violenza .
 
 Nella sua mente esso assume i tratti inquietanti del criminale interpretato da Orson Welles nel film “Lo straniero” (in un paese come il nostro che vive per un buon terzo del suo territorio sotto il tallone delle varie mafie, dove ogni 48 ore c’è un omicidio in qualche italianissima famiglia, dove ogni anno in media si ammazzano venti vicini di casa).
 
 Le vette di questo parossismo le ha raggiunte con l’ultimo articolo di martedì dove si chiede retoricamente: “C’è qualcuno che sparerebbe ad un uccello migratore di passaggio per le nostre terre?“. Nessuno, tranne qualche “bracconiere calabrese”, ossia – spiega – “l’anello di congiunzione tra l’uomo e lo sciacallo" (immagino che la regione Calabria gli sia grata per questa citazione darwiniana )! E allora – suggerisce – smettiamola di chiamare poeticamente “migranti” anche gli extracomunitari che “ci entrano in casa senza permesso e pretendono pure vitto ed alloggio“ e non vanno certo “assimilati dissennatamente a dei fragili volatili a rischio di estinzione“.
 
Dunque, è la conclusione logica che se ne può agevolmente trarre, chi spara a questi ultimi è assimilabile a un troglodita calabrese, mentre chi spara (o ributta in mare) gli extracomunitari dovrebbe essere considerato un patriota, giacché riduce “il rischio di estinzione del nostro popolo “ che il loro afflusso massiccio crea. 
 
Ebbene, mille volte meglio avere a che fare con Said o con Mohamed che con simili personaggi (che altrove verrebbero confinati alle frange estreme degli schieramenti politico-mediatici e qui hanno l’onore delle prime pagine dei giornali).
 
Personaggi di cui spero che una comunità come quella parmigiana, con antiche tradizione civili, non menerà mai vanto, nonostante la sua smania di emergere. 

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