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Cambiano i governi ma lo spread resta alto. "Rifate presto"

Lo spread non resta alto, ma altissimo. Per mesi ci hanno detto che era un dato importantissimo, che non si poteva trascurare. Il governo Berlusconi, non è un mistero, è stato cacciato a colpi di spread: il giorno più nero del governo Berlusconi, il 9 novembre, il giorno decisivo per le sorti del Cavaliere, lo spread chiudeva a 552 punti base.

Ci dicevano: è un valore insostenibile. E’ troppo alto. Rischiamo il default. E quindi: Berlusconi se ne deve andare. Perché, ci dicevano, la colpa è sua. Lui vale “300 punti spread” diceva qualche politico di professione.

Detto e fatto. Berlusconi se ne è andato (sia chiaro: lui ha le sue colpe, e ha pure governato male). E lo spread? E’ ancora intorno a quei valori. Ben sopra i 500, poco sotto i 550 punti.

I titoli bancari in borsa sono quasi carta straccia. Unicredit è passata da una capitalizzazione di 69 miliardi di euro del 2007 ai 28 del giugno scorso, fino al tragico dato di fine settimana scorsa: 8 miliardi. Stessa sorte per Intesa San Paolo: da 65,5 a 28,4 fino ai 18 di questi giorni. E identico discorso per Banco Popolare, Bpm, Ubi e Mps. Non si salva nessuno.

E che succede? Ma niente, ovvio. In fin dei conti lo spread non è così importante. L’Italia è un Paese ricco, ci dicono (ora). Bisogna essere ottimisti (ora). Tra un po’ qualcuno dirà che i ristoranti sono pieni (ora).

Eppure ci ricordiamo tutti, tra le tante cose, quella geniale e formidabile prima pagina del Sole24Ore: “fate presto“. Bene. Le condizioni non sono cambiate molto. I dati economici e finanziari fanno sempre paura. Lo spread è ancora a quel punto.

Cari amici del Sole, non è il caso di lanciare un bel rifate presto? Oppure ora non è più necessario?

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