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C’era una volta “l’ideologia gender”

Ci può sembrare un’eternità, ma in realtà sono passati soltanto pochi anni. Come molti ricorderanno, tra il 2015 e il 2016 non esisteva alcun organo d’informazione che non parlasse del “gender”. O, per essere più accurati, della “teoria del gender”, dell’“ideologia del gender”, e persino del “complotto del gender”. I militanti cattolici avevano lanciato una durissima offensiva contro tutte queste imminenti minacce per il pianeta Terra. E facevano notizia.

In quegli anni, in cui furono organizzati ben due Family Days, gli attacchi erano particolarmente forsennati in ambito educativo. Ricordiamone alcuni tra i più notevoli: la censura contro gli opuscoli anti-omofobia dell’Unar; i figli tenuti a casa da scuola per protesta; i libri messi all’indice dal sindaco di Venezia Brugnaro; i parroci che pubblicizzavano la nascita di istituti privati rigorosamente “no gender”. Ogni santo giorno dovevano somministrarci una dose da cavallo di Gender®: prima, durante e dopo i pasti. E senza gastroprotettore.

Ci toccava trangugiarla, purtroppo, anche se era palese che si trattava di minacce immaginarie e argomentazioni pretestuose, peraltro caratterizzate da una notevole confusione tra sesso biologico, identità di genere e orientamento sessuale. Furono pubblicati alcuni pregevoli libri (Papà, mamma e gender di Michela Marzano e Tutti pazzi per il gender di Chiara Lalli, per citarne due) e fu dispiegato un grande impegno laico per ribadire, una volta di più, che l’estensione di diritti a gay e lesbiche non lede in alcun modo la libertà dei cattolici, e men che meno quella della chiesa. Fu ripetuto a destra e manca che è giusto insegnare già a scuola che abbiamo tutti gli stessi diritti, e che siamo quindi tutti meritevoli dello stesso rispetto e delle stesse opportunità. A prescindere se siamo o ci riteniamo donne o uomini o intersex, etero o gay o bisex o asex. O qualunque altra parola scegliamo per definirci, o qualunque maniera scegliamo per vivere la nostra la vita.

Ma era dura. Perché anche le gerarchie religiose erano scese in trincea per combattere. Il cardinale Bagnasco definì il gender una “manipolazione da laboratorio” per creare esseri umani “transumani”. Anche l’amabile papa disse “chiaramente, con ‘nome e cognome’”, che il gender era “una colonizzazione ideologica”, perché “ai bambini a scuola si insegna che il sesso ognuno lo può scegliere”. Per la precisione, il gender era “come la bomba atomica”, utilizzata nell’ambito di “una guerra mondiale per distruggere il matrimonio”. Nientepopodimeno che.

E dunque, come sta andando questa guerra mondiale?

Se consultiamo Google Trends, da tre anni a questa parte il gender sembra un argomento di ben scarso interesse. La sezione specifica creata sul sito del quotidiano dei vescovi Avvenire non appare aggiornatissima, e sembra che la loro principale battaglia, oggi, sia quella condotta contro l’enigmatico “farmaco gender”. Se poi effettuiamo una ricerca sul sito ufficiale del Vaticano… sorpresa: dopo il 2016, le espressioni “teoria del gender” e “ideologia del gender” scompaiono letteralmente dal radar. Zero titoli.

Che sarà mai successo? Possibile che nei sacri palazzi si siano finalmente resi conto che le argomentazioni che usano sono decisamente imbarazzanti? In fondo, il più vecchio articolo vaticano dedicato alla “teoria del gender” risale al 2003, in occasione di una giornata mondiale per la gioventù, ed è stato scritto da mons. Tony Anatrella. Sì, proprio quel mons. Anatrella: strombazzato sostenitore delle screditate terapie di conversione dei gay, prima, in seguito sospeso per aver abusato di cinque suoi pazienti.

A ben vedere, però, la guerra vaticana al gender era già nata nel 2000, con un documento del Pontificio consiglio per la famiglia contrario alle unioni di fatto. Era l’epoca in cui, nel nostro paese, si cominciava a discutere del riconoscimento delle coppie non sposate, sia etero che gay. Laura Balbo, ministra per le pari opportunità tra il 1998 e il 2000, fin dal suo insediamento aveva “scandalizzato cattolici e benpensanti con le prese di posizione a favore dei gay, delle famiglie di fatto, delle adozioni e della fecondazione assistita per i single”. Si era persino espressa sulle adozioni per le coppie dello stesso sesso. Guarda caso, se analizziamo l’interesse vaticano per il “gender”, constatiamo facilmente un fenomeno carsico: è stato molto più acceso proprio nei periodi in cui, in Italia, la politica ha dibattuto del riconoscimento delle unioni civili. Ecco perché da tre anni a questa parte sono diventati silenti sul gender: il 20 maggio 2016 è stata approvata la legge 76 che riconosce le unioni civili. E apparentemente non vi sono partiti ansiosi di metterla in discussione.

Il silenzio non è ovviamente totale: i fedeli estremisti (come quelli presenti al congresso delle famiglie di Verona) proseguono ostinatamente la loro guerra contro il fantomatico “gender”. Con buona pace dei credenti in buona fede, prigionieri nella camera dell’eco cattolica, la nuda realtà è però che l’ideologia, la teoria e il complotto sono spariti dalla narrazione ecclesiastica. Erano soltanto una cortina fumogena creata ad arte per un obbiettivo politico ben preciso: continuare a negare diritti alle coppie italiane non sposate.

Per carità, non è detto che non vedremo risorgere il “gender”, magari anche a breve termine. Esistono infatti ancora tantissimi diritti che la chiesa vuole continuare a negare, in Italia: come le adozioni omosessuali o la protezione dall’omofobia – giusto per limitarci al caso specifico. C’è chi, legittimamente, si compiace delle ossessive premure che la Santa sede riserva al nostro paese. C’è chi, altrettanto legittimamente, pensa che somiglino un po’ troppo a quelle di uno stalker.

Raffaele Carcano

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