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Brindisi: sulla pagina Facebook del sospettato volano le minacce...

I giornali hanno già scritto la sentenza. Il nome dell'uomo indiziato di essere l'autore dell'attentato di Brindisi è su tutte le prime pagine dei principali media nazionali, ai quali evidentemente non serve attendere un processo. Noi di AgoraVox, per rispetto di una deontologia professionale che nessun giornalista dovrebbe mai perdere di vista, il nome dell'indiziato ci rifiutiamo di scriverlo. E' innocente, sino a prova contraria, e preferiamo attendere l'evoluzione delle indagini.

Tuttavia siamo andati a sbirciare sulla sua pagina Facebook. L'abbiamo fatto apposta per scoprire a quale gogna è sottoposto chi, malauguratamente, finisce sulle prime pagine dei giornali con il proprio nome, cognome, professione e indirizzo. Ecco il risultato. Ricordiamo ai nostri lettori che costui è ancora da considerarsi un semplice sospettato.


Si ringrazia Blicero per la segnalazione. 

Commenti all'articolo

  • Di Federico Pignalberi (---.---.---.121) 21 maggio 2012 20:10

    Premesso che quei post schifosi su Facebook sono indegni, non sono d’accordo con un passaggio di questo articolo. La deontologia professionale non è stata persa di vista da nessun. La maggior parte dei giornali, soprattutto i più grandi, il nome non lo hanno riportato. E in tutti i casi è stato fatto notare più che bene che si è di fronte ad un semplice sospettato. In molti, anche tra quelli che non hanno pubblicato il nome, hanno riportato la precisazione degli inquirenti che, per calmare le acque, si sono subito affrettati a dichiarare che si tratta solo di indagini di routine e che potrebbe non esserci un collegamento tra il sospettato e la strage.

    Per capire meglio partiamo dal principio. Lo scoop sui nuovi sviluppi delle indagini che porterebbero a quell’uomo l’ha fatto un cronista di Oggi, Beppe Fumagalli. Nell’articolo di Oggi si racconta di un blitz della polizia che avrebbe identificato l’uomo ripreso nei famosi fotogrammi pubblicati anche dai giornali. Si racconta che l’uomo è riuscito a scappare alla polizia (e che forse, ferito, si è rifugiato in un’ospedale, dove soltanto dopo sarebbe stato arrestato), che però ha arrestato il fratello. E si racconta che la polizia scientifica sta effettuando i rilievi nella casa del sospettato per verificare se vi siano reperti che possano ricondurlo all’attentato di sabato scorso. 

    Nell’articolo, Fumagalli riporta tutti i dati anagrafici del sospettato: nome, cognome, data di nascita (quindi l’età) e luogo di nascita (cioè Brindisi), insieme anche ad altri dettagli molto più generici. Quasi tutte queste informazioni (il fatto che sia un cinquantenne originario della stessa Brindisi, espertissimo in riparazioni di televisori, sposato con una donna di origini stranire) sono molto significative. E che si tratti solo di un sospettato Fumagalli lo scrive addirittura tre volte. 

    Quanto alla pubblicazione del nome, la Carta dei Doveri del Giornalista precisa che "il giornalista deve osservare la massima cautela nel diffondere nome e immagini di persone incriminate per reati minori o di condannati a pene lievissime, salvo i casi di particolare rilevanza sociale". Ma in questo caso non si tratta affatto di un reato minore, ma di un attentato a una scuola, quindi di un caso di estrema rilevanza sociale. La pubblicazione del nome è più che lecita. Non indispensabile, però. È quindi una scelta libera che spetta alla sensibilità professionale di ogni giornalista valutare. Io, per esempio, in questo caso il nome non l’avrei scritto, o avrei riportato solo le iniziali. Ma è sbagliato dire che chi ha scelto di farlo ha violato la deontologia professionale. Del resto anche AgoraVox, negli anni, ha pubblicato più volte 
     a ragione - i nomi di semplici sospettati in indagini giudiziarie.

    Una violazione della deontologia, però, c’è stata: sia Oggi sia molte altre testate che hanno ripreso lo scoop hanno riportato per intero il nome del fratello del sospettato. Una violazione deontologica grave, tanto più che nella Carta dei doveri è esplicitato che "i nomi dei congiunti di persone coinvolte in casi di cronaca non vanno pubblicati a meno che ciò sia di rilevante interesse pubblico". In questo caso non lo era. E tutti ci auguriamo che per questo motivo - solo per questo motivo - chi ha sbagliato ripari all’errore o venga sanzionato dall’Ordine com’è giusto che sia.

  • Di Davide Falcioni (---.---.---.87) 21 maggio 2012 20:54
    Davide Falcioni

    Federico, un paio di cose in risposta al tuo commento. La prima è che io stesso ho letto il nome sui siti di Repubblica e Corriere, che poi evidentemente hanno cambiato e messo solo le iniziali. 

    La seconda è che in questo caso, a mio avviso, il termine "deontologia" va scisso dalla semplice applicazione di regole scritte, a cui fai riferimento. Proprio la situazione di grave allarme sociale richiede molta prudenza: non è possibile separare causa (la pubblicazione del nome e cognome) dall’effetto (il linciaggio, al momento solo mediatico per fortuna, dell’uomo) perché quest ultimo era un effetto prevedibilissimo. Tutti conoscono la situazione del Paese e la comprensibile rabbia che ha suscitato l’attentato: cosa accadrà se i sospetti intorno all’uomo decadono domani mattina? Chi lo risarcirà per le minacce e la merda che gli è stata gettata addosso? 

    Prendo spunto proprio da Repubblica: 

    ORE 20.36 - CADONO I SOSPETTI SULL’UOMO FERMATO IN QUESTURA
    Doccia fredda per gli inquirenti che, dopo ore di interrogatorio, vedono vacillare e probabilmente cadere i sospetti sull’elettrotecnico con una disabilità evidente al braccio tenuto sotto torchio insieme al fratello e, sembra, anche anche altri testimoni. Non ci sono conferme ufficiali ma la notizia circola insistentemente negli ambienti della questura. 
  • Di Davide Falcioni (---.---.---.87) 21 maggio 2012 21:23
    Davide Falcioni

    ecco, appunto: l’uomo è stato rilasciato. Prima però l’auto dei carabinieri che lo trasportava è stata aggredita...

  • Di Federico Pignalberi (---.---.---.121) 21 maggio 2012 21:54

    In parte sono d’accordo con te: pubblicare quel nome, almeno fin quando non ci saranno sviluppi ulteriori che possano consolidare almeno un po’ la sua posizione, è inopportuno. Repubblica e Corriere, secondo me, hanno fatto bene a toglierlo. Ma è diverso, molto diverso fare una scelta discutibile come quella e violare la deontologia.

    Del resto, la cronaca su indagini per crimini di sangue si è sempre fatta, giustamente, così. Si fa così ovunque, anche con i nomi dei sospettati. Poi magari prima non c’era Facebook e non si poteva mettere in piedi un linciaggio di massa disgustoso come questo. Vogliamo ridiscutere la deontologia professionale in vista del fatto che la rete rende molto più identificabili e rintracciabili le persone che scelgono di esserlo? Bene, parliamone. Ma non risolveremo così il problema. Che dipende dalla formazione culturale degli italiani, non dalla cronaca: quando si capì che Breivik, per la carneficina che aveva commesso, avrebbe potuto essere condannato al massimo a 21 anni di carcere, ci furono più reazioni indignate in Italia che in Norvegia.

    L’unica soluzione è culturale: contrastare la mentalità vendicativa e rancorosa di una certa Italia. Molti di quei commenti minacciosi sarebbero altrettanto indegni anche se quell’uomo fosse stato condannato.

    Noi dobbiamo essergli solidali, per il linciaggio che ha subito, in ogni caso. Ma lui non può prendersela con i giornalisti, che nei suoi confronti sono stati estremamente garantisti (com’è giusto che sia ma raro che succeda). E comunque, colpevole o innocente, dovrà spiegare lo stesso perché, quando i poliziotti sono andati a prenderlo per chiarire la sua posizione in merito a una delle più brutte stragi degli ultimi anni, invece di seguirli in questura per spiegare come stavano le cose, si è dato alla fuga. Quei commenti non li meriterebbe nemmeno il peggiore dei colpevoli. Ma fuggire quando qualcuno indaga su di te non è esattamente il modo migliore per sembrare innocente.

  • Di Geri Steve (---.---.---.66) 22 maggio 2012 04:44

    Al di là di ciò che sta scritto sulla carta dei doveri del giornalista, io come cittadino rivendico invece il diritto di conoscere tutti i nomi delle persone incriminate, perchè la giustizia dovrebbe essere pubblica e non c’è privacy che tenga.

    Affermato questo, la particolarità del caso sta nel fatto che la persona in questione NON è mai stata neanche incriminata, adesso sembra che sia scagionata, mentre giornali e siti affermavano per comprovata la sua colpevolezza, fondata sul riconoscimento dal video.

    Disquisire se il nome doveva essere pubblicato o no e non sfiorare neanche il problema se i media hanno diritto o meno di pubblicare notizie false mi sembra che sia alzare un polverone per non vedere il problemone.

    Sarà anche vero che il tizio ha accresciuto i sospetti sfuggendo alla polizia, e già questo solo fatto mi sembra più che sufficiente per scrivere in chiaro il suo nome e cognome, ma resta il problemone: la Carta dei signori Giornalisti li autorizza a scrivere cazzate?

    Per prima cosa si dovrebbe affermare che i giornalisti hanno il diritto di sbagliarsi ma non hanno il diritto di inventarsi notizie; può essere difficile determinare il confine fra l’errore e l’invenzione, ma la differenza c’e’, ed è grossa.

    Per seconda cosa, anche se sulla loro Carta non c’è scritto, i giornalisti e i giornali dovrebbero scusarsi dei loro errori con altrettanta evidenza con cui li pubblicano. Credo che teoricamente questo diritto sia riconosciuto alla "vittima" dell’errore, ma non basta: tutti i lettori sono vittime!

    Come terza cosa, va denunciato il fatto che giornalisti e redazioni sono considerati bravi se fanno lo scoop; ci sono dei titoli che sono delinquenziali: affermano cose clamorose che non sono assolutamente dette nell’articolo; non credo che la Carta dei Doveri dei signori Giornalisti consideri questo "problemino": una specie di diritto alla menzogna.

    Come quarta cosa, tutto questo va calato nella frenesia con cui informazione e stato si sono subito spesi nell’affermare che con l’attentato di Brindisi la mafia non c’entra, il terrorismo e la strategia della tensione neanche... c’è stata una gara nello scovare un colpevole -anzi: un accusabile- che abbia agito da solo e per suoi motivi personali, meglio se passionali. Come il ballerino anarchico zoppo, come il DC9 strutturalmente debole perchè aveva trasportato il pesce...

    Personalmente, proprio qui su Agoravox, ho provato a combattere questa persistente disinformazione spiegando in un articoletto come sia del tutto impossibile che le bombole esplodano e quindi che un attentatore solitario e sprovveduto possa usarle come bombe. Ma mi domando: la Carta dei Doveri dei signori Giornalisti condanna la disinformazione? E se sì come la condanna? La definisce? Specifica i diversi modi con cui si disinforma? Oppure basta non scrivere i nomi e i signori Giornalisti possono scrivere qualsiasi cazzata?

  • Di (---.---.---.153) 22 maggio 2012 10:49

    secondo il mio punto di vista, come dissi precedentemente non si trattava di mafia e questo lo riconfermo. riguardo il soggetto in questione secondo mè è solo una la persona in questione non due. una persona lucidissima molto ferito provabilmente lo scopo era quello di colpire direttamente quella ragazza, farei indagini sulla famiglia, in particolare sulla madre o ke quest’uomo abbia voluto colpire la scuola x una sofferenza ke quell’istituto ha dato alla figlia... non saprei , una vendetta fatta da un padre x una sofferenza... ( figlia suicidatasi.....) , la mano lasciata in tasca secondo mè attesta la serenità ke teneva in quel momento e il senso di gloria ke ha mantenuto dopo aver premuto il pulsante. una vendetta ke ha avuto il suo fine.











     

  • Di (---.---.---.63) 22 maggio 2012 13:28

    geri, sei convinto - con federico - che il problema sia la forma mentis vendicativa di una certa Italia? 


    al di là del fatto che per questo ci vorrebbe un pò di tempo, diciamo un centinaio d’anni, e dunque non è molto pratico, nel frattempo la stampa corretta deve, e ribadisco deve, evitare gogne. 
    la giustizia non si fa con la stampa: l’ufficialità intorno agli incriminati può essere circoscritta agli atti giudiziari e solo su sollecitazione diventare di dominio pubblico. 

    troppe persone hanno pagato con marchi di infamia gli errori degli inquirenti.
    troppa stampa pettegola ci ha marciato.
    e troppe politiche del terrore hanno profittato per legislazioni d’urgenza.

    quella che andrebbe riformata con battaglie culturali e misure dell’Ordine dei giornalisti è la prassi rispetto alla cronaca nera: gli orrori dell’indotto mediatico di avetrana e perugia dovrebbero bastare come esempi.

    nel caso di brindisi giustificherei la bulimia di notizie solo in caso di attentato mafioso: cosa che tra l’altro è stata sbrigativamente esclusa, come pure geri sottolineava, senza calcolare che nell’operazione ’die hard’, dieci giorni prima, erano stati arrestati 16 criminali di mesagne. ma stiamo sicuri che, se così fosse, gli audaci e potenziali spaccatori di teste su facebook non si sognerebbero neanche di mostrare tanta ferocia.

    giovanni chianelli 
  • Di paolo (---.---.---.113) 27 maggio 2012 18:05

    Ma mi spiegate che senso ha fornire le generalità di un "sospetto" ( sul quale quindi sono in corso accertamenti ) quando già è nelle mani della polizia?

    Si trattasse di un criminale conclamato in fuga potrei capire la valenza sociale di mettere in guardia la popolazione o di cercare aiuti per identificarlo , ma in questo caso ...... .
    Secondo me è la smania dello scoop ,di arrivare prima per non essere bruciati sulla notizia ,poi succede il "dagli all’untore" facile ad appiccicare ma che può fare danni .

    Non è più logico dire "arrestato un sospetto , uomo o donna che sia ,e poi attendere gli esiti?
    Cosa aggiungono nome ,cognome ,età ,professione ecc... ?

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