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Blog, rettifica non è censura

Da titolare di un blog politico da quasi dieci anni, praticamente dall'alba della "generazione blogger", questa rivolta dell'immaginario "popolo del web", questo gridare alla censura per quella norma del ddl intercettazioni all'esame della Camera che obbligherebbe i siti internet, blog compresi, alla rettifica, non mi convince affatto.

Alle mie orecchie suona come il tipico riflesso conformista internettiano "Bavaglio", "ammazza-blog", attentato alla "libbbertà della Rete" (doverosamente con la maiuscola). Siccome gli assoluti mi insospettiscono, ci ho ragionato un pò su. Premetto che qui non s'intende difendere l'emendamento in questione, che può e, quindi, deve essere migliorato per corrispondere in modo equo alle diverse situazioni e responsabilità in campo, bensì il principio. Coloro che respingono in linea di massima l'idea che persino un blog debba garantire il diritto alla rettifica non conoscono la rete, non hanno ben compreso le sue enormi potenzialità – anche se in suo nome e in ragione di esse pretendono di alzare la voce – oppure le hanno comprese ma fanno i furbi.

L'obbligo di rettifica non può valere anche per i siti internet, si obietta, perché "esiste una differenza abissale tra un blog, magari gestito da un ragazzo, un giornale e una televisione". Differenza abissale? Ma come? Non cerchiamo quotidianamente, noi blogger, di dimostrare che la grande rivoluzione di internet è proprio quella di aver annullato, almeno potenzialmente, questa differenza? Non crediamo più a questa rivoluzione?

Grazie a internet anche l'autore più anonimo può essere letto potenzialmente da milioni di persone in tutto il pianeta; twitter può essere più potente di un'agenzia di stampa; il blog più inutile e sconosciuto può diventare in un paio d'ore una star mediatica, un imprescindibile "opinion leader", passando da una decina di lettori a decine di migliaia di contatti. E' già capitato, capita ogni giorno: è storia. E allora, se queste sono le enormi potenzialità di internet, un luogo virtuale dove un piccolo blogger può davvero competere con i mainstream media, fino a condizionare il dibattito pubblico, perché negare che ad esse corrispondano delle responsabilità? Così facendo non rischiamo forse di negare noi stessi le potenzialità della rete?
 

Non si può, a mio avviso, pretendere di sfruttare tali potenzialità senza riconoscere le responsabilità che implicano e una di esse, quando si trasmette, si comunica qualcosa ad un'agorà mediatica potenzialmente illimitata, è legata al rispetto degli altri. Sostenere che solo le testate regolarmente registrate dovrebbero rispondere di ciò che scrivono e dicono, che siti e blog non dovrebbero essere soggetti a tale responsabilità solo perché compilati a livello amatoriale, perché non fanno parte della corporazione dei giornalisti, significa piegarsi ad una logica, corporativa appunto, che contraddice tutto ciò che internet rappresenta nel mondo di oggi.

E sorprende che persino alcuni blogger liberali siano scivolati su questo terreno. Preferite forse l'obbligo di registrazione presso i tribunali, con tanto di ordini, contratti e sindacati? All'obbligo di rettifica dovrebbe attenersi chiunque comunichi ad un pubblico vasto, a prescindere dal media utilizzato e dalla sua inquadratura professionale.
 

La differenza tra un blogger – magari ragazzino – e un giornalista, una redazione, o un editore, è "abissale" nelle modalità operative (forse), non nelle responsabilità legate all'atto comunicativo. Nel momento in cui apro un blog e comincio a scrivere non sto scambiando quattro chiacchiere in salotto o al bar con i miei amici, sto esercitando la mia legittima fetta di "quarto potere", indipendentemente dall'ordine professionale cui sono iscritto. Ed è un potere che va esercitato responsabilmente, perché ha a che fare con le vite delle persone. Di più. Se le sorti professionali e imprenditoriali di giornalisti ed editori di professione dipendono dalla loro autorevolezza, quindi hanno – in teoria – tutto l'interesse a non divulgare notizie false, un blogger amatoriale può infischiarsene, causare lo stesso danno ma per lui a costo zero.



Per numero di contatti un sito internet può ormai competere con le tirature di un quotidiano. Una diffamazione via web si diffonde in modo molto più virale rispetto agli altri media, non è stampata sull'edizione di un solo giorno, né scorre via nel flusso radiotelevisivo, ma ad ogni ricerca su Google riaffiora, come un marchio potenzialmente indelebile. L'esempio ce l'abbiamo sotto gli occhi: il blog che la settimana scorsa ha pubblicato un'arbitraria lista di politici omofobi epppure omosessuali.

Ebbene, l'insulto sta ovviamente nell'essere indicati come omofobi, non come omosessuali, ma perché ai diretti interessati non dovrebbe essere riconosciuto il diritto ad una rettifica, visto che del loro orientamento sessuale si parla?

La rete non è un mondo totalmente avulso dalla realtà. Internet è uno strumento di libertà, di informazione dal basso, ma è un luogo – chiunque lo frequenti lo sa benissimo – che pullula di diffamatori di professione, di odiatori seriali e persino di istigatori alla violenza, che spesso approfittano dell'anonimato. Non stiamo parlando di censure preventive, registrazioni, iscrizioni ad albi, ma di una semplice rettifica. Ed è chiaro che la rettifica non si riferisce ad un'opinione espressa, quindi non introduce una sorta di obbligo a dare spazio sul proprio sito al o ai punti di vista che si vogliono criticare, ma ad una notizia riportata o ad un giudizio su una persona.

E' vero che il singolo blogger probabilmente non ha risorse e competenze giuridiche tali da potersi opporre a richieste di rettifica infondate, avanzate solo come forma di intimidazione, ma è pur vero che minore è il seguito del blog, minori saranno le probabilità di subire pressioni. E' vero che esistono già strumenti per punire eventuali illeciti – come la querela – ma richiedono la via giudiziaria e tempi lunghi, quando molto spesso chi si sente diffamato o danneggiato ha solo interesse a poter replicare sullo stesso media in tempi brevi.

Tra l'altro, gli attuali strumenti di tutela sono già utilizzati nei confronti dei blog come forme di intimidazione, e ben più pesanti di un'ammenda di 12 mila euro. E' già capitato ad alcuni di vedersi recapitare minacce di denunce, alcune delle quali hanno addirittura avuto un seguito in tribunale (si veda il caso Morini-Moncalvo, conclusosi con l'assoluzione del blogger). Certo, ai siti amatoriali si potrebbero applicare norme meno stringenti. Ragionevoli in proposito le modifiche suggerite dal deputato Pdl Roberto Cassinelli, per esempio allungare i termini entro cui la rettifica dev'essere pubblicata e ridurre le sanzioni.

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