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Bilancio: obbligo di pareggio per lo Stato, tasche più piene per i deputati

Martedì sera, alle 19 e 40, il Senato ha approvato il procedimento di revisione dell'articolo 81 della Costituzione, inserendo nella Carta l'obbligo per l'Italia del Pareggio di Bilancio. La norma porta, tra le altre, la firma del leader del Partito Democratico Pierluigi Bersani e si annuncia come un'ennesia flessione, drammatica, alla sovranità monetaria del nostro Paese, già ampiamente sottomesso alle rigide indicazioni provenienti dalla Banca Centrale Europea. 

Vladimiro Giacché, stimato economista e dirigente finanziario, ha così commentato la notizia: 

Il pareggio di bilancio, di fatto, sancisce l'illegalità del keynesismo. Secondo Jhon Maynard Keynes, nei periodi di recessione, con la 'domanda aggregata' insufficiente, era lo Stato, tramite il deficit spending, a far ripartire l'economia. Secondo questo principio, il deficit si sarebbe poi ripagato quando la crescita fosse ripresa. Ora, impedendo costituzionalmente il deficit di bilancio dello Stato - se non per casi eccezionali e comunque per periodi di tempo limitati - tutto ciò sarà impossibile.

Questa cosa può sembrare apparentemente ragionevole per paesi indebitati come il nostro, ma in realtà è assolutamente folle. Così facendo si stanno replicando gli errori drammatici degli anni '30: quando ci si trova alle prese con la recessione, oggi come ottanta anni fa, accade che i privati investono meno. Ed è qui che sarebbe fondamentale un deciso intervento pubblico, con investimenti che facciano in modo che la 'domanda aggregata', cioè l'insieme dell'economia, aumenti, per ripresa. Questi effetti benefici, poi, si riassorbirebbero negli anni a seguire con effetti positivi sui conti pubblici. Ad esempio, con un maggior introito di tasse, il governo avrebbe avuto un rientro maggiore. Da oggi, invece, questo non sarà più possibile. 

Cosa significa questo per un paese come l'Italia? Semplice: sarà impossibile investire denaro pubblico in settori "fondamentali", e a sostegno di diritti sanciti dalla Costituzione stessa. Ad esempio nella cultura, già ampiamente surclassata, come nell'istruzione. Oppure nella ricerca. O, ancora, nella realizzazione e nel miglioramento delle infrastrutture. E che dire della sanità? E dei trasporti? 

I diritti fondamentali dei cittadini (a una sanità accessibile per tutti, a un'istruzione pubblica, ecc ecc) saranno da ora in poi subordinati all'obbligo del Pareggio di Bilancio. Quindi, per farla breve, i servizi essenziali che lo Stato non vorrà - o potrà - pagare, dovremo pagarceli da soli, con buona pace di chi non può permetterseli. 

Continua Vladimiro Giacché:

Stando così le cose, sarà inevitabile dover ricorrere a nuove manovre di austerity. Ed ecco qui la spirale, innestata proprio dal vincolo costituzionale del pareggio di bilancio. Facendo due rapidi calcoli a partire dall'obbligo sancito dal 'Fiscal compact' di dover ridurre il debito pubblico del 5% annuo per quanto eccede il Pil del 60% - ergo, un ventesimo del Pil - ecco che per un certo numero di anni il nostro paese sarebbe chiamato a manovre annuali di 45miliardi di euro. Senza considerare quanto paghiamo di interessi sul debito: nel 2012 qualcosa come 72 miliardi di euro. Di fatto, l'Italia per i prossimi anni sarebbe costretta a manovre, per ridurre il suo debito pubblico, di circa 120miliardi di euro l'anno. Una follia. O meglio, la perfetta ricetta per il disastro economico. Un disastro motivato dall'assurda idea di fondo che si debba cancellare il debito pubblico. Ma la realtà è un altra: nessuno ti chiede di azzerare il debito. Quello che interessa i mercati, infatti, non è che il debito venga cancellato ma che si stabilizzi. L'obiettivo dovrebbe essere non far crescere tendenzialmente il debito. 

Insomma, a quanto pare per i cittadini italiani si avvicinani altri anni bui, di enormi sacrifici, stavolta non richiesti "una tantum" ma addirittura sanciti in Costituzione. La norma sul Pareggio di Bilancio è stata approvata con 235 voti favorevoli, 11 contrari e 34 astenuti. Avendo raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti del Senato, la modifica costituzionale non potrà essere sottoposta a referendum popolare. Siamo fregati, per farla breve. 

Ma c'è chi continuerà a spassarsela ancora a lungo. 

E' sufficiente, infatti, andare sul sito internet della Camera dei Deputati e cercare tra le voci del bilancio. Noi l'abbiamo fatto e scoperto alcune cose assai interessanti. Il Bilancio Pluriennale 2011-2013, infatti, rivela chiaramente quali saranno i costi della politica. O, per essere più chiari, dei politici che sino al prossimo anno decideranno della nostra vita. 

Al capitolo "Spese Correnti - deputati" si nota chiaramente l'andamento dell'indennità dei parlamentari. La prima colonna indica l'anno 2011, la seconda il 2012, la terza il 2013. Ebbene, si passerà da 94.540.000 euro a 100.590.000 euro. L'incremento complessivo è di oltre 6 milioni di euro. Come sono giustificati?

Colpisce il trattamento riservati ai "cessati dal mandato": anche per loro, che parlamentari non lo sono più, si passerà da 138.200.000 euro a 143.200.000 euro. Incremento di 5 milioni di euro. 

Altre spese sono state tagliate, come si può notare chiaramente leggendo il Bilancio: le uniche, o quasi, ad aumentare sono le indennità e super pensioni dei nostri politici e del loro "personale di servizio". 

Diranno che così si alimenta l'antipolitica. Diranno che è populismo e che questo è il "costo della democrazia". Intanto, però, senza chiedere il parere ai cittadini (quella sì che sarebbe stata democrazia) hanno inserito l'obbligo del Pareggio di Bilancio in Costituzione. Che vuol dire anni di sacrifici sulle spalle dei soliti noti.

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