Balotelli, il Napoli, Klaus Davi e il corto circuito dell’informazione
In pochi giorni, "Le iene" e "Striscia la notizia" hanno smascherato clamorose bufale giornalistiche, mettendo a nudo le perversioni del sistema dei media
"Verifica delle fonti!".
Questa la regola principale per non fare brutte figure.
Lo insegnano in tutte le scuole di giornalismo: mai fidarsi, insomma.
Nemmeno di quello che sembra evidente, nemmeno delle agenzie di stampa.
La casistica è piena di notizie che sembravano vere e invece erano false o che magari erano vere ma contenevano elementi che non avevano riscontro nella realtà.
Il segreto è sempre lo stesso: verificare, verificare, verificare.
Un'abitudine che, ormai, i giornalisti non hanno più.
Per questo si verificano casi paradossali come quelli segnalati negli ultimi giorni dalle reti Mediaset: notizie false, inventate di sana pianta, che entrano nel circuito dei media e si replicano con un effetto moltiplicatore, fino ad arrivare alla carta stampata.
Certe volte, come è capitato con il finto Balotelli che vuole andare al Napoli (segnalato da Striscia la Notizia), alla base c'è solo un simpatico scherzo di un imitatore.
Altre, però, il meccanismo perverso viene sfruttato ad arte per mettere in circolazione false notizie, che in realtà sono messaggi pubblicitari mascherati, come hanno denunciato "Le Iene" a proposito dell'agenzia di Klaus Davi, peraltro riprendendo a loro volta una vecchia inchiesta di "Italia Oggi" dello scorso aprile (ma almeno Le Iene, nel riprendere una notizia, hanno verificato la fonte e i fatti).
Ma come è stato possibile?
Si parte da lontano: in Italia la crisi del mondo dell'informazione ha radici antiche e quasi sistemiche.
In tanti, troppi, vogliono fare i giornalisti e credono di saperlo fare solo perché (e nemmeno sempre) sanno usare i congiuntivi.
La concorrenza interna è altissima, i soldi sono pochi e gli editori hanno un potere contrattuale spropositato. Si lavora sempre di più, pagati sempre di meno.
Eserciti di aspiranti giornalisti o di giornalisti veri e propri, con tanto di tesserino, trascorrono il giorno su Internet a "passare notizie" (si dice proprio così) prese da altri siti.
Senza verifiche, senza controlli, spesso addirittura senza leggerle.
Tanto conta la quantità: la pubblicità - per i più piccoli - rende pochissimo e il volume di traffico serve a supportare i network di blog, che poi rivendono i volumi di traffico alle agenzie pubblicitarie.
E sempre più spesso ci sono situazioni ai limiti del paradossale: internet contribuisce a rilanciare all'infinito vere e proprie bufale, alle quali ormai nemmeno si risponde più: le smentite ufficiali, nel mare magnum dell'informazione, vale zero. E alla fine le bufale finiscono sui giornali, quelli veri, che dovrebbero fare della attendibilità il loro marchio di fabbrica.
Il meccanismo è perverso: i giornalisti delle grandi testate se ne stanno chiusi in redazione tutto il giorno, ricevendo al desk centinaia, migliaia di lanci di agenzia. Devono solo scegliere.
Ma chi ha scritto quei lanci? Purtroppo anche le agenzie di stampa - fonti giornalistiche primarie - subiscono il fascino della rete: rilanciano notizie dal web e spesso anche comunicati stampa.
Ma chi verifica queste notizie? Nessuno.
Insomma, un circolo vizioso, in cui alla fine si perde il contatto con "la" fonte. Quella principale. E, soprattutto, si perde il contatto con la realtà. Il che è peggio...
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Finiamo con un gioco (senza premi): vi lascio una citazione e chiedo a voi di scoprire chi ha detto questa frase e in che occasione. Sarà un ulteriore motivo di riflessione su quanto sia delicato il mestiere di scrivere...
"Anche se molto faticoso, cerchiamo di usare le parole con minore pigrizia. Le parole, nel nostro lavoro, sono tutto. Il giornalismo è scrittura. E né la velocità del suo farsi né la brevità dei suoi tempi d'uso ci giustificano quando perdiamo il controllo della scrittura, quando non rispettiamo più il valore e il suono delle parole. Solo difendendole possiamo difendere la dignità del nostro lavoro".
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