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Aversa: quando un ragazzo viene ucciso a 15 anni, gli scenari inconcepibili anche in un teatro dell’orrore

Un atto di teppismo, una bravata compiuta magari per ingannare la noia di una domenica pomeriggio, forse sotto l’effetto dell’alcool oppure di una sostanza stupefacente, molto di moda, tra i giovani ed i giovanissimi. 

Da quella scintilla è nato un primo litigio, poi una specie di spedizione punitiva nella notte, tragicamente conclusasi con la morte di un ragazzo di 15 anni ed il ferimento di altri quattro coetanei. Morire a 15 anni, di notte, per una coltellata al cuore, inferta da un coetaneo, non è umanamente concepibile, neanche nel miglior teatro dell’orrore. 
 
Non può e non deve essere una cosa neanche lontanamente ipotizzabile, in un paese civile e progredito come si proclama l’Italia. La vita di ogni giorno, ci fotografa in maniera chiara e limpida, un mondo in cui non si possono mostrare le debolezze dell’essere umano, e così i ragazzi hanno davanti a loro nuovi vitelli grassi da idolatrare. Ragazzini che osservano il mondo, non con i loro occhi di quindicenni, ma con le continue immagini di un mondo creato dagli adulti e per gli adulti. Un mondo che corre come la più veloce delle autovetture di Formula 1, in cui chi si ferma a guardare il sole, di una bella domenica di aprile, è destinato alla sconfitta.

Questi adolescenti finiscono per provare a diventare uomini, prima del tempo, bruciando in maniera clamorosa le tappe della giovinezza perdendo una serie di emozioni, figlie dell’adolescenza che non ritroveranno più. Ma come si è giunti a tutto ciò? 
 
Probabilmente manca una adeguata istruzione, non vi è rispetto per la cultura ed il sapere, esistono pochi spazi di aggregazione che non siano i bar, i circoli sociali, le sale scommesse, il più delle volte nascosti tra palazzi di grigie periferie. In queste condizioni crescono i giovani, di questo sistema malato. La colpa è anche di noi adulti, che non ci fermiamo ad ascoltare i loro problemi, le loro paure, le loro incertezze. I genitori sono assenti ed incapaci di educare ed hanno clamorosamente fallito nel loro delicato compito, con il risultato di figli abbandonati davanti ad una televisione, ad un pc oppure ad uno smartphone, o addirittura lasciati vagare senza meta nella notte. 
 
La risposta data dalle istituzioni, negli anni scorsi, porta il nome di Modello Caserta, nato durante il precedente governo Berlusconi, quando l’allora ministro dell’Interno Maroni, decise di inviare l’esercito nelle strade, annullando definitivamente il valore di uno spazio sociale
 
Con il Modello Caserta si è preferito curare la ferita della dispersione scolastica, culturale, civica giovanile con la massiccia presenza di guardia al controllo di molte strade, invece di puntare anche su una riabilitazione sociale. Sarebbe forse bastato inserire insegnati nuovi nelle scuole, approfondire i programmi in materia di educazione civica, creando anche alternative al di fuori dell’orario scolastico che fungessero da laboratori di idee, fornendo una alternativa ad una intera generazione dispersa e distrutta, costretta a smerciare panetti di fumo, per campare tra centri scommesse, club, circoli che dovrebbero essere sociali ma in realtà spesso e volentieri sono bische, tutta la settimana. 
 
Questa realtà richiede coscienza, pazienza ed intelligenza e se si vuole debellare questa malattia che affligge le nuove generazioni, non si può pensare di inculcarla con una politica squisitamente repressiva. I giovani hanno buona idee, ma quasi nessuno che li ascolta con la massima attenzione, prestando cura alle loro paure, ai lori problemi alle loro incertezze, oltre alla cronica assenza di strutture adeguate per valorizzarle.
 
Giuseppe Parente
Questo articolo è stato pubblicato qui

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