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Assange, come si è arrivati all’appello per l’estradizione in Svezia

Oggi 12 e domani 13 luglio va in scena a Londra il processo di Appello contro la richiesta diestradizione in Svezia nei confronti di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, e legata alle accuse a sfondo sessuale a lui rivoltegli. Ma come si è arrivati alla richiesta, e come sono maturate le accuse che hanno tenuto Assange agli arresti domiciliari per 16 giorni? Ecco un estratto dal mio libro, Nessun segreto. Guida minima a WikiLeaks, l’organizzazione che ha cambiato per sempre il rapporto tra internet, Informazione e potere, che riassume i momenti fondamentali della vicenda:

È il 20 agosto, e Julian scopre da una fuga di notizie, questa volta dalle stanze giudiziarie e raccolta dal tabloid svedese Expressen, di essere ricercato per “stupro” e molestie sessuali. Le virgolette sono d’obbligo, perché nemmeno l’ipotesi accusatoria inquadra la vicenda all’interno del campo semantico comunemente associato alla parola. Assange è accusato per i rapporti sessuali avuti con due donne, Anna Ardin e Sofia Wilen (di 31 e 26 anni), almeno inizialmente consenzienti. Nel primo caso, tuttavia, Assange avrebbe rotto di proposito il preservativo, nel secondo si sarebbe rifiutato di indossarlo. Non solo: Assange si sarebbe anche rifiutato di sottoporsi, in seguito, a un test dell’Hiv da loro richiesto. Una circostanza, confermata dallo stesso Assange (ma «è ridicolo rivolgersi alla polizia per una cosa simile», ha detto a Today), che sarebbe stata decisiva per convincerle a sporgere denuncia.

Per la legge svedese se una donna revoca il proprio consenso in qualunque momento del rapporto sessuale, ma l’uomo si rifiuta di interromperlo, si tratta di «surprise sex», cioè «sesso a sorpresa». Che si possa definire “stupro” o meno una situazione simile, è proprio “stupro” la parola che rimarrà legata, nei media, alla vicenda. Un termine che i detrattori di Assange, in particolare quelli che vorrebbero vederlo alla sbarra negli Stati Uniti come «high-tech terrorist», non vedevano l’ora di poter associare all’uomo che ne ha sbattuto in rete i segreti.

Le accuse potrebbero avere conseguenze serie, fino a quattro anni di carcere, ma le circostanze in cui sono maturate sono piuttosto dubbie. Ardin per esempio il 14 agosto, il giorno dopo il «fattaccio», è immortalata dalle telecamere nel pubblico di una conferenza che vede Assange tra i relatori, per nulla alterata. La sera stessa darà addirittura una festa in suo onore, manifestando tutto il suo entusiasmo su Twitter alle due del mattino: «Seduta fuori; quasi congelata; con la gente più cool del mondo; veramente meraviglioso». Non esattamente lo stato d’animo di chi è stata violentata la notte precedente, tanto è vero che il tweet è rimosso (ma non dalla cache della pagina). Oltretutto, era stata Ardin a invitare Assange a stare nel suo appartamento, che avrebbe dovuto essere libero. Ardin, tuttavia, aveva deciso di anticipare il rientro di una sera. Quella del «fattaccio».

Da ultimo, come si è scoperto a marzo 2011, l’ispettrice di polizia che aveva condotto il primo interrogatorio ad Assange sarebbe una amica «particolare» di Ardin. Come dimostrato, secondo gli atti depositati in tribunale, da alcuni messaggi scambiati tra le due sui rispettivi blog e su Facebook, dove l’agente scrive che è giunta l’ora di «sgonfiare quel pallone gonfiato».

Quanto alle circostanze in cui sono maturate le accuse di Wilen, sarebbe stato decisivo non il primo rapporto sessuale avuto dai due a Enkoping, avvenuto con il consenso di entrambi, ma il secondo, che avrebbe avuto luogo in seguito, sostiene Wilen, mentre lei era addormentata, e in modo non protetto. Secondo la legge svedese fare sesso con una donna addormentata o incosciente può configurare un caso di stupro. Dopo quella sera Assange avrebbe fatto ritorno nell’appartamento di Ardin e, sostiene l’accusa, si sarebbe «improvvisamente spogliato nelle parti basse e [si sarebbe] strofinato su [Anna] con il pene eretto». Questa circostanza sarà la base per l’accusa di molestie sessuali.

Il 21 agosto, tuttavia, sono le stesse autorità svedesi a sostenere, per bocca del procuratore capo Eva Finne, che «non ci sia ragione di sospettare che [Assange] abbia commesso uno stupro». Cade dunque l’accusa più grave. Ma il primo settembre, dopo l’appello delle due donne, la decisione viene ribaltata dal procuratore Marianne Ny, e l’indagine per stupro è riaperta, motivando la scelta con l’arrivo di nuove informazioni sul caso.

Per Assange, che lascia la Svezia a fine settembre per iniziare l’ennesimo periodo di vagabondaggio della sua vita, si tratta di un complotto contro WikiLeaks. Il cui account su Twitter si infiamma: «Eravamo stati avvisati di aspettarci degli “sporchi trucchi”. Ora abbiamo il primo», scrive Assange. «L’intelligence degli Stati Uniti aveva pianificato di distruggere WikiLeaks già nel 2008», rincara. Anche se le donne negano alcun contatto con il Pentagono, e affermano di aver agito perché Assange «ha un’opinione distorta delle donne» e «non [gli] piace farsi dire di no».

Della vicenda non si sa più nulla fino al 18 novembre 2010, quando Ny spicca un mandato d’arresto nei confronti di Assange, sospettato di stupro, tre casi di molestie sessuali e coercizione illegale. Il 30 novembre Assange finisce nella lista dei ricercati planetari dell’Interpol, che lo marchia con una «red notice», ossia un invito ai vari Paesi del mondo a contribuire al suo arresto. Inutile l’appello alla decisione svedese dei legali del fondatore di WikiLeaks. Che si presenta volontariamente alla polizia britannica il 7 dicembre per farsi arrestare, è sbattuto al fresco fino al 16 e poi messo in libertà provvisoria su cauzione (200 mila sterline).

Risiede nelle campagne del Suffolk in casa dell’amico Vaughan Smith, un ex ufficiale e corrispondente di guerra. Il 24 febbraio il tribunale londinese di Belmarsh assegna il primo round della disputa per l’estradizione in Svezia alla magistratura. La difesa di Assange, che ha sempre negato categoricamente di aver commesso alcun reato, teme che questo possa essere il primo passo per una successiva estradizione negli Stati Uniti, e dunque a una incriminazione per spionaggio. Le cui conseguenze, secondo alcuni, potrebbero contemplare perfino la richiesta della pena di morte.

(Tratto da Nessun segreto, Mimesis, pp. 50-52)

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