"Arresto Differito": la legge non è uguale per tutti
Ci stiamo preparando a momenti difficili», dice il ministro dell’Interno in un’informativa al Senato sugli scontri di mercoledì scorso. E siccome questo che stiamo attraversando è uno di quei momenti il ministro Annamaria Cancellieri rivela di pensare all’«arresto differito anche per gli scontri di piazza». Una misura che rischia solo di aggravare la situazione in assenza di interventi capaci di comprendere le ragioni di fenomeni che non possono essere circoscritti a mere questioni di ordine pubblico.
La proposta del Ministro degli interni – insieme a numerose posizioni di sostegno dei partiti, compresa una parte del PD – è il segnale di una grave “recessione” culturale e politica in materia di gestione del conflitto sociale. L’arresto differito pone, peraltro per esplicita affermazione del Ministro, i manifestanti sullo stesso piano sociale dei teppisti da stadio. Il principio è inaccettabile sotto il profilo culturale, sociologico, politico e giuridico. I fenomeni di violenza – nati in un preciso contesto sociale – debbono innanzitutto essere compresi per la loro origine e, quindi, combattuti ed eliminati in ragione di un intervento preventivo, prima ancora che repressivo. Soprattutto con riferimento alle violenze negli stadi vi deve essere a monte la capacità dello Stato di mutare l’approccio culturale verso lo sport e la manifestazione sportiva. Mutazione che non deve riguardare solo i bambini ed i ragazzi quando si avvicinando alle discipline sportive, ma soprattutto i loro genitori capaci di veri e propri “atti teppistici”, degni degli hooligan, in competizioni riservate a categorie amatoriali.
Completamente diversa è la questione del controllo e della gestione del conflitto sociale e politico. L’ipotesi di introduzione del c.d. “arresto differito” può, anzi, addirittura, indurre ad una lettura in chiave “provocatoria” della misura, soprattutto se si considera che nessuna disposizione di legge è stata introdotta per reprimere fatti, ancora più gravi sul piano della tutela della collettività, come quelli accaduti al G8 di Genova e, successivamente, i comportamenti, illeciti, di soggetti appartenenti alle forze dell’Ordine. L’Italia è stata più volte richiamata dalla Comunità Internazionale per aver omesso di introdurre nel proprio ordinamento il reato di tortura e specifiche fattispecie in materia di abuso da parte di pubblici ufficiali. Ma nemmeno si è introdotta la pur semplice norma che consente di individuare e riconoscere, con un numero identificativo sul casco, gli agenti operanti. Ma, fatto ancora più inquietante, continua a mancare la “gestione della piazza” da parte dei corpi specializzati, che è l’aspetto di maggior rilievo per evitare, sul piano rigorosamente strategico, il degenerare verso scontri e violenze. Rimanere nell’ambito della “conta” tra azione e reazione ritenendo indispensabile discutere su chi ha iniziato prima a provocare è la più squallida delle analisi, almeno nella prospettiva di un approccio risolutivo del problema. Sono numerosi gli episodi di manifestazioni degenerate in gravi violenze da parte delle forze dell’Ordine nei confronti di manifestanti inermi e non violenti, come tristemente accaduto per i terremotati dell’Aquila o per i lavoratori della Sardegna non molto tempo orsono. L’incapacità e l’inadeguatezza di gestione di situazione così “semplici” crea ancora maggiori e gravi conseguenze laddove invece la protesta presnete obiettivi rischi di tensione.
La pochezza e scarsità di analisi da parte della classe politica è dimostrata dal limite intrinseco che caratterizza l’assunto di tutti i partiti: la libertà di manifestare non è in discussione ma la violenza è uno strumento inaccettabile. Certo non si può mettere in dubbio che la violenza non è il mezzo per raggiungere degli obiettivi, siano pure essi condivisibili. Ma occorrerebbe, altresì, precisare che nessun tipo di violenza è mai accettabile perché non si può consegnare al futuro una società che è costruita sulla violenza. Occorrerebbe comprendere e spiegare che questa società liquida si muove sulla violenza dell’esclusione ignorando l’inclusione e la tutela di chi “non riesce” (come ha affermato lucidamente Z. Baumann in “società liquida”).
Questa “faziosa” ed omogenea ottusità politica è grave, innanzitutto, per le conseguenze alle quali può condurre. Queste “nuove misure di contrasto” hanno una singolare somiglianza con la c.d. Legge Reale del 1975 che affrontò, su un piano militare, un conflitto sociale di analoghe dimensioni, seppure diverso, a quello attuale. La storia dovrebbe insegnare che quella legge non servì a nulla e che, anzi, gli “agenti infiltrati” nelle manifestazioni furono causa di ulteriori scontri ed inutili morti. Per coloro che hanno resettato la memoria è bene rammentare come a Roma, Giorgiana Masi, manifestante radicale e non violenta, venne coinvolta e poi uccisa in scontri di piazza ove attraverso delle fotografie si individuarono agenti infiltrati intenti a far scoppiare le violenze. Solo l’assenza dell’elettronica e del digitale impedì di divulgare episodi che nel tempo sono continuati senza alcuna soluzione. Occorrerebbe fermarsi a riflettere, e seriamente, su quali orrori quella repressione ebbe a generare (dalla ferocia del terrorismo politico alle torture più volte denunciate). Ma, soprattutto, è indispensabile comprendere come nasce il conflitto, come si generano fenomeni che necessitano di una “spiegazione” di contesto e non di “particolare”. Non è sufficiente constatare che aumenta sempre di più il divario economico tra “ricchi” e “poveri” e che il governo della cosa pubblica è vittima delle esigenze dell’economia e della crisi globale: queste sono semplici conseguenze di una mutazione assai profonda degli assetti sociali e politici del sistema “occidentale” e del capitalismo. Nei Paesi della Comunità Europea, come pure negli USA ed in particolare in Italia il profondo “scollamento” tra politica e “cittadini” (che si misura in termini di sfiducia, astensione elettorale, ma pure con il crescere di movimenti erroneamente liquidati come populisti) è determinato dall’assoluta assenza di tutte quelle organizzazioni ed associazioni che costituivano un momento di mediazione “forte” tra potere e cittadino. La tendenza attuale è, invece, quella di cancellare differenze ideologiche all’interno dei partiti in funzione di un interesse generale del Paese, quasi che non possano esistere visioni tra loro alternative dell’interesse generale. Accanto ai partiti pure le organizzazioni sindacali sono state destrutturate, ma soprattutto si sono autodistrutte. La gravità di questo fenomeno non è nell’assenza in sé, ma nella inesistenza di una seria capacità di influenzare ed incidere sulle scelte di governo in maniera “mediata” rispetto alla concreta situazione sociale. In questo contesto è inevitabile l’acuirsi del conflitto e la sempre maggiore radicalità delle forme di protesta non più contenute o contenibili in obiettivi, istanze o programmi politici adeguatamente strutturati e conformi alle esigenze della popolazione. Le azioni di Occupy Wall Street negli USA e le proteste in Spagna si sono caratterizzate per non poche ondate di violenza e repressione, così come l’aspetto di maggior incidenza delle violenze è stato registrato in Grecia. Laddove poi la protesta è stata – non contenuta – ma strutturata da organizzazioni capaci di proporre un progetto politico concreto, proprio le stesse violenze hanno avuto una netta inversione di tendenza (i movimenti a favore degli sfrattati in Spagna) o non si sono manifestate in maniera altrettanto grave o totalizzante (il movimento cinque stelle in Italia è stato capace di orientare ideologicamente e politicamente fenomeni che ben avrebbero potuto sfociare in gravi violenze).
I partiti, soprattutto quelli di riferimento per la sinistra, si sono dimostrati gravemente inadeguati ed incapaci di comprendere questi meccanismi ed intervenire, così che la fase politico e sociale che si prospetta si caratterizza per una ingravescente “recessione” del conflitto su un piano esclusivamente “militare” o di “ordine pubblico”. Inevitabilmente si assiste ad un “ritorno” del Potere “forte con i deboli” e “debole con i forti”. Si prevede l’arresto differito dei manifestanti responsabili di azione violente, ma si omette di ottemperare ai precetti internazionali che vorrebbero anche in Italia l’introduzione del reato di tortura e di specifiche fattispecie per gli abusi dei pubblici ufficiali. Come pure, in altri e diversi ambiti economici e sociali, le cartelle di Equitalia portano alla disperazione piccoli imprenditori, ma numerose azioni esecutive nei confronti dei debiti erariali scoperti a carico di personaggi facoltosi sono rimaste inattive. Solo apparentemente queste situazioni si trovano agli “opposti”: in realtà denunciano l’esistenza di un comune denominatore che investe l’intera struttura sociale ed istituzionale. L’arroganza della burocrazia e della corruzione che ne deriva o l’iniquità delle misure economiche non sono meno violente ed abusanti dei lacrimogeni lanciati ad altezza uomo. Pure la lesione ai diritti ed agli interessi delle vittime è egualmente profonda. Sotto diversi aspetti è comunque “stuprata” la dignità e la libertà del singolo.
Il recupero della legalità non si muove da norme esistenti ma dall’introduzione di ciò che è carente. Non si può ritenere ammissibile che il falso in bilancio rimanga privo di sanzione in un ordinamento economico capitalista, ma negli stessi termini non è socialmente (e giuridicamente) accettabile che la BCE possa foraggiare le Banche nazionali prestando denaro al ridicolo tasso dell’1% e contestualmente numerose attività imprenditoriali trasferiscano la produzione in Paesi ad economia debole dove ricevono sovvenzioni addirittura superiori al costo del lavoro moltiplicato per diversi anni (OMSA e FIAT in Serbia sono gli esempi peggiori). Con l’aggravante che gli ammortizzatori sociali rimangono a carico dei Paesi “abbandonati”. Dovrebbe essere dovere degli Stati e della stessa Comunità regolare e disciplinare questi fenomeni che sono a fortissima tensione sociale. Ed è quindi, inevitabile, che il medesimo criterio venga adottato rispetto all’ordine pubblico: un processo rapido e celere per il manifestante violento sorpreso a commettere reati; un processo lungo complesso, giocato sul filo della prescrizione, per il pubblico ufficiale egualmente sorpreso a picchiare sul volto un manifestante inerme ed a terra. Una complessiva e gravissima violazione dei uno dei principi fondanti della democrazia e dello Stato di diritto: l’eguaglianza di tutti davanti alla legge.
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