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Aprire gli occhi su questo silenzio, The Look of Silence

Il 31 marzo scorso, in alcune sale italiane del circuito UCI Cinemas, è stato proiettato il film The Look of Silence, di Joshua Oppenheimer; Amnesty International si è resa promotrice di questa proiezione.

Nel contesto indonesiano, il paesaggio magnifico e la lussureggiante foresta di palme si contrappongono al colore sanguigno del colpo di stato del generale Suharto, avvenuto tra il 1965 e il 1966. Il contrasto è proprio tra la pace lucente, bucolica di quei luoghi e gli orrori avvenuti solo 50 anni fa, che vengono raccontati e mimati con assoluta naturalezza da chi li commise. Si è trattato di un massacro insensato in cui circa mezzo milione di persone furono seviziate e uccise nel corso di numerosi, efferati eccidi ai danni di militanti comunisti o presunti tali.

Si tratta di un film penetrante e autenticamente orribile, girato con un superbo senso visivo, un amore spassionato per il paesaggio indonesiano, in cui gli scambi di dialogo sono catturati con una freschezza agghiacciante. Il protagonista del film è Adi, un ottico che gira per i villaggi per curare le malattie agli occhi degli anziani. Questa è la scusa con cui spesso riesce a incontrare i responsabili dell’eccidio dello Snake River. Lui è nato due anni dopo l’assassinio del suo unico fratello, mutilato e ucciso da alcuni membri del Komando Aksi. Adi, nel corso del film, metaforicamente apre loro gli occhi di fronte all’evidenza, gli fa vedere realmente cosa hanno fatto.

Vediamo Adi impassibile guardare per ore le registrazioni realizzate per la precedente pellicola, e poi voler incontrare di persona gli assassini del fratello, guardarli in faccia, poterli perdonare. Con grande calma e dignità Adi espone i fatti, e il più delle volte non riesce a proferire parola di fronte alle persone che intervista. Ancora una volta ci troviamo di fronte a due modi di vedere e rileggere la Storia. Da una parte, si è costretti ad ascoltare una buona dose di alibi circa l’obbedienza agli ordini o una sorta di silenzio introspettivo o una strategica ritirata nei sintomi dell’Alzheimer. Ma spesso c’è una risata che indica che questa era una cosa che doveva essere fatta. Dall’altra parte, c’è il punto di vista di chi è nato addirittura dopo quel momento storico, di chi è sopravvissuto ed è costretto a vivere lì, a costruire le proprie vite sotto lo sguardo attento degli uomini che hanno assassinato impunemente i suoi cari.

Dal racconto scopriamo anche un dettaglio macabro. Molti dei responsabili sembravano credere che bere il sangue delle vittime avrebbe evitato loro di impazzire. Questo particolare sconvolgente sembra rendere inutile qualsiasi tentativo di analisi politica di fronte a persone che, forse, nel profondo del loro cuore, avevano già riconosciuto di essere impazzite.

Il regista filma con una raffinatezza formale che distoglie dall’orrore. Ci sono parti del racconto che si distaccano dal confronto tra Adi e gli assassini di suo fratello, mostrando la sua famiglia in momenti di commovente dolcezza. Particolarmente persuasiva è la breve serie di sequenze in cui vediamo la madre che pulisce amorevolmente suo marito, entrambi incapaci di abbandonare una vita che è ormai sinonimo di dolore, come se fossero stati condannati a non morire mai.

L'amorevolezza dei genitori anziani

L’amorevolezza dei genitori anziani

Dall’ultimo Rapporto Annuale di Amnesty International emergono ancora violazioni dei Diritti umani in diverse parti dell’Indonesia, dove sono state raccolte segnalazioni di torture e di esecuzioni extragiudiziali da parte delle forze governative anche dopo la caduta di Suharto. Molti sostenitori pacifici dell’indipendenza sono stati incarcerati e diversi leader religiosi e delle comunità sono stati recentemente minacciati da membri delle forze armate. Le preoccupazioni di Amnesty sono rappresentate in The Look of Silence, un film che mette al tappeto gli stomaci, fruga la banalità del male, stende le coscienze, sì, le nostre. Un film cruento: non si vede nulla, ma c’è tutto. Pericolo compreso: nei titoli di coda gli “anonimo” fioccano tra cast e troupe, Adi ha dovuto cambiare villaggio, Oppenheimer in Indonesia non potrà mai più mettere piede.

Chiara Parapini per Segnali di Fumo

Questo articolo è stato pubblicato qui

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