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Appunti sulla cultura del lavoro tra liberalcapitalismo e postmodernismo

La proposta di Letta di istituire un’imposta patrimoniale per costituire un fondo a favore dei giovani, che dovrebbe servire per l’Università o per avviare un’attività imprenditoriale, è da inserire nel cambio di paradigma che vuole il lavoro non più un diritto ma un dovere, secondo la logica del Ministro Fornero.

 La proposta è stata respinta dal Presidente del Consiglio Draghi, la destra Conservatrice si è opposta alla proposta avanzata da Letta sostenendo la decisione del Presidente del consiglio. La destra conservatrice si è schierata a difesa dell’idea che solo riducendo il prelievo fiscale sui patrimoni e sui redditi alti è possibile liberare risorse utili al rilancio dell’economia, in sostanza la teorie del trickle-down rappresentata dalla curva di Laffer; la destra Liberale, il PD e il ceto di opinionisti e intellettuali che gravitano nella sua orbita si sono immediatamente affannati a sostenere la proposta di Letta come di sinistra e a sottolineare come essa fosse stata sostenuta da Liberali come Einaudi e Keynes. La proposta avanzata da Letta non molto tempo fa è l’altra faccia della medaglia rispetto all’idea avanzata da Renzi di un referendum per abrogare il reddito di cittadinanza. Entrambi gli istituti vanno inquadrati nel contesto economico e sociale nel quale devono operare. Come spiegano Van Parijs e Vanderborght [1] l’idea di introdurre strumenti quali reddito di base, nel caso specifico il reddito di cittadinanza, o una dotazione di base secondo la proposta avanzata da Letta sono rintracciabili a partire dalla fine del XVIII secolo interessando sia la destra che la sinistra ( solo per memoria le categorie politiche di destra e sinistra nascono proprio sul finire del 700 durante la Rivoluzione francese). I due autori, per inciso, appartengono alla schiera di coloro che da Sinistra sostengono la necessità di introdurre istituti quali il reddito di cittadinanza. Le argomentazioni che utilizza Renzi, ossia che << il reddito di cittadinanza è diseducativo>> non sono molto diverse da quelle di Pinochet quando, dopo il Golpe dell’11 settembre 1973, attuò una serie di provvedimenti miranti a smantellare le politiche economiche e sociali attuate da Allende. Le posizioni espresse da Letta e Renzi provano che non sono gli istituti in se ma la finalità che ad essi viene attribuita a fare la differenza. Per fare un esempio il welfare state non nasce nei sistemi politici Liberali; ma il primo degli Stati a dotarsi di un tale strumento fu la Germania di Bismarck <<Insomma il welfare state sembra essere un ben più generale fenomeno di modernizzazione , non esclusivamente vincolato alla sua versione democratico – capitalista. La generalità di questo fenomeno può essere chiarita facendo ricorso ad alcuni concetti di Durkheim. Adottando il suo punto di vista, il welfare state può essere considerato come un tentativo di creare una nuova forma di solidarietà in società altamente differenziate, e come un tentativo di risolvere i problemi connessi con la divisione del lavoro, che costituisce per lui il processo fondamentale di trasformazione strutturale nelle società modernizzanti. La divisione del lavoro indebolisce le antiche associazioni e i poteri intermedi, e aumenta così le occasioni di individualizzazione. Reagendo alla necessità di regolare i nuovi, molteplici processi di trasformazione, la vita sociale viene centralizzata>> [2]. Per motivazioni contrarie potremmo dire che istituti come il reddito di cittadinanza o di una dotazione di base sono gli strumenti che il liberal – capitalismo post moderno mette in campo per affrontare la “ Modernità liquida”[3] . << Nel mondo liquido – moderno la solidità delle cose, tanto quanto la solidità dei legami umani, viene interpretata come una minaccia: qualsiasi giuramento di fedeltà, gli impegni a lungo termine, preannunciano un futuro gravato da vincoli che limitano la libertà di movimento e riducono la capacità di afferrare al volo le nuove, e ancora sconosciute, occasioni. La prospettiva di “accollarsi” qualcosa per il resto della vita è assolutamente ripugnante e spaventosa. E dato che anche le cose più desiderate invecchiano rapidamente, non c’è da meravigliarsi se esse perdono subito il loro lustro e si trasformano, in poco tempo, da distintivi di onore in marchi di vergogna[4] . Strumenti come reddito di cittadinanza e dotazione di base sono strumenti finalizzati alla gestione degli “scarti” prodotti dal convergere sullo stesso piano del liberal-capitalismo con la filosofia postmoderna.[5] Di contro l’eliminazione di istituti come i due che ho citato sono finalizzati a stigmatizzare gli “scarti” come responsabili dell’essere appunto “scarti”.  Siamo alle solite: l’establishment liberal- capitalista, attraverso i media e gli intellettuali di riferimento tenta di accreditare l’idea che esistono un liberalismo buono ed uno cattivo: buono è quello di Einaudi e Keynes , cattivo è il neoliberalismo di von Hayek[6] e Friedman; peccato solo che la proposta di Letta e quella di Renzi siano entrambe parte integrante del pensiero di questi ultimi due. Questo per evidenziare come la questione, ancor prima che essere di teoria economica e di modello di Stato, è di cultura politica e nello specifico di cultura del lavoro. Che l’idea di una patrimoniale sia una proposta culturalmente Socialista e Democratica non c’è ombra di dubbio ed è altrettanto certo che la proposta avanzata da Letta di utilizzo del maggior gettito fiscale è di destra come è di destra la proposta avanzata da Renzi di abrogare il reddito di cittadinanza. Il prelievo fiscale sui redditi e sui patrimoni segna il passaggio dall’idea del diritto di proprietà Liberale, per cui la libertà individuale si fonda sulla proprietà privata partendo dall’idea che ciascuno individuo è proprietario di se stesso; all’idea di proprietà Democratica e Sociale ossia la funzione sociale della proprietà privata. Principio quest’ultimo come la progressività dell’imposta fatto proprio dalla Costituzione della Repubblica di Weimar e dalle Costituzioni nate all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, tra le quali la Costituzione italiana. Non è un caso che gli strali di agenzie come J.P. Morgan, tramite gli intellettuali di riferimento, sono stati sempre diretti contro le Costituzioni nate dopo il secondo conflitto mondiale ritenendole Socialdemocratiche. L’essere passati dal Costituzionalismo Liberale ad un Costituzionalismo Democratico e Sociale, sul piano della difesa degli interessi di classe, ha posto seri problemi all’establishment finanziario e capitalista a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso come si evince dalla Commissione Trilaterale[7]: << (…) Le varie assicurazioni sociali, la libertà di associazione, i diritti contrattuali, il diritto di sciopero e le assemblee dei lavoratori sono tutte cose che danno un’ampia protezione e larghe possibilità di interventi correttivi. Tuttavia , sono sorti due nuovi problemi di fondo, che assumono un rilievo maggiore mentre si allontanano quelli più vecchi . Il primo riguarda la struttura operativa dell’impresa ed il secondo il contenuto del lavoro stesso Entrambi questi problemi richiedono un nuovo tipo di intervento attivo , che riveste grande importanza per l’equilibrio interno e per la governabilità di ciascuna società>>. Gli interventi di tipo organizzativo che proponevano Crozier, Huntington e Watanuki sono quelli che un po’ alla volta, attraverso crisi create ad hoc, abbiamo visto realizzarsi nel corso degli ultimi quarant’anni.  La proposta di Letta come quella di Renzi da Sinistra, sono entrambe criticabili perché, anche se in diverso modo, sono funzionali al liberal - capitalismo postmoderno. Pensare quindi che quella di Letta sia stata una proposta di Sinistra, mentre quella di Renzi sia invece di Destra, prova come i ceti politici e intellettuali siano lontani anni luce dalle classi sociali subalterne, da quelle classi sociali impoverite da anni da politiche che hanno posto al centro l’idea Liberale del diritto proprietario e la filosofia post moderna[8], entrambe fondate sull’esaltazione individualista che fa il paio con il mercato, la globalizzazione, la restaurazione dello Stato come sovrastruttura politico – giuridica funzionale alla costruzione di un sistema che per molti versi richiama il feudalesimo[9] . L’idea del reddito di cittadinanza come l’idea di una sorta di fondo da conferire ai giovani non hanno nulla di Democratico e Sociale. Sono strumenti finalizzati a mediare i potenziali conflitti sociali e a creare una massa di individui in competizione tra di loro oltre che dei drogati dell’assistenza. Che l’obiettivo di strumenti come quello che ho citato sia mediare i potenziali conflitti sociali si evince, tra le tante altre cose, dal dibattito in corso sulla Costituzione. Si parla di sistema elettorale, si cita il 1° comma dell’art. 3 della Costituzione ma mai il 2° comma dell’art. 3 che recita << E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese>> . Questo articolo letto in combinato disposto con l’art. 36 della Costituzione che recita<< Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa>> attribuisce significato morale e politico al lavoro andando oltre la questione strettamente economica. Alla luce di questi articoli e di molti altri che andrebbero letti come linea programmatica per la costruzione di un sistema politico Democratico e Sociale, lo spiegava molto bene il giurista Carlo Lavagna[10], provvedimenti come la proposta avanzata da Letta sono l’equivalente del “soma”, la droga ideale descritta da Aldous Huxley[11] ne “ Il Mondo nuovo”: «Mezzo grammo per un riposo di mezza giornata, un grammo per una giornata di vacanza, due grammi per un'escursione nel fantasmagorico Oriente, tre per un'oscura eternità nella luna.» Cosa sono i vari istituti che elargiscono provvidenze e sostegno a coloro che non raggiungono un certo livello di reddito in mancanza di politiche che mirano a creare lavoro o a ridistribuirlo nel caso in cui non fosse sufficiente per tutti? Sono il soma appunto che consente ad una massa di disperati di sopravvivere contribuendo a quell’esercito industriale di riserva fatto di precari, lavoratori poveri, disoccupati e peggio ancora di persone che prestano la propria attività lavorativa a titolo gratuito, si pensi all’Expo di Milano[12]. Il sociologo britannico Standing[13] in un suo saggio dal significativo titolo “ Precari” ha ben descritto la condizione di chi cerca lavoro o forse è più giusto dire la cultura del lavoro egemone. Tra le tante criticità Standing cita, ad esempio, il tempo che viene impiegato per cercare lavori a tempo determinato. Proprio perché conosce in modo approfondito la questione propone il reddito di base perché è l’unico strumento in grado di evitare che il sistema capitalista salti essendo i lavoratori precari la classe esplosiva.[14] Tempo spesso sprecato che produce frustrazioni contribuendo alla disistima. Altrettanto bene lo hanno fatto Ken Loach nel film “ Io, Daniel Black” e Paolo Albanese nel film “ L’intrepido”. La narrazione dominante sostiene che, per la prima volta nella storia dell’umanità, l’innovazione tecnologica eliminerebbe lavoro senza crearne altro e da qui l’idea di introdurre un reddito universale da attribuire a tutti i cittadini indipendentemente dalla ricchezza posseduta e slegato dal lavoro. Come scrive Rifkin << Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e le forze del mercato globale stanno rapidamente polarizzando la popolazione mondiale in due forze inconciliabili e potenzialmente conflittuali : una élite cosmopolita di “analisti di simboli” che controllano le tecnologie e le forze di produzione; e un crescente numero di lavoratori permanentemente in eccesso, con poche speranze e ancor meno prospettive di trovare un’occupazione significativa nella nuova economia globale ad alta tecnologia>> [15]. La soluzione che propone Rifkin per far fronte ad una trasformazione che vede la “fine del lavoro” è l’ipotesi che tende sempre di più a concretizzarsi: il salario sociale per i servizi alla collettività. <<Lo Stato dovrebbe anche analizzare la possibilità di offrire finanziamenti e sovvenzioni a quelle organizzazioni no profit che selezionano e addestrano individui in difficoltà per impiegarli nella propria organizzazione. Un salario sociale – in alternativa all’assistenza – per milioni di poveri del Paese in cambio di lavoro da prestare presso organizzazioni del terzo settore non sarebbe di conforto solo a chi lo riceve , ma anche utile all’intera comunità che beneficia di tali attività volontaristiche. La creazione di un nuovo legame di fiducia e di un condiviso senso di dedizione al benessere collettivo e agli interessi della comunità in cui si vive è ciò di cui si ha un disperato bisogno se si vuole ricostruire il senso di appartenenza a una comunità e gettare le fondamenta per una società più giusta (…)>> . Con la liberazione di Adam dal lavoro si tornerà ai fasti dell’antica Grecia dove Ἀριστοκρατία comprenderà la società nella sua interezza con il lavoro che verrà svolto non da schiavi ma da macchine.[16] L’otium grazie alle innovazioni tecnologiche, sarà la nuova condizione esistenziale dell’uomo post moderno.[17]  Ebbene idee di questo genere sono fuorvianti e mirano a creare un sistema sociale fatto di sudditi e non di cittadini liberi. L’idea che si possa percepire un salario slegato dal lavoro porta con sé una diversa cultura del lavoro. La filosofia di fondo è quella che nel “Mondo nuovo” l’individuo possa essere liberato dal lavoro stesso. Al lavoro che non è più lavoro ma azione di volontariato si aggiunge contrappone il lavoro vero e proprio ossia quello retribuito, quello che diventa bene posizionale che definisce lo status sociale[18]. Perché se non fosse chiaro non è che il lavoro, grazie alla tecnologia, scomparirebbe del tutto: continueranno ad esistere un lavoro di qualità e una molteplicità di prestazioni lavorative che nessuno sarà disposto a fare nemmeno come attività di volontariato. Come risponde all’intervistatore R. Baldwin alla domanda “ Le nuove tecnologie distruggeranno vecchi lavori ma se ne creeranno altri? << Si, ma con orizzonti temporali disallineati. La sostituzione dei vecchi lavori viene scandita dal ritmo della tecnologia digitale, mentre la creazione dei nuovi dipende dall’ingegnosità umana (…)[19] . R. Baldwin analizza i processi in corso e come siano nella disallinearità temporale le ragioni che determineranno in modo radicale il cambiamento della cultura del lavoro.[20]Il lavoro di qualità diventerà, come dicevo, status sociale, un bene posizionale che finirà con l’individuare la posizione dominante delle classi sociali alte. I lavori non di qualità finiranno con l’essere imposti coattivamente alle classi sociali subalterne. Nel primo caso il lavoro identificherà chi sta al vertice della gerarchia sociale, nel secondo caso come stigma che identifica la massa amorfa confinata ai margini di un sistema sociale sempre più gerarchizzato contraddistinto da un alto livello di disuguaglianza. Obiettivo di questo mio scritto, certamente non esaustivo, è quello di provare a far emergere le contraddizioni presenti nell’ambito dei vari filoni culturali che in modo diverso si richiamano alla Sinistra. Dietro parole d’ordine che richiamano Marx reinterpretato dalla sinistra post moderna e post strutturalista si nascondono le insidie proprie del sistema capitalista. Scrive R. Dore[21] << Nel Regno Unito cresce il timore nei confronti di ciò che è definito comportamento antisociale – “ quell’insieme minaccioso di piccoli crimini e infrazioni ( …) inciviltà, disordini e fastidi”,generalmente considerato una conseguenza dell’esclusione sociale. Già nel 2003 il governo inglese ha varato una legge contro il comportamento antisociale. Se tutti questi timori riaccendono la coscienza del ricco, che tipo di risposta si affermerà? Al momento attuale molti sembrano a favore di una linea che trova espressione in un numero di organizzazioni tra cui il BIEN, Basic Income European Network, è quello dominante. (…) Di conseguenza sembrerà – dovrebbe sembrare un’alternativa sensata abolire tutti gli schemi di sussidi previsti dallo stato sociale tranne che per alcune pensioni di disabilità – al costo, poniamo del 40% del PIL – e pagare a ciascuno un reddito sufficiente per sopravvivere, semplicemente come diritto fondamentale insito nella cittadinanza. Questo diritto dovrebbe accompagnarsi all’obbligo di svolgere un lavoro utile alla comunità – qualcosa di più stabile del servizio civile che rimane come residuo (…)Molti di quelli che ora sono i lavori meno retribuiti dovrebbero essere svolti grazie al servizio civile, inclusi molti dei lavori di assistenza per i quali al momento c’è bisogno ma non c’è una domanda effettiva perché chi ha bisogno è troppo povero. La disoccupazione come concetto amministrativo verrebbe abolita. Il non – impiego, come problema economico di sottoutilizzo delle risorse nazionali, non deve costituire un problema finchè il denaro e la prospettiva di livelli di consumo più elevati, sempre più accompagnati dalla realizzazione personale, continueranno a fornire una motivazione al lavoro. Il problema sociale della perdita di dignità che ora colpisce i disoccupati verrà eliminato se alle persone meno impiegabili, che hanno difficoltà a trovare un lavoro, si unissero nella loro condizione di inoccupazione poeti e giardinieri che preferiscono scrivere poesie o curare i giardini piuttosto che fare più soldi, e nessuno si preoccuperebbe di distinguere gli uni dagli altri>>. In questa logica rientra la narrazione che alimenta l’idea del lavoro gratuito. Gli effetti di questa narrazione li abbiamo visti durante l’Expo a Milano [22] << (…) ciò che il laboratorio Expo 2015 ha testato sul corpo vivo della società è il lavoro gratuito come condizione normale dell’attività produttiva. >> Da notare che R. Dore avanzava una tale ipotesi nel 2004, il caso dell’Expo e del 2015. Nell’arco di tempo considerato abbiamo avuto la crisi finanziaria dovuta alla bolla finanziaria degli hedge found e successivamente la crisi dei debiti sovrani. Crisi economiche e finanziarie, non superate, alle quali si è aggiunta la crisi pandemica che ha aggravato ulteriormente le già precarie condizioni economiche. Pertanto più che liberare l’uomo dal lavoro la questione è liberare il lavoro dallo sfruttamento. Perché ciò sia possibile, ancora prima di pensare a istituti come il reddito di base o una dotazione, serve mettere in campo una filosofia del lavoro che riscopra il senso morale del lavoro, la sua funzione pedagogica e politica. Pensare, come sostengono alcuni, che bisogna dare a tutti un reddito di base incondizionato non equivale a liberare l’uomo dal lavoro. Quella del reddito di base o di una dotazione di base universali sono il risultato di un approccio economicista che perde di vista l’obiettivo fondamentale e cioè il superamento del sistema capitalista. Tali istituti sono esattamente l’altra faccia del liberalcapitalismo che converge sullo stesso piano della filosofia post moderna. Per cui faccio mie le preoccupazioni espresse da Polanyi citando il disastro sociale prodotto da un intervento legislativo nell’Inghilterra del 1795 [23]<<Con la Speenhamland Law un individuo veniva aiutato anche se aveva un lavoro fintantoché il suo salario ammontava a meno del reddito familiare che gli era assegnato dalla scala […]. Alla lunga il risultato fu agghiacciante. Per quanto occorresse del tempo affinché il rispetto dell’uomo comune cadesse così in basso da preferire il sussidio per i poveri al salario, i salari che venivano integrati per mezzo di fondi pubblici erano in numero illimitato tanto da spingerlo a sostenersi ad essi. Poco a poco la gente della campagna fu immiserita, l’adagio «una volta il sussidio, sempre il sussidio» era una verità(…)Se Speenhamland produsse un vero e proprio disastro per il popolo, Vienna conseguì uno dei più spettacolari trionfi culturali della storia occidentale. L’anno 1795 condusse a una degradazione senza precedenti delle classi lavoratrici alle quali si impediva di raggiungere il nuovo status di operai dell’industria. Nel 1918 iniziava un’ascesa morale e intellettuale ugualmente senza precedenti nelle condizioni di una classe lavoratrice industriale molto sviluppata che, protetta dal sistema di Vienna, resisteva agli effetti degradanti del grave sconvolgimento economico e raggiungeva un livello mai superato dalle masse popolari in nessun paese industriale>>. [24] Lavoro e povertà sono strettamente connessi e assecondare l’idea che le criticità insite nel rapporto tra lavoro e povertà possano essere affrontate e risolte con istituti come il reddito di cittadinanza o la dotazione di base è fuorviante ed è funzionale alla logica del liberal capitalismo supportata dalla “condizione post moderna” [25] che contribuisce all’esaltazione dell’individualismo. Per  il momento concludo qui limitandomi a richiamare il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione << E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.>> e l’art. 4 della Costituzione << La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società>>

 

 

 

[1] P. Van Parijs Y. Venderborght – Il reddito di base. Una Proposta radicale. Ed. il Mulino

[2] A cura di P. Flora e A.J. Heidenheimer – Lo sviluppo e del welfare state in Europa e in America ed . il Mulino 1981

[3] Z. Bauman – Modernità liquida ed. Laterza 2002 

[4] Porcheddu A. , Bauman Z. Intervista sull’educazione , sfide pedagogiche e modernità liquida . Anicia editore, cit. in “ Il dilemma del lavoro liquido. Dal “ posto fisso “ alla formazione permanente” di Anna Maria Colaci MeTis Anno VII Numero 1 06/2017 .

[5] Bauman Z. Vite di scarto ed. Laterza 2005

[6] Hayek F.A. Legge, legislazione e libertà. Critica dell’economia pianificata, Il Saggiatore, Milano, 2010 (1973).

[7] M. J.Crozier – S.P. Huntington – J. Watanuki – La crisi della Democrazia. Rapporto sulla governabilità delle democrazia alla Commissione trilaterale – Franco Angeli Editore 1977

[8] L. Boltanski – E. Chiapello – Il nuovo spirito del Capitalismo. Ed Mimesis 2014

[9] Paolo Gila Capitalesimo. Il ritorno del Feudalesimo nell’economia mondiale. Ed. Bollati Bornghieri 2013

[10] C.Lavagna – Costituzione e Socialismo ed. il Mulino

[11] A. Huxley – Il mondo nuovo. Ed. Mondadori

[12] F. Chicchi, E. Leonardi, S. Lucarelli – Logiche dello sfruttamento. Oltre la dissoluzione del rapporto salariale. Ed. Ombre corte.

[13] G. Standing – Precari . Ed.il Mulino

[14] Intervista a Guy Standing Il Fatto quotidiano del 24 febbraio 2016.

[15] J. Rifkin La fine del lavoro. Ed. Baldini&Castoldi.

[16] D. De Masi - Il futuro del lavoro- Ed. Rizzoli

[17] D. Masi – Ozio creativo – Ed. BUR 

[18] R. Dore Il lavoro che cambia ed. il Mulino

[19] Intervista a R. Baldwin rilasciata il 6 febbraio 2020 a Simone Paliaga per Avvenire.

[20] R. Baldwin – Rivoluzione globotica. Globalizzazione, robotica e futuro del lavoro . ed. il Mulino 

[21] R. Dore – Il lavoro nel mondo che cambia Ed. il Mulino 2005

[22] F. Chicci, E.Leonardi, S. Lucarelli Logiche dello sfruttamento. Oltre la dissoluzione del rapporto salariale. Ed. Ombre Corte 2016 

[23] Polanyi K., La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, Torino, 2010

[24] Morlicchio E. Sociologia della povertà Ed il Mulino 2012

Lyotard F. La condizione postmoderna Ed . Feltrinelli 2008

Foto: Pixabay

 

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