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Anni zero. La nascita della “mentevalanza”

Sono giovani (ma non troppo), neo-laureati, titolari di specialistiche, master, corsi di alta formazione. Ma anche 600 euro al mese vanno benone. Come si è arrivati a tale cambiamento percettivo?

Meno di un anno fa, nel corso di un colloquio di lavoro presso un importante multinazionale del settore recupero crediti, salta fuori il ribaltamento dei valori. La diversa prospettiva che ti impone il “sistema”, dopo anni e anni di erosione delle coscienze. D'altronde il potere deve esistere e cibarsi in qualche modo, anche se ci si ostina a chiamare democrazia la semplice accettazione dell'esistente e non la possibilità che qualcosa cambi. I fatti. L'offerta di lavoro in questione prevede uno stage retribuito a 600 euro al mese per sei mesi, con possibilità di proroga a 800 per i successivi sei. La giornata lavorativa è completa (ora si dice full-time) con pausa pranzo di un'ora.

Il colloquio è di gruppo. A parecchi non pare vero il fatto che “si tratti di un semplice lavoro di “ufficio” e non di vendere qualcosa per strada o porta a porta”. E poi “la paga è buona, ormai gli stage non sono nemmeno retribuiti”. Sono i commenti principali dei candidati, ognuno dei quali deve presentarsi e motivare la sua scelta, perché ha voluto partecipare alla selezione, ecc. ecc. Il 99% dei partecipanti al colloquio ha una laurea, quasi la metà addirittura un master, qualcuno ha partecipato a percorsi di formazione o stage all'estero, insomma, un potenziale “mentale” piuttosto alto. C'è un unico ragazzo che non è d'accordo e lo dice platealmente, nel corso della sua presentazione. “Non capisco questo entusiasmo per un posto da impiegato a 600 euro al mese” dice chiaramente. “Io sono un neo-laureato in ingegneria gestionale col massimo dei voti e francamente trovo eccessivo essere contenti di un'occupazione del genere. Per questo intendo rinunciare alla mia candidatura”.

La selezionatrice, che non si aspettava una risposta del genere, quasi a voler stroncare ogni polemica replica “Quanti anni hai?” E lui “28”. Lei a quel punto trova l'asso nella manica e ribatte “Beh...dal tuo curriculum risulta che non hai esperienze, secondo me non ti conviene rifiutare così su due piedi questa proposta. Ormai il mercato del lavoro è questo. La nostra azienda è una delle poche che paga uno stage in maniera così elevata”. E poi, ammette “esercita un turn-over ampio anno dopo anno”. All'improvviso, poi, la domanda che non ti aspetti. “Senti, ma per parlare così starai ancora in casa con i tuoi genitori, vero?”. E lui, intimidito, quasi inorridito da quel quesito inatteso, risponde con un flebile “Sì”. L'avesse mai detto. La selezionatrice gonfia i muscoli del suo orgoglio e afferma “Vedi, anch'io sono laureata in filosofia, da parecchi anni ormai, ma ho accettato un lavoro che non ha nulla a che fare col mio percorso di studi perché nel nostro Paese funziona così. Intanto ora non sto più a casa con i miei”. Dopo l'ora e mezza di colloquio ascolto le voci e i commenti degli altri candidati. Tutti d'accordo con la responsabile delle risorse umane. La colpa è di chi non si adegua al sistema e non di chi consente al sistema di esistere. Conviene, insomma, pagare a poco a poco il pizzo della propria dignità ai nostri legislatori, pur di “sopravvivere” e stare al posto con la coscienza. Ebbene si. Sopravvivere. Perchè ovviamente nessuno è tanto pazzo da pensare di poter campare, prendersi anche una stanza, con 600 euro al mese.

Questa breve narrazione è lo specchio di una società fragilissima. Dove, come molti dicono, la generazione dei 25-30enni starà peggio della precedente, ma perché è figlia di una sperimentazione legislativa e universitaria iniziata subito dopo l'avvento del nuovo millennio. 2001 e 2003 sono gli anni di grazia che ribaltano l'inconscio collettivo, i valori dominanti. Il 2001 è il primo anno di applicazione di una riforma universitaria bi-partisan, che introduce anche da noi le lauree specialistiche e magistrali, oltre a quelle triennali. A caldo la nuova legge fa acqua da tutte le parti. I programmi rimangono quasi inalterati rispetto alle lauree quinquennali e le “cavie della riforma” in pratica impiegheranno in media, quasi cinque anni, per una laurea triennale e tre anni per una laurea magistrale che ne prevede due. Il risultato? La riforma del 2001 non ha fatto altro che “allungare” il percorso formativo, per cui un ragazzo che ha finito di studiare, si è laureato in maniera “completa” ha un'età molto superiore rispetto a quando esisteva solo la laurea quinquennale e quadriennale. Uscito dal mondo dell'università si ritrova con un mondo del lavoro che ha totalmente altre priorità. Un po' come imparare certe cose a scuola guida per poi scoprire che nella pratica funziona tutto diversamente. Ma perché? Perché nel frattempo, nel 2003 entra in vigore la Legge Biagi che, a detta di molti, per evitare che un male endemico della nostra società, ossia il lavoro nero, si infiltri ovunque, legalizza rapporti di lavoro “atipici”, ossia priva un'intera classe sociale, i giovani per la maggior parte, ma non solo, di quelle garanzie e protezioni sociali conquistate anni addietro. Voci come tredicesima, malattia, ferie, spariscono dai contratti. Stage e cocopro vanno per la maggiore. Sono le tipologie contrattuali più usate perché in qualche modo permettono di poter “utilizzare” un lavoratore alla stregua di un dipendente, risparmiando tantissimo sui costi aziendali. Nonostante magari chi, nella stessa azienda, svolge esattamente le stesse mansioni, ma con un contratto a tempo indeterminato. Ed ecco che, anno dopo anno, le offerte di lavoro diventano come un gioco al ribasso. Come una gara truccata di appalti pubblici vince chi offre il prezzo più contenuto. Le lauree triennali, intanto, sfornano un numero sempre maggiore di “dottori”, di menti e non più di braccia, disposte a tutto pur di “lavorare”. Le stesse università si rendono complici di questo meccanismo, obbligando, in molti casi, lo studente a svolgere uno stage per acquisire punti necessari per la laurea. Oppure propongono, in accordo con molte aziende, all'interno dei loro uffici di tutorato, stage a 150-200 euro al mese, quando, con tutto il rispetto, per pulire le scale offrono molto di più.

Insomma, gli anni zero verranno ricordati per l'enorme sfruttamento di “menti” di “neo-laureati” che negli annunci vengono equiparati a “neo-diplomati” con una facilità disarmante. Come se anni e anni di sacrifici, di libri comprati, di esami, fossero nulla. Una sorta di “mente-valanza”, di manodopera o “mentedopera” a basso costo, a disposizione del potere. E poi ci sono i dati a parlar chiaro. Secondo l'Istat, l'occupazione non è affatto aumentata a partire dal 2004 a oggi. Era all'8,3% nel 2004, primo anno successivo all'entrata in vigore della Legge 30, era tornata all'8,4% nel Dicembre del 2009. In pratica della precarizzazione dei rapporti di lavoro non ne ha beneficiato l'economia, ma soltanto quegli imprenditori che solamente “applicando la legge” hanno avuto uno strumento fenomenale di controllo dei propri dipendenti. Spesso giovani, spesso neo-laureati che con la scusa del “tanto non si trova nulla”, accettano di lavorare al pari degli altri colleghi, ma con molti meno diritti e molto meno salario. Tutto questo genera nient'altro che una società di “frustrati”. Di persone che per 8-10 ore al giorno non fanno quello che vorrebbero fare e si “adeguano a lavorare quasi gratis, perchè il mondo va così”. Da qui forse deriva quell'appiattimento e quell'assenza di desideri di cui parla l'ultimo rapporto Censis sulla società italiana. E chiunque tenta di far aprire gli occhi, come quel ragazzo che si descriveva all'inizio, viene tacciato di “bamboccionismo”. Se non si prende coscienza dell'enorme sfruttamento a cui è stata sottoposta un'intera generazione, la “proletarizzazione delle menti e dei saperi”, sarà una conseguenza inevitabile.

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