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Anatomia dei fondi sovrani libici

Il petrolio in Libia ha generato un’enorme liquidità da investire all’estero. Soprattutto in Italia. Anatomia dei fondi sovrani libici. Il cui destino è ora incerto quanto quello di Gheddafi.

Secondo le stime dell'IEA1 la Libia, è il quarto produttore di petrolio in Africa, con una produzione media di 1,8 milioni di barili al giorno e riserve pari a 42 miliardi di barili. La crisi (guerra civile?) in corso nel Paese ha ridotto la produzione di greggio del 75%, con evidenti ripercussioni sui prezzi, ma i media rassicurano che Russia e Mare del Nord hanno riserve sufficienti a colmare tale deficit.

Ma dove sono investiti gli ingenti ricavi che la Libia (rectius: Gheddafi) incassa dalle esportazioni petrolifere? Finora se lo sono chiesto in pochi, e la risposta interessa il Belpaese molto da vicino. Perché fondi sovrani di Tripoli, in cui investiti i surplus generati dall'oro nero, hanno riempito il carrello della spesa anche dalle nostre parti.

E oggi rappresentano la faccia nascosta del petrolio libico.

In questi anni la Libia ha effettutato i suoi investimenti esteri attraverso la Banca centrale e due fondi sovrani2. Il primo è il fondo LAFICO (Libyan Foreign Investment Company), costituito nei primi anni Settanta. Il secondo è il fondo LIA (Libyan Investment Authority), costituito nel 2006 con capitali trasferiti dalla stessa LAFICO; detiene capitali per 70 miliardi di dollari (pari al 75% del PIL di Tripoli). Infine c’è la banca centrale. Secondo il Fondo monetario internazionale, le attività nette all'estero cumulate dei tre soggetti ammonterebbero a 152 miliardi di dollari a fine 2010, quasi il 160% del PIL.

Soggetti diversi ma che rispondono direttamente al governo libico (rectius: a Gheddafi), sebbene qualcuno li consideri distinti e reciprocamente autonomi3.

Negli ultimi due anni, il fondo LIA ha intrapreso un imponente piano di investimenti all'estero e in particolare in Italia. L'intensa sinergia con il nostro Paese è dovuta innanzitutto al mutato contesto geopolitico in cui Tripoli venne a trovarsi all'indomani della fine delle sanzioni Onu nel 2004. Per anni l'embargo aveva interdetto il fondo libico, uno dei dieci maggiori fondi sovrani al mondo, dalla partecipazione agli ambienti finanziari internazionali, ragion per cui fino a sette anni fa era quasi esclusivamente liquido. Cadute le restrizioni, Gheddafi si ritrovò una montagna di capitali da investire in giro per il mondo. A cominciare dall'Italia, alla luce del Trattato di amicizia del 2008 che inaugurò una più più stretta collaborazione tra i due Paesi.

Prima della scalata libica, l'Italia era uno tra i meno partecipati dai fondi sovrani esteri. Oggi gli investimenti libici nel nostro Paese sono diretti soprattutto nei comparti energetico, bancario, impiantistica ed infrastrutture. Da cui si può dedurre non solo l'intenzione di investire per massimizzare i propri rendimenti, ma anche di acquisire partecipazioni in settori considerati strategici. Influenzando a proprio vantaggio la volontà decisionale delle aziende in cui investono.
Le aziende italiane in cui la Libia è presente sono4:

Unicredit
Entrato in Banca di Roma nel 1997 con l'acquisizione dello 0,56% da parte del fondo LAFICO, oggi il governo libico detiene il 7,2% del primo gruppo bancario italiano. In palese violazione dello statuto.

Fiat
Nel 1976 il fondo LAFICO ha acquistato il 9% di FIAT, diventandone il secondo azionista dopo la famiglia Agnelli. Nel 1982 la partecipazione salì al 13%. Nel 1986 il fondo LAFICO ha ceduto la sua quota realizzando una plusvalenza di 2,6 miliardi di dollari. Nel 2000 il fondo LIA è entrato in Fiat acquistando il 2%.

Finmeccanica
Il fondo LIA detiene il 2.01% dell'azionariato e di recente aveva manifestato l'intenzione di arrivare al 5%. Va aggiunto che nel 2009 l'azienda ha firmato un accordo col governo libico per la cooperazione in un vasto numero di progetti, tra cui la creazione di una joint venture partecipata assieme al fondo LAFICO. Finmeccanica è molto attiva nel Paese, sia direttamente che tramite le controllate Ansaldo e Selex Sistemi Integrati, con contratti d’appalto per un valore complessivo di centinaia milioni di euro.

Juventus
Nel 2002 il fondo LAFICO ha acquistato il 5,31% della società, partecipazione salita al 7,5% nel 2009.

ENI
Il fondo LIA detiene l’1% di ENI, ma in base ad un precedente accordo ha facoltà di portare la sua partecipazione al 10%, diventando così il secondo azionista del gruppo dopo il governo italiano (che possiede il 30%). il gruppo ENI, ha un giro di affari in Libia pari al 13% del proprio fatturato. È il caso di ricordare la costruzione del gasdotto Greenstream realizzata da Saipem, il più lungo gasdotto sottomarino nel Mediterraneo, che unisce Libia e Italia convogliando otto miliardi di metri cubi di gas al giorno.

Mediobanca
Il fondo LIA detiene azioni per 500 milioni di dollari. Secondo molti esperti, l’investimento permetterà al governo libico di investire con maggiore libertà nelle imprese italiane.

Olcese
Il fondo libico LIA possiede il 21,7% della nota azienda tessile. Olcese è la prima società italiana in cui la Libia ha fatto il suo ingresso.

Retelit
La Lybian Post Telecommunications Information Technology Company è primo azionista del gruppo con il 14,798%.



Tra gli investimenti nel resto del mondo possiamo citare:

Turchia
Il fondo LIA detiene il 5% della società di investimento immobiliare Emlak Konut GYO.

Russia


L'1% nel gigante russo dell'alluminio Uc Rusal.

Inghilterra
La Libia possiede centinaia di milioni di dollari nella società di asset management londinese FM Capital Partners; Portman House, un complesso immobiliare di a 146.550 piedi cubi in Oxford Street; un palazzo al numero 14 di Cornhill, di fronte alla sede di Bank of England; il 3% del gruppo editoriale Pearson, che possiede il Financial Times. La Dalia Advisory Limited, creata nel 2009, opera come società di riferimento della Lia a Londra.

Giordania
il 13% della holding finanziaria giordana Zara Investment Holding ZARA.AM
La Libya Oil Holdings, un'altra società controllata dallo stato, ha il 24% della società di esplorazione per gas e petrolio denominata Circle Oil.

Africa
La Libia possiede o controlla tramite la LAP (Libyan African Investment Portfolio) le compagnie telefoniche o le licenze di comunicazione in otto paesi africani.

USA
Secondo un recente dispaccio di Wikileaks diverse banche americane, tra cui la Goldman Sachs Asset Management, Citigroup e JP Morgan, gestiscono 500 milioni di dollari per conto del fondo LIA. Alcuni istituti, come il gruppo Carlyle negano di avere rapporti con il fondo LIA5. La Libia possiede inoltre il 24% della società di esplorazione per gas e petrolio Circle Oil.

I pochi dati reperibili sull'allocazione del fondo sovrano LIA ci dicono che solo l'8% è attualmente investito in attività di medio-lungo termine (di cui 1,5 miliardi di dollari in azioni), mentre oltre il 78% è impiegato in strumenti finanziari a breve. Tra il 2006 e il 2009 il fondo ha prodotto utili di 2,37 miliardi dollari, ovvero quasi il 6% sul capitale iniziale di 40 miliardi di dollari, nonostante la crisi finanziaria concomitante. E le riserve in valuta estere, in rapporto pro capite, sono le più alte della regione e tra le più alte al mondo.

In altre parole, malgrado la rivolta interna la Libia ha un'ampia solidità patrimoniale, anche maggiore dei vicini Tunisia ed Egitto. Per questa ragione diversi esperti ritengono che tali ricchezze potrebbero essere la chiave per la ricostruzione del Paese post-conflitto6.

Prima di allora, ci sono due questioni da affrontare.

Innanzitutto, quando la situazione in Libia sarà tornata (quasi) nella normalità sarà necessario individuare le modalità di recupero di tali risorse. Il congelamento degli asset deciso da Usa, Onu e Ue potrebbe avere effetti limitati per via della scarsa trasparenza delle attività libiche. Peraltro non tutti gli istituti finanziari, in virtù di rapporti con la Libia ancora da chiarire, mostrano eguale diligenza nel monitoraggio degli investimenti libici.

In secondo luogo, sebbene l'impatto della crisi in Libia potrebbe essere moderato sul piano della finanza internazionale, in Italia gli effetti potrebbero essere sensibilmente più forti in ragione della forte convergenza di investimenti libici nel nostro Paese. Gli indici di Borsa sono già la cartina al tornasole dell'insicurezza espressa dal mercato in tal senso.

In definitiva, i fondi libici sono una potenziale risorsa per la ricostruzione del Paese. Ma il loro destino è tuttora incerto, al pari di quello di Gheddafi.

2 I fondi sovrani sono dei fondi di investimento posseduti dai governi che di solito hanno ingenti a nella bilancia commerciale, come i paesi esportatori di petrolio e di gas naturale. Un tempo conosciuti solo dagli addetti ai lavori, durante la crisi finanziaria del 2008 sono saliti alla ribalta investendo in molte imprese in dissesto, contribuendo al loro risanamento. Tra di essi spiccano il fondo di Dubai, fondamentale nel salvataggio del colosso americano Citigroup, il fondo del Kuwait e quello del Qatar. Al mondo ci sono 55 fondi sovrani di investimento che gestiscono l'iperbolica cifra di 3000 miliardi di dollari in attività sottostanti. Il Sovereign Wealth Fund Insitute stima che fra marzo 2007 e aprile 2008 i fondi sovrani asiatici e mediorientali abbiano investito in imprese in crisi un totale di quasi 45 miliardi di dollari statunitensi. Il termine è coniato nel 2005 dall'economista Andrew Rozanov in un articolo intitolato Who holds the wealth of nations? reperibile qui:

http://alexanderhamiltoninstitute.org/lp/Hancock/Special%20Reports/Sovereign%20Wealth%20Funds/Who%20Owns%20the%20Wealth%20of%20Nations%20-%202005.pdf

Per approfondire l'argomento si veda:
http://www.equilibri.net/nuovo/articolo/fondi-sovrani-minaccia-o-fonte-di-stabilit%C3%A0-l%E2%80%99economia-mondiale

3 Come la Consob, che poco tempo fa si è pronunciata in tal senso sul caso Unicredit.

Nel settembre 2010 la Libia si è trovata a possedere una quota in Unicredit poco meno del 7% ma attraverso due entità distinte: il 4,98% da parte della Banca centrale e il 2,98% da parte del LIA. Lo statuto della banca vieta che ciascun socio possieda più del 5% del capitale sociale, e non vi è dubbio che la Libia abbia violato la norma in quanto entrambe le entità fanno riferimento a Gheddafi. La Consob, però, ha affermato le due entità sono di fatto distinte e con autonomia decisionale

5Sui rapporti tra le banche Usa e i fondi libici si veda http://groups.google.com/group/misc.activism.progressive/msg/88f0a3387f30e6e9

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.172) 5 marzo 2011 20:00

    Brividi sovrani >

    Congelare dei fondi significa sottrarli alla disponibilità di singole persone fisiche (individui). Non significa congelare i cosiddetti “fondi sovrani” lecitamente detenuti dai governi di paesi con alto surplus commerciale e/o ingenti riserve di valuta.

    L’ONU e quindi l’UE hanno deliberato il congelamento dei fondi posseduti, detenuti o controllati da Gheddafi, da suoi familiari o intermediari.
    Tremonti però si domanda: "Vogliamo bloccare i fondi di quei Paesi? Pensate se lo facessero loro al contrario. Pensate ai fondi sovrani e se per caso una rivoluzione dice quei soldi sono nostri e li vogliamo indietro?".

    Rivoluzione o no, i
    n ogni momento detti governi possono decidere di ritirare e destinare diversamente i capitali investiti in un certo paese.
    Dobbiamo credere a Gheddafi che dichiara di non avere capitali o proprietà all’estero
    Come spiega, Tremonti, il fatto che il nuovo Governo Egiziano ha subito congelato i beni “detenuti” all’estero da Mubarak?

    Nel teatrino di Pantomima e Rimpiattino il "dubbio" spesso maschera i veri motivi del "diniego" …

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