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Alla ricerca del Burocrate Perfetto

Molti di noi si chiederanno: come si trova la formula magica per selezionare un pubblico amministratore ed un politico perfetto?

Bisognerebbe inventare un test psicoattitudinale che identificasse queste caratteristiche: il funzionario dovrebbe avere un’intelligenza senza avidità, cioè la persona si deve impegnare a non toccare l’oggetto in discussione, che rappresenta l’interesse collettivo dei cittadini, con i suoi interessi e appetiti privati.

 Ma “per difendere i deboli contro i forti, per sostenere le ragioni dell’innocenza, per sventare le intromissioni, per dire la verità anche se cruda, per chiudere le porte in faccia alle seduzioni della ricchezza, alle promesse di onori, alle intimidazioni e alle lusinghe al solo scopo di far rispettare (la giustizia) e la legge anche se questo può dispiacere a qualcuno – per far tutto questo occorre una tale solidità morale, che può dare all’esercizio delle professioni legali (e amministrative) la nobiltà di un apostolato” (Piero Calamandrei).

Io mi accontenterei invece della filosofia di Casanova: i funzionari pubblici dovrebbero essere capaci e “felici come quelli che senza nuocere a nessuno sanno procacciarsi il piacere”.

E leggiamo ora una bellissima arringa di Calamandrei che ci fa capire dove risiede il vero senso della Giustizia: “Signori Giudici, che cosa vuol dire libertà, che cosa vuol dire democrazia? Vuol dire prima di tutto fiducia del popolo nelle sue leggi: che il popolo senta le leggi dello Stato come le sue leggi, come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall’alto. Affinché la legalità discenda dai codici nel costume, bisogna che le leggi vengano dal di dentro non dal di fuori: le leggi che il popolo rispetta, perché esso stesso le ha volute così” (perché l’elettore pensava di aver eletto delle persone intelligenti, capaci ed oneste).

Queste parole di Calamandrei sottolineano come la legalità in democrazia, cioè la certezza del diritto, promana solo dalla sovranità popolare. Dunque la crisi della legalità potrà finire solo con la fine dei totalitarismi, perché solo dove esiste un regime democratico rispettoso delle libertà individuali la legge può essere sentita come autodisciplina voluta, non come tirannia imposta. Perché, come disse Socrate, “le nostre leggi, sono le nostre leggi che parlano”. Perché le leggi della civiltà possano parlare alle nostre coscienze, bisogna che siano le “nostre” leggi, non le leggi imposte dagli interessi dei potenti di turno, che addirittura arrivano ad imporre di “farsi eleggere” senza passare l’esame delle scelte sovrane degli elettori.

 

P.S. Poi, anche quando si tratta di fare delle leggi (soprattutto come quelle che riguardano la libera e corretta modalità di utilizzo delle nuove tecnologie mediche), bisogna sempre ricordare che, “a causa di una tendenza innata a proiettare fatti noti sull’ignoto, la nostra limitata capacità di conoscenza ci impaccia (Adin Steinsaltz, Teologo, Parole semplici, 2007).

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