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Alice nella nuvola delle meraviglie: figli e Rete

A leggere Generazione Cloud (Facci, Valorzi, Berti, Erickson, Trento, 2013), forse una delle guide più equilibrate alla gestione dei nostri rapporti con la Rete, ma prima di tutto a quelli dei nostri figli e alunni con questa, viene da pensare a Once Upon a Time, una recentissima serie Tv della ABC trasmessa anche in Italia col titolo di C’era una volta (Kitsis Horowitz, 2011) in cui si mette in scena l’esilio inconsapevole nel nostro mondo dei personaggi delle fiabe classiche (cappuccetto Rosso, Biancaneve…) mescolati a quelli di molta letteratura fantasy e fantastica, come il Cappellaio Matto di Alice nel paese delle meraviglie, o il Capitan Uncino di Peter Pan.

All’arrivo di una straniera nella cittadina – immaginaria – di Storybrooke nel Maine, il luogo fermo nel tempo e isolato nello spazio dove sono esiliati costoro, gli eventi cominciano a muoversi, e il racconto ha inizio, in una spirale vertiginosa di salti fra i tempi e gli spazi del mondo del meraviglioso e della magia da cui provengono i protagonisti delle vicende e quel frammento di mondo “reale” situato da qualche parte nel Maine. Inutile aggiungere che il riferimento a questo stato fa pensare immediatamente a Stephen King, e a C’era una volta come ad una versione soft della sua saga più ambiziosa, quella della Torre nera che si sviluppa in ben otto volumi, dove pure la regola è il balzo spazio-temporale da un continuum ad un altro, compreso l’incontro degli eroi della storia con l’autore stesso della saga, uno Stephen King piuttosto incredulo e diffidente.

Esattamente quello che avviene nel Web, il grande universo delle meraviglie, luogo in cui si realizzano di fatto le dimensioni del soprannaturale, e le differenze e distanze di tempo e spazio si annullano completamente, anche se in una modalità del tutto demagizzata.

Un paese dei balocchi, da un certo punto di vista, ideale per scorrazzarci dentro a caccia di avventure e di giochi, specie per tutti coloro che, nati negli ultimi anni, godono di una sorta di extraterritorialità, o di doppia nazionalità, abitando – indifferentemente e disinvoltamente – come nativi digitali, sia la realtà naturale, sia quella sintetica (Caldieri, 2011; Fattori, 2011), e saltellando tranquillamente dall’una all’altra.

Ora, se le generazioni fino alla nostra hanno esplorato continuamente, con l’immaginazione, il mondo incantato delle fiabe e ne hanno tratto insegnamenti e auspici (Bettelheim, 2003) che dovevano servirgli a muoversi fra i rischi e gli ostacoli del mondo reale, le nuove generazioni rischiano di vedere replicati nel mondo digitale i pericoli che continuano a correre nella vita quotidiana. Anzi, a veder moltiplicate le occasioni e le fonti del rischio. Ma è anche vero che Internet, e in genere il digitale, è contemporaneamente un titanico strumento di crescita e conoscenza.

Generazione Cloud invita a riflettere – prima di tutto genitori e insegnanti, ma secondo me chiunque diffidi ancora della Rete, ultima forma presa dalla paura delle tecnologie – sulla doppia natura e potenzialità del digitale, come di qualunque altra tecnologia prodotta dagli umani, e come, logicamente, della stessa realtà naturale, quella da cui procede tutto il resto. Per mimesi, replica, opposizione, ridondanza…

I tre autori, che sanno di rivolgersi a genitori ed educatori, sviluppano il loro discorso in modo esemplare, prima di tutto definendo il Web e i suoi “dintorni”, e inquadrandolo da una parte nella logica del mutamento sociale, dall’altra guardando ai dubbi e alle diffidenze di un lettore spesso disinformato e prevenuto perché estraneo al mondo digitale.

Ed emerge subito una circostanza cruciale: nella sua mimesi, sempre più fedele del mondo naturale, è vero che la Rete nasconde dei pericoli, ma questi spesso non sono diversi da quelli del mondo “vero”. Anche in questo non siamo sempre con i nostri ragazzini e adolescenti. La differenza è, appunto, che sentendoci alieni dal Web, scatta una paura primordiale. Come scriveva uno dei maestri dell’horror , Howard P. Lovecraft, “L’emozione più antica dell’uomo è la paura, e la forma più antica di paura è la paura dell’ignoto” (1973). E, ancora, ci troviamo a contatto con la dimensione del sacro e del soprannaturale. Come se, ogni volta che intercettiamo il “nuovo”, l’incognito, si inneschi una reazione che ci porta a riesumare visioni ancestrali, “reincantando” il mondo – cosa che peraltro il digitale facilita, essendo per certi versi l’attualizzazione del magico.

Michele Facci, Serena Valorzi e Mauro Berti provano a disinnescare (esorcizzare?) questa propensione, riconoscendo come plausibili le preoccupazioni degli adulti “stranieri” alla Rete e spiegandone alcuni termini e concetti basilari – quelli ormai quasi di uso quotidiano, ma che conservano per i meno esperti l’aura del linguaggio per iniziati – ma contemporaneamente illustrando le potenzialità del Web, oltre a far notare come i rischi del “maluso” non sono connessi al mezzo in sé, ma all’attenzione e al tempo che gli adulti dedicano alla cura e al sostengo ai propri bambini e giovani. Come succede – o succedeva – per la televisione, o per il tempo che si passa in strada, anche solo nel tragitto per andare e tornare da scuola.

In realtà, in gioco è sempre – e anche i tre autori ne danno conto – l’identità individuale: come si costruisce, come si articola, sulla base del mondo sociale con cui si confronta. Ed è innegabile che il nostro mondo sociale è sempre più innestato al digitale. Come ci mostrano le metafore messe in scena dalla narrativa, dalla fiction televisiva, dal cinema, che – ricordiamolo – hanno sempre la loro ispirazione nel sentire sociale. Si pensi a Inception (Nolan, 2010), ma anche alla saga di Lost (Abrams, Lindelof, Lieber, 2004-2010), oltre ai lavori che ho citato all’inizio. Siamo di fronte ad una mutazione, come notano i tre autori, della stessa dimensione e forza della prima rivoluzione industriale, nel nostro modo di esperire il mondo, che cambia perché cambiano alla radice le stesse strutture della conoscenza. E quindi cambiano le identità.

Basta guardare allo sviluppo impetuoso, alluvionale dei social network (De Notaris, 2010, cfr. Fattori, 2010): la propria presenza, il proprio profilo, non sono un modo per costruire quotidianamente una – la propria – identità? I link scelti da You tube, le immagini, i “post”, non sono un modo – spontaneo ma anche progettato – di mostrare il proprio Sé? E questo non è fatto dell’interazione con gli altri utenti?

In realtà, sottolineano i tre autori, se c’è qualcosa di veramente nuovo, di originale nell’universo del digitale, non è neanche nella tecnologia cloud, che pure dà nome al libro, e che ne è prima di tutto – mi sembra – un’evoluzione “lineare”, ma nelle tecnologie Kinect e Touchscreen che permettono un’immersività sempre più completa e convincente dentro la realtà virtuale. Il che significa anche, per certi versi, un ritorno alle origini della nostra specie: la liberazione dalle protesi che ci siamo inventati, e la riconquista del corpo come interfaccia diretta, immediata, col mondo che ci circonda – almeno quello che sta oltre gli schermi. Forse il primo passo vero verso la dimensione del postumanesimo, per ora ipotizzato soltanto (Abruzzese, 2011; Fattori, 2011), in una dinamica che mette in discussione l’intero rapporto fra Sé, corpo, tecnologie (De Feo, 2009; Fattori, 2009).

In sostanza – e mi sembra che questo sia il discorso di fondo di Generazione Cloud – bisogna cogliere del digitale, delle realtà sintetiche, la loro sostanza di mondo innestato sul nostro, la permeabilità reciproca delle due realtà, liberandosi delle credenze e degli atteggiamenti che ancora sono legati alla natura iniziale del nostro rapporto col computer, quando ancora era agli esordi: serioso strumento di lavoro, o futile attrezzo per giocare (Pecchinenda, 2010)

 

Letture

Abruzzese A., Il crepuscolo dei barbari, Bevivino, Milano, 2011.

Bettelheim B., Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano, 2003.

Caldieri S., Spazi sintetici, Liguori, Napoli, 2011.

De Feo L. Dai corpi cibernetici agli spazi virtuali, Rubettino, Soveria Mannelli, 2009.

De Notaris, D., Vite condivise; Ipermedium, Napoli, 2010.

Fattori A., http://www.agoravox.it/?page=article&id_article=10939, 2009.

Fattori A., http://www.agoravox.it/Traiettorie-Sociologhiche-Dal.html, 2010.

Fattori A., http://www.agoravox.it/La-matrice-il-cyberspazio-il-mondo.html, 2011.

Fattori A., http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero37/bussole/q37_b01.html, 2011.

King S., La Torre nera, Sperling&Kupfer, Milano, 1982-2012.

Lovecraft H. P., L’orrore soprannaturale nella letteratura, in Opere complete, Sugar, Milano, 1973.

Pecchinenda G. Videogiochi e cultura della simulazione, Laterza, Roma-Bari, 2010.

 

Visioni

Abrams J.J., Lindelof D., Lieber, J., Lost, ABC, Usa, 2004-2010.

Kitsis E., Horowitz A., C’era una volta, ABC, Usa, 2011-2012.

Nolan C., Inception, Usa/GB, 2010.

 

 

di Adolfo Fattori

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