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La matrice, il cyberspazio…: il mondo!

Selene Caldieri, Spazi sintetici. Verso una sociologia dei mondi digitali, Liguori, Napoli, 2011, 136 pagine, € 14,90.

Presentazione del volume giovedì 19 maggio presso la libreria Ubik, Via Benedetto Croce 28, Napoli.

Quando nel 1984 viene pubblicato Neuromancer (1991), il romanzo di esordio di William Gibson e quello che fece conoscere al mondo gli scrittori del Mirrorshades Movement, la corrente cyberpunk della fantascienza, la vera, prima, colonizzazione del mondo da parte della comunicazione digitale era appena gli inizi. Opaca alla maggior parte di noi, perché dopo gli enti di ricerca e le strutture militari, investì le… imprese, nel senso che fu allora che cominciò la prima diffusione davvero di massa, anche se invisibile agli occhi di molti: quella dei primi computer in grado di gestire programmi di contabilità aziendale. Negli stessi anni (dal 1982) inizia la circolazione dei computer destinati al consumatore finale: il mitico “Commodore 64”, che si connetteva ad un apparecchio tv che faceva da monitor e permetteva di giocare con i primi – archeologici, oggetto di nostalgia, per noi – videogiochi, come “Pong”. E solo un anno – prima del romanzo, dopo il gioco – era stato distribuito nelle sale Tron di Steven Lisberger (1982), prima pellicola, di culto ormai, che pone il tema dell’interazione fra uomo e computer.

È stato grosso modo in quel ristretto spazio di anni che – dopo una lunga fase di ricerca, sperimentazione, ridefinizione – anche al di fuori degli istituti di ricerca si cominciò a percepire “… il computer non come un calcolatore, ma come un nuovo strumento di comunicazione.” (Caldieri, p. 38), ad intuire che poteva essere qualcosa di molto più versatile che una sofisticata macchina per fare le quattro operazioni.
 
Ma da questo, ad avere lo sguardo lungo degli scrittori di fantascienza – di quella sua particolare “curvatura” che è il cyberpunk il passo non è stato immediato. Pure, nel 1986 Gibson si immagina questo dialogo, fra due dei personaggi del suo Giù nel ciberspazio:
“ – Okay – disse Bobby, che cominciava a capire qualcosa – e allora cos’è la matrice? Se lei è il deck e Dambala il programma, cos’è il ciberspazio?
– il mondo – disse Jones”. (Gibson, 1992, p. 86, corsivo nostro).
O, almeno, un mondo parallelo al nostro, che – abbiamo imparato poi – può simularne sempre più perfettamente le funzioni.
 
O, meglio ancora, un universo intero, con le sue costellazioni, i suoi pianeti.
Di cui Spazi sintetici rende conto con estrema chiarezza, evitando il rischio del tecnicismo e dell’esoterismo degli “iniziati”.
 
Anzi, la prima questione importante riguarda proprio lo statuto essenziale del nuovo continuum che si apre alla nostra esperienza: da qui l’uso del termine “sintetico” per indicare l’ambiente digitale. “Esattamente per questo motivo al termine virtuale è stato preferito sintetico, utilizzato non per designare uno spazio dallo statuto ontologico di dignità inferiore rispetto allo spazio tradizionale, quanto come una categoria ad esso collegata tramite una complessa relazione dialettica.” (Caldieri, p. 6, il secondo corsivo è nostro).
A ricostruire la storia dello sviluppo delle macchine elettroniche, dai suoi primi passi all’oggi si può rimanere stupefatti confrontando il periodo relativamente breve che separa le capacità dei pc attuali da quella dei primi Commodore, e le dimensioni della rete Arpanet da quelle del World Wide Web, se non si tiene conto dell’accelerazione che c’è stata nella progressione della potenza della tecnologia, certo. Ma non è questa, forse, la questione più importante, quanto quella del vertiginoso cambiamento di prospettive che i progressi del digitale hanno generato.
 
Cambiamento che può essere ancor meglio apprezzato se si inseriscono la nascita e lo sviluppo del sistema computer/rete nel flusso dei passaggi da una tecnologia della comunicazione all’altra: dall’oralità alla scrittura a mano, alla stampa, ai primi media audiovisivi, fino all’ipermedialità del computer connesso ad Internet (Ivi, pp. 9-43). Una storia che non riguarda, naturalmente, solo il progresso tecnologico, ma il modo con cui percepiamo e diamo senso alla realtà, e la nostra stessa identità, e le complesse dialettiche che si sono sviluppate fra l’uno e l’altro, “… rendendo urgente l’elaborazione di nuovi paradigmi interpretativi in grado di non ridurre (i nuovi spazi virtuali, n.d.r.) a semplice trasposizione della realtà tradizionale in ambiti diversi.” (Ivi, p. 43).
“Spazi sintetici”, “realtà tradizionale”: l’introduzione di questi due termini per definire i due universi, quello naturale e quello digitale, già indica un cambio di prospettive: un approccio innovativo, che assume come dato la coesistenza dei due universi, e la loro sempre più forte somiglianza. In fondo è solo un problema di coordinate concettuali, o di mappe – cognitive, se si vuole, ma salvando la metafora geografica di sfondo…
 
Le regioni del Web sono luoghi in cui già, d’altra parte, abitiamo ampiamente, ricalibrando volta per volta le nostre percezioni e i nostri gesti per adattarli alle interfacce che ci permettono di interagire col computer: facciamo cioè in modalità “continua”, quello che Norbert Wiener e Ross Ashby teorizzarono in termini “discreti” quando elaborarono le loro “trasformate”, gli algoritmi che rendevano in termini matematici i movimenti degli arti per poterli far “comprendere” ai primi elaboratori che governavano i loro robot. Solo che non ci facciamo (più) caso…
 
Ma in questo modo, continuamente, transitiamo nell’universo digitale, sintetico, del computer di casa e della Rete – da questo, al nostro: gli schermi diventano così membrane osmotiche  (ivi, p. 99) che assicurano la relazione fra l’uno e l’altro piano di realtà.
 
In realtà, gli spazi digitali diventano sempre più mimetici di quelli materiali che abitiamo tradizionalmente, simulandone progressivamente tutte le funzioni e le possibilità.
 
La prova più evidente, lampante è nei mondi virtuali come Second Life: un mondo che ha tutte le caratteristiche del nostro, con un suo denaro – vero, perché è in rapporto di scambio col nostro – con i suoi circoli, le sue professioni, banche, uffici, scuole; dove è possibile condurre una vita completa, fatta di lavoro, tempo libero, amicizie…
 
Un mondo che (ivi, pp. 46-50) sta ormai passando dallo stadio di comunità nel senso che la sociologia dà al termine, a quello di società, condividendone i tratti significativi: il senso di appartenenza, la condivisione di norme e regole implicite, lo sviluppo di rapporti sociali, affettivi, professionali non dissimili da quelli presenti nella realtà naturale. Anzi, la continua e profonda interazione fra “Real Life” e “Second Life” sta producendo addirittura una “Third Life”: la vita che risulta dalle interazioni fra la vita nella realtà materiale e quella nei mondi sintetici (p. 46). Valga per tutti l’esempio che Selene Caldieri racconta verso la fine del volume (p. 125), riportando un caso di cronaca di qualche anno fa: la vicenda di una donna che, sposata nel mondo, e con un avatar in Second Life, insospettita da alcuni comportamenti del marito, scopre – rivolgendosi all’avatar di un investigatore – che l’avatar del marito aveva un amante nel mondo sintetico – e solo in quello! – e decide di divorziare. Le interazioni fra le vite delle due persone nei due mondi avevano prodotto conseguenze che – letteralmente – conducevano per tutti e due ad una terza vita: da coniugi a single! In pratica, l’intreccio fra gli eventi che si succedono nelle due “vite” produce effetti, effetti che influenzano le biografie degli individui coinvolti, determinando, appunto, una vita terza, rispetto alle altre due – quello che avviene esattamente nell’universo futuro (ma poi quanto?) immaginato dal cyperpunk…
 
La circostanza che ciò che avviene dentro lo schermo possa avere conseguenze nella “First Life” conduce, credo, anche ad un’altra considerazione: nei mondi “sintetici” – scrive la giovane sociologa – si sviluppa una vera e propria società, con sue norme, comportamenti, relazioni sociali e di lavoro (pp. 91 e segg.), con una loro specifica ed autonoma profondità e “solidità” affettiva e percettiva. Il che, alla fin fine, ci pone di fronte ad un processo di vera e propria “costruzione sociale della realtà” (per citare, come fa la Caldieri, Peter Berger e Thomas Luckmann) che noi possiamo osservare ed analizzare nel suo farsi. Una occasione di ricerca per i sociologi unica, per certi versi, che taglia corto con tutte le obiezioni degli “apocalittici” – come con gli entusiasmi degli “integrati”.
 
Torniamo, per un attimo, agli esordi della “rivoluzione digitale”, e alle due narrazioni che la “introdussero”: in Tron, un programmatore “cade” nel computer e si ritrova tradotto in programma – il progenitore degli avatar di oggi; in Neuromante, i “keyboard riders”, i gli internauti di Gibson, si connettono alla rete attraverso tastiere e schermi, ma grazie a connessioni, il wetware (un “parente” organico di hardware e software) che collegano direttamente i centri nervosi alle macchine. Con i mondi sociali digitali siamo ad una via di mezzo fra le due strade offerte dall’immaginario. Ma il risultato è lo stesso: la possibilità di transitare – e vivere – in due universi paralleli, una delle utopie/distopie fondanti della science fiction.
 
Alle origini, come avviene sempre in questi casi, le visioni e le esplorazioni immaginarie di Philip Kendred Dick. 
 
Letture
Berger P. L., Luckmann T., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969 (1966).
Gibson W., Neuromante, Nord, Milano, 1991 (1984).
Gibson W., Giù nel cyberspazio, Mondadori, Milano, 1992 (1986).
Visioni
Lisberger S., Tron, Usa, 1983.
 
 
di Adolfo Fattori

Commenti all'articolo

  • Di gaetano (---.---.---.103) 18 maggio 2011 19:55

    La sua idea di "3rd Life" mi fa venire in mente il concetto di "realtà aumentata". Attualmente tale concetto è utilizzato per spiegare un’aggiunta di informazioni a quelle visibili nel mondo reale grazie a supporti tecnologici ed alla rete. Si può ipotizzare però, a questo punto, questo concetto, questa interazione, non più sbilanciata ma in equilibrio tra i due mondi, perchè se è vero che la "realtà reale" ha delle ricadute su quella sintetica è vero anche che la prima è, sempre più spesso, influenzata dalla seconda (basti pensare alle nuove regole di progettazione di musei, mostre, ecc.. ).

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