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Traiettorie Sociologhiche. Dal “computatore” ai “fabbricanti di universi”: condividere le vite nel web

di Adolfo Fattori

Traiettorie Sociologhiche. Dal “computatore” ai “fabbricanti di universi”: condividere le vite nel web

Da Arpanet – il progenitore di Internet – al Web 2.0. Dai primi scambi di file e immagini alla condivisione “frattale”, “ad albero” di musica, testi, video, immagini. Dalle catene di sant’antonio di oggetti digitali trasferiti da utente a utente ai luoghi condivisi come You Tube. Dalle prime chat ai socal network. Un’evoluzione galoppante, eruttiva, travolgente. Che sta tasformando i modi della socialità, della comunicazione, della diffusione delle conoscenze, le strutture delle identità. Un nuovo universo da descrivere e cartografare, come in Vite condivise Dal newsgroup al social network (De Notaris, 2010). Ma partiamo dall’inizio, in una sfera dove immaginazione narrativa e scientifica si sono incrociate da subito.
 
In principio è stato Philip K. Dick, con la sua ossessione che la realtà che percepiamo non possa essere altro che un colossale inganno. Fin quando la riflessione moderna sui “mondi possibili” e i mondi “immateriali” è rimasta un tema proprio della narrativa. Fin quando la ricerca scientifica e tecnologica si è concentrata sulle varie dimensioni dell’hardware, sui dispositivi meccanici e sull’esplorazione degli spazi in senso topografico, dai luoghi più proibitivi della Terra fino allo spazio interstellare. E quindi, fin quando la ricerca applicata alle macchine da calcolo non ha concepito queste altro che come – appunto – sistemi per fare operazioni matematiche, sempre più complesse, sempre più veloci:
 
L’impiego al quale erano destinati i primi computer personali era prevalentemente quello di una grande macchina da scrivere elettronica, oppure di una calcolatrice con un display più grande. (De Notaris, cit., p. 15).
 
Con qualche eccezione, come William Ross Ashby e Alan Turing – considerati forse più dei visionari un po’ matti, che degli scienziati. I “calcolatori”, insomma, come si diceva allora in italiano, con la buffa eccezione di una traduzione che giace in un romanzo di fantascienza di Arthur C. Clarke del 1956, La città e le stelle (1991), in cui il computer diventa il computatore.
 
La ricerca si orientava verso “un altro orizzonte”, per parafrasare il titolo di un romanzo sempre di Dick (1995): lo spazio. Mentre le previsioni dei “futurologi” proponevano una abitazione del “duemila”, cioè del nostro presente, come un luogo in cui i tanti media tradizionali avrebbero ruotato attorno ad una centralina elettronica che avrebbe governato tutto.
 
Alla fine, però, proprio lo sforzo per conquistare lo spazio ha agevolato l’evoluzione dei computer da macchine da calcolo a dispositivi di produzione di interi universi, seppur virtuali, in uno sviluppo del tutto laterale rispetto a quelle ipotesi.
 
Se per anni si è parlato di Web come “luogo virtuale”, contraddistinto da nickname e avatar, ovvero da un forte anonimato, la Rete del Duemila è sempre più un luogo nel quale si adottano gli stessi comportamenti adottati al di fuori dello schermo. Sembra che al rapporto uomo-computer-cultura ne succeda uno nuovo, nel quale Internet acquista un ruolo centrale. (De Notaris, cit., p. 11)
 
Il Web in fondo è questo: un universo virtualmente infinito, in cui c’è un omologo di tutto ciò che c’è qui da noi – anzi di più – confermando, anche se in maniera laterale, le visioni degli scrittori di science fiction sull’esistenza degli universi paralleli.
 
Lo sviluppo impetuoso della rete Internet e delle articolazioni del Web ha colto molti di sorpresa: giù, in quella cattedrale (ancora Dick! 1979) infinita, gotica e barocca, adimensionale e ucronica costituita dalla Rete, le cose cambiano continuamente, si metamorfizzano, si moltiplicano, prendendo continuamente in contropiede analisti e studiosi, mentre gli opinionisti si affannano a cercare facili metafore e a imbastire giudizi superficiali nella speranza di fotografare una realtà imprevista – che non si può, per sua natura, fissare in una istantanea. È invece, ancora una volta, necessario ragionare in termini diacronici e sincronici contemporaneamente.
Per riflettere sui fenomeni attorno a cui si è articolato il Web e la vita su questo (per parafrasare un’altra pioniera dell’esplorazione “virtuale”, Sherry Turkle, 1997) bisogna prendere proprio questa strada, e costruire una mappa articolata, potremmo dire a quattro dimensioni, dell’evoluzione della Rete e dei suoi usi, da quelli più individuali e “tecnici”, al suo esplodere come luogo collettivo di scambio, incontro, espressione, ricerca. In pratica, di comunicazione e socializzazione. Di costruzione condivisa di mondi:
 
Il fenomeno del file-sharing […] Non solo ha messo in connessione le persone del mondo – cosa che, di base, già consente Internet di per sé – ma ha consentito all’utente di farsi conoscere agli altri e di conoscere gli altri: i loro gusti musicali, quali libri leggono, quali film guardano, cosa producono e come consumano […] (Ibidem, p. 96).
 
Ed è la stessa “unità di misura” della comunicazione in Internet, il “file” la “parola” base, a permettere un passaggio di stato: il file-sharing, lo scambio di file, conduce al life-sharing, come lo definisce De Notaris, lo scambio di sogni, idee, opinioni, progetti: la propria vita quotidiana, attraverso la comunicazione della propria biografia nel suo farsi, della propria identità (Ibidem).
 
Gli spazi classici della modernità, la metropoli come luogo collettivo, gli spazi affettivi (amicali, familiari) come luoghi nucleari, si trasferiscono, insomma sul Web. Senza che quelli tradizionali perdano però spazi e presenza (Ibidem, p. 86). Anzi, forse davvero la Rete permette una maggiore libertà e una maggiore democrazia e condivisione. Sicuramente le idee circolano di più, e più liberamente. E che vi circoli di tutto, anche i prodotti più odiosi e squallidi – tipico, classico argomento dei moralisti in servizio permanente effettivo e dei massmediologi (?) di complemento – questo succede a prescindere da Internet, come gli stessi o i loro padri hanno messo in guardia volta per volta per: i libri (sì), il teatro (pure!), il cinema, la televisione, mentre continua invece ad avvenire sistematicamente per strada, in famiglia, sul lavoro – quelli nella realtà 1, intendiamo.
 
Il dato reale, invece, su cui riflettere, è che non è successo quello che ci si aspettava agli albori dello sviluppo della Rete: solo calcio e porno, come ricorda Vittorio Zambardino, autore della prima guida italiana al Web (1996).
 
Da allora, quindici anni fa, Internet è esploso. Quella guida è diventata insufficiente, anche se contiene ancora indicazioni preziose – di metodo, prima di tutto. C’era bisogno di aggiornarla. Come, all’indomani della scoperta dell’America, ci si rese conto che non si era trovata semplicemente un’altra strada per arrivare in un luogo conosciuto, ma si era scoperto un altro, immenso, continente – un altro mondo, in effetti.
 
Così nel caso del Web, crediamo. Non tanto in termini di spazi che sono già lì e sono solo da scoprire, quanto in termini diacronici, dell’evoluzione di spazi e usi, sociali e individuali, che si articolano in maniera sempre più complessa, reticolare, intrecciata.
 
Fermandoci solo alla dimensione di community in senso stretto che la Rete propone, possiamo ripercorrere la strada che, dalle prime chat room ha condotto ai blog, fino ai social network come facebook, senza perdere d’occhio l’evoluzione parallela di fenomeni come i giochi di ruolo come Dungeons & Dragons, fino ai Sims e ad ambienti come Second Life (De Notaris, cit., passim).
 
Anzi, qui c’è da allargare il discorso, tornando indietro nel tempo, ad una fase che precede lo sviluppo attuale di Internet, ma lo presuppone, lo attende. Perché, prima del virtuale, ci sono i giochi da tavolo, dal Risiko in su, poi i giochi di ruolo che man mano si “discretizzano” attraverso mappe sempre più codificate, e sistemi di calcolo più elaborati, fino a Dungeons & Dragons; e in un’altra direzione, il Tamagochi, il vero predecessore dei Sims, solo, concreto e individuale. Non solo: tutto questo era stato già immaginato da Dick, mentre osservava sua figlia giocare con la prima Barbie. Solo, il medium in gioco non era il digitale, ma una droga “empatica”, capace di mettere in contatto i gruppi di giocatori (Dick, 2003).
 
Qui c’è da fare una riflessione ulteriore, partendo dalle “nuove mappe del virtuale” che Dario De Notaris (cit.) ci propone nel volume che abbiamo ampiamente citato, e che ci è servito da strumento di navigazione nel ragionamento che stiamo conducendo. Il giovane sociologo napoletano avverte in apertura del libro (ivi p. 9), che il “sistema” costituito dal computer con le sue periferiche e l’accesso ad Internet è al centro, riverbera e conferma i processi di rimediazione (Bolter, Grusin, 2002) che hanno da sempre interessato i media. Ma qui forse c’è da riconoscere un passaggio ulteriore: la rimediazione comincia a svolgersi fra la realtà virtuale e la realtà 1, se cominciamo a considerarla anche questa come un medium. In fondo, nel Web si riversano gli oggetti del mondo, l’intera cultura. E dai comportamenti, le procedure, le modalità di azione che si sviluppano in Rete, procedono al di qua dello schermo mutamenti nel modo di essere-nel-mondo e nella vita quotidiana. Le identità cambiano, si rielaborano, si riorganizzano. Tempo e spazio sono percepiti in maniera diversa dal passato, si riclassificano relazioni e routines, l’intero modo di negoziare significati e saperi. Le due realtà si combinano, si scambiano, si contaminano. Si fabbricano universi (qui rubiamo a un altro pilastro della science fiction, Philip José Farmer). Mancava un ultimo passaggio: la trasformazione definitiva dell’interfaccia fra i due universi, quello “materiale” e quello “virtuale”, il computer di casa, in una protesi da portare con sé, e che “rimediasse” al suo interno tutte le altre periferiche. Ma anche questo limite è ormai superato: con il cellulare (De Notaris, pp. 129 e segg.).
Ancora Philip Dick, Ubik (2003).
 
Letture
Bolter J. D. Grusin R., 2002, Remediation, 1999, trad. it., Remediation, Guerini, Milano.
Clarke A. C., 1991, The City and the Stars, 1956, trad. it. La città e le stelle, Mondadori, Milano).
De Notaris D., 2010, Vite condivise Dal newsgroup al social network, Ipermedium, S. Maria C. V.
Dick P. K., 2003, The Three Stigmata of Palmer Eldritch, 1965, trad. it. Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Fanucci, Roma.
Dick P. K., 1995, The Crack in Space, trad. it. Vedere un altro orizzonte, Bompiani, Milano, 1966.
Dick P. K., 1979, Galactic Pot-Healer, 1969, trad. it. Giù nella cattedrale La Tribuna, Piacenza.
Dick P. K., 2003, Ubik, 1969, trad. it. Ubik, Fanucci, Roma.
Farmer P. J., 1965, The Maker of Universes,trad. it., Fabbricante di universi, Nord, Milano 1974.
Turkle S., 1997, Life on the Screen: Identity in the Age of the Internet, 1995, trad. it. La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di internet, Apogeo, Milano.
Zambardino V., 1996, Internet Avviso ai naviganti, Donzelli, Milano.
 

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