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Alcune annotazioni su ’Poesie d’amore’ di Nazim Hikmet

senza nessuna ragione un lupo urla alla luna
 iroso infelice affamato
senza nessuna ragione le stelle scendono a dondolarsi
 sull’altalena del giardino
senza nessuna ragione vedo come sarò nella tomba
senza nessuna ragione nebbia e sole nella mia testa
senza nessuna ragione mi attacco al giorno che inizia
 come se non dovesse finire mai più
e ogni volta sei tu
 che sali dalle acque.
(stralcio da ‘Cracovia, 1961’)
 
***
 
La prima edizione italiana risale al 1991 (la scheda dell’edizione del 1995 dal sito dell’editore), diventata poi nel 2002 un’edizione Oscar classici moderni sempre per Mondadori. Attualmente sono in circolazione edizioni del 2010, quattordicesima ristampa (ma forse è già disponibile la quindicesima) con 188 pagine a euro 8,40.
 
Questo libro di Nazim Hikmet ha un titolo a mio avviso decisamente infelice: Poesie d’amore. 
 
Non che non ce ne siano, di poesie d’amore, indubbiamente c’è molto amore in questi versi. Eppure proprio in questo titolo si usano keyword fuorvianti, che vanno decodificate o quanto meno non prese alla lettera.
 
Non lo definirei un potenziale regalo ad esempio per San Valentino, per restare entro una delle banali ritualità a tema. L’amore c’è ma è estremamente diramato, poliforme, assimilato a molto altro che Hikmet ha incontrato nel suo vivere, assorbito e trasformato in tracce sotto forma di versi.
 
Si tratta di una raccolta, com’è evidente considerando la natura degli scritti di Nazim Hikmet (Salonicco, 1902 – Mosca, 1963) che ha iniziato a scrivere poesie all’Accademia della marina finché a diciotto anni è fuggito in Anatolia. E' rientrato clandestinamente in Turchia solo nel 1928 quando diversi suoi libri erano già stati pubblicati e la sua posizione politica dichiaratamente comunista gli valse una condanna in carcere, che scontò per dodici anni durante i quali fu colpito dal primo infarto. Ha lasciato nuovamente la Turchia per cercare un po’ di serenità dalla condizione di ‘braccato in terra d’origine’ a cui era sottoposto, è stato costretto a lasciare la moglie Munevvér incinta per ritirarsi vicino a Mosca.
 
Ha scritto, oltre ai componimenti poetici, opere teatrali, e saggi. È stato tradotto in molti paesi. Dagli anni cinquanta in poi ha viaggiato, è andato a Cuba, è venuto perfino in Italia diverse volte. E' morto a Mosca nel 1963 colpito da un altro infarto.
 
Chi sa, forse non ci ameremmo tanto
se le nostre anime non si vedessero da lontano
non saremmo così vicini, chi sa,
se la sorte non ci avesse divisi.
(stralcio da ‘Istanbul’, 1933)
 
***
 
Il libro nella sua veste cartacea è diviso in sezioni, identificate in modo diverso a ricostruire il percorso di scelta che le compone (Rubai, Lettere dal carcere a Munevvér, Fuori del carcere, In esilio, Uno strano viaggio, Autobiografia 1962, poemetti, Rubayat, Don Chisciotte, Alla vita, Poesie sulla morte). In coda il volume contiene una lettera che Hikmet scrisse a Joyce Lussu (il traduttore) nel dicembre 1961 e una Nota dello stesso Lussu.
 
Evidentemente in questo libro si rintracciano leitmotiv, non è possibile per Hikmet (come per molti altri sensibili creativi che narrano) scindersi da ciò che ha vissuto e vive, scindersi da sentimenti, affezioni, stati d’animo e fatti vissuti, subiti, scelti. Hikmet scrive senza seguire veri e propri schemi, senza delineare percorsi prevedibili o previsti. Scrive. Asseconda moti dell’anima, del cuore, delle passioni, delle ossessioni.
 
Ecco perché trovo il titolo scelto per questo libro fuorviante, non rende giustizia a queste opere così diverse tra loro per periodo di concepimento quanto per tematiche, linguaggio, sviluppi e implicazioni.
 
L’amore, comunque, c’è. Ovunque e declinato in molti modi, c’è.
 
 
Nello studio del dottor Imré Littman, sul tavolo,
c’è il cuore della signora Janos Sciabai.
Se ne sta un po’ imbronciato e un po’ orgoglioso
diritto in un boccale circondato da rose
che di calde albicocche hanno il colore.
 
È tagliato nel mezzo da un lungo segno fine
il cuore che fu quello della signora Sciabai.
Dottore, da che viene quella ferita? Un bisturi,
una frase malevola, un’azione sleale?
C’è qualcuno che piange la signora Sciabai?
 
[…]
 
Sta qui, se pure senza ritorno è partito,
il cuore che fu quello della signora Sciabai.
Il dottore si è messo quel viscere di fronte
tenta di penetrare il segreto che nasconde
la morte venne da un’arteria o dall’amore?
 
Che nello studio chiaro di un medico sapiente
come il cuore della signora Janos Sciabai
dopo di noi possa servire a qualcosa
il nostro cuore, accanto a una bellissima rosa,
in un boccale pulito, come fosse vivente.
(stralci da ‘il cuore nel boccale, 1953)
 
***
 
La vecchiaia la solitudine e io e poi una malinconia tuttibe quattro camminiamo fianco a fianco senza parlarci
 
ciascuno cammina solo ma siamo l’uno a fianco all’altro
 
che cosa non avremmo dato gli uni e gli altri per non sentire il rumore dei passi gli uni degli altri
 
dentro di noi abbiamo pietà imprechiamo gli uni contro gli altri ma ci amiamo perché non crediamo gli uni negli altri
 
che cosa non avremmo dato per arrivare a un incrocio e infilare presto quattro strade diverse ma non so se uno di noi morisse se quelli che restano sarebbero contenti
 
la vecchiaia la solitudine e io e poi una malinconia tutti e quattro camminiamo fianco a fianco
 
la notte prendiamo il tram i tram che non sappiamo dove vadano
 
la notte i tram puliti larghi a tre vagoni ci portano in qualche luogo con stridori sferragliamenti
 
(stralcio da ‘Notturno in tram a Berlino’. Berlino, ottobre 1961)
 
 
Segnalo la versione audio book che Mondadori propone dividendo il libro in quaranta capitoli letti da Raffaele D’Ambrosio al costo di euro 9,90.

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