• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Agguato alla seconda Repubblica

Agguato alla seconda Repubblica

 

Il 9 maggio si è celebrata la giornata dell'Europa unita. Una ricorrenza che quest'anno sembra quasi beffarda se si considera che le ultime settimane, pur non essendo state affatto avare di novità dirompenti negli assetti politici e sociali del Vecchio Continente, hanno visto quale unico comune denominatore dei popoli europei il sentimento della protesta. Attraverso il quale si è voluto lanciare un segnale di allarme ai propri governanti e alla politica in genere, per l'insostenibilità di un quadro di profondo disagio dovuto a una crisi finanziaria di cui ancora si fatica a scorgere l'epilogo e di politiche per contrastarla che si sono quasi sempre rivelate inefficaci.

La Francia è stata solo il tassello più evidente e, forse, in prospettiva più rilevante dello stravolgimento in atto, con l'affermazione non tanto di un candidato su un altro quanto invece di una forte richiesta sociale, evidentemente trasversale, di invertire la rotta di almeno un decennio di "lacrime e sangue" imboccando finalmente la strada dello sviluppo. Tuttavia, chi si illude che il socialista Hollande potrà e vorrà effettivamente fare la voce grossa rispetto alla conservatrice Merkel e agli interessi finanziari della locomotiva tedesca è destinato probabilmente a restare deluso.

Il vero scenario ora possibile, infatti, è un giusto ed equilibrato punto di mediazione fra misure che sono state insieme, paradossalmente, ultra-liberiste e protezionistiche da un lato e il bisogno di nuove ricette per la crescita più temperate che non sacrifichino, come al contrario è avvenuto fino ad oggi, né i risultati faticosamente ottenuti a garanzia dell'austerity né soprattutto il già ampiamente compromesso impianto del welfare.

L'Italia, in questo nuovo contesto, può ritagliarsi un ruolo decisivo e diverso rispetto al passato grazie alla figura forse più in grado di coniugare le contrapposte esigenze di rigore e crescita: Mario Monti. Quest'ultimo deve però fare i conti col grande appello alla discontinuità che è venuto dalle urne in occasione delle elezioni amministrative, che certamente non rappresentano fino in fondo un test politico nazionale ma che, proprio in quanto cadute nella fase più dura dello scontro fra cosiddetti europeisti ed anti-europeisti, o se si preferisce fra propugnatori della "responsabilità" intesa come impegno diretto volto a risolvere i problemi della comunità ed esponenti della "irresponsabilità", attivi fuori e dentro il parlamento, che si sono sinora limitati appunto alla protesta anti-sistema (raccogliendone peraltro i frutti sul piano del consenso), possono preludere a una fase di maggiore instabilità interna rafforzando l'incertezza sull'avvenire politico ed economico dell'Italia.

Il fenomeno Grillo, che personalmente non considero degno di considerazione in quanto ad offerta di governo, non va comunque sottovalutato perché è stato capace di intercettare una parte del diffuso malcontento rispetto alle degenerazioni della partitocrazia italiana più ancora, a mio avviso, che nei confronti del rigorismo europeo o della longa mano della finanza internazionale sulla politica. E' stato pertanto un voto irrazionale e di confusione, pur se con accenti diversi, come lo è stato quello attribuito alla candidata di estrema destra Le Pen in Francia e più recentemente nella disperata Grecia dove sono cresciuti a dismisura i movimenti che si richiamano alla tradizione comunista e quelli neofascisti entrati perfino in parlamento.

In questi ultimi casi, però, si è trattato palesemente di una sorta di rivolta sociale verso le opprimenti ingerenze del mercato e delle istituzioni europee, al punto da incarnare a volte i crismi del nazionalismo e da anticipare, come nel caso ellenico, l'ormai probabilissimo tracollo definitivo. In fondo, a sentir parlare i candidati del Movimento 5 Stelle, che sono altra cosa dal demagogo un po' schizofrenico Beppe Grillo, ennesima e si spera ultima propaggine dell'ingloriosa seconda Repubblica fondata sulla propaganda, può venire in mente il candido e spontaneo entusiasmo di persone, specialmente giovani, che dalla società civile hanno voglia di rincorrere un sogno e non certo il pericolo di ritrovarsi un domani davanti a squadracce di chissà quali razzisti manganellatori.

La politica tradizionale, che nel corso proprio della seconda Repubblica ha fatto di tutto per peggiorare i difetti del ciclo precedente assurgendo alla posizione di detestata "casta" e giustificando i montanti impulsi anti-politici, non pare volersi veramente accorgere di ciò che brucia nella società. Mentre fuori tutto è già cambiato, essa continua a perdersi in estenuanti discussioni per addetti ai lavori fra annunciate - e mai realizzate - riforme costituzionali, ipotetiche alleanze più o meno convenienti elettoralmente e pasticci legislativi utili solo a perpetuare la propria sete di potere e di denaro pubblico. Insomma, è la solita politica politicante fedele alle classiche di-visioni "destra/sinistra" e "nord/sud" come ha notato Massimo Cacciari recentemente su l'Espresso, quando invece è sui nuovi assi di discrimine "padri/figli" e "onesti/disonesti" che si gioca la sopravvivenza stessa del nostro Paese.

Estromettere Berlusconi dal potere evidentemente non è bastato a garantirci un ciclo virtuoso e i cittadini, a differenza dei partiti che si sono illusi di poter ricavare dal mutato scenario una facile rendita o un salvacondotto per l'avvenire, lo hanno ben compreso. Se si vuole analizzare seriamente l'esito del voto amministrativo bisogna concludere che ad essere messo sotto accusa è stato tutto l'inconcludente panorama politico dell'ultimo ventennio, tanto che appare verosimile che il consenso attribuito ai candidati cosiddetti grillini, ma pure a quelli di altri partiti e movimenti anti-sistema, deve essere inteso non semplicisticamente come una rivolta contro il governo Monti bensì, per l'appunto, verso una classe dirigente che ha sprecato interi lustri nella messa in scena di una rissa permanente, senza uno straccio di programma credibile capace di infondere fiducia ai cittadini e di migliorare le condizioni generali della nostra società.

Mario Monti, al di là delle minime percentuali di elettori pregiudizialmente ostili al suo governo indirizzatesi verso sigle come Lega, Idv e Sel, non può essere oggi indicato dai partiti maggiori come la principale causa dei nostri mali e, di conseguenza, del proprio tracollo nelle urne. E' una tesi che non può reggere a lungo perché chi ha buona memoria ricorda che l'attuale premier non si trova lì per caso ma è stato chiamato anche dai partiti stessi per tentare di attuare quelle misure, drastiche ma necessarie e perfettibili quanto si vuole, che loro però non avrebbero mai avuto il coraggio e il buon senso di portare avanti.

Il Pdl, che rappresenta il caso più eclatante di sconfitta di un certo modo di fare politica, non si è quasi azzerato per il sostegno all'indigesto governo tecnico ma perché sono ancora fresche le sue incongruenze e incapacità di governo. Chi ha dimenticato i tanti slogan propagandistici del tipo "la crisi non esiste", "i ristoranti sono pieni", "le famiglie stanno bene" e così via? E chi ha dimenticato che quel partito, assieme alla Lega, ha fatto cattivo uso dei consensi quasi plebiscitari regolarmente ricevuti dai cittadini negli ultimi dieci anni impegnandosi in parlamento non per riformare il Paese e garantire benessere alla collettività, bensì per salvaguardare gli interessi economici e giudiziari di un certo Silvio Berlusconi?

I tanti elettori che non sono andati a votare, e che recandosi alle urne avrebbero magari anch'essi potuto scegliere Grillo o i movimenti più estremi, siamo sicuri che non siano recuperabili da un'offerta riformista e responsabile, di governo, che si assuma l'onere di proseguire l'opera risanatrice avviata da Monti? Quindi, se il Pdl è evaporato, il Terzo polo non è stato considerato affidabile e il Pd si è ridotto al ruolo di subalterno portatore d'acqua alle istanze dei candidati più radicali ostili alla modernità, non è solo per i peculiari problemi interni di ciascuna di quelle forze ma perché probabilmente gli elettori, in modo assolutamente trasversale, hanno visto in esse un comune punto di debolezza: sono vecchie e tutte compromesse col più fosco periodo della nostra storia repubblicana.

A pagare maggiormente le conseguenze della generale disfatta delle forze che si sono alternate al governo del Paese dal 1994 al 2011, sono i milioni di elettori moderati (finiti sotto le macerie per dirla con Casini) che di certo non coincidono con quanti non vogliono pagare le tasse o rinunciare a qualcosa pur potendoselo permettere per il bene comune e dei più giovani in particolare, ma coi cittadini di ogni età e ceto sociale che invece di protestare nelle piazze manifestano il proprio disagio nella dignità del silenzio. Un blocco sociale immenso rimasto di fatto senza rappresentanza.

Per rispondere alla loro richiesta di discontinuità non basta cambiare nome al proprio partito o giocare furbescamente di tattica variando di volta in volta alleati, e men che meno ignorarli insistendo nell'accarezzare i peggiori istinti sociali ritenuti più pesanti elettoralmente. A dover essere cambiati, oltre alle piattaforme ideali, culturali e programmatiche che loro esprimono, sono i vecchi leader della seconda Repubblica, nessuno escluso, proprio in quanto tutti vengono identificati con un ventennio che ha ridotto il Paese così come oggi è.

Ora c'è un anno per porre rimedio al gap che si è determinato fra cittadini e politica, ma se da qui alle prossime elezioni i partiti continueranno a ricercare facili consensi venendo meno al proprio dovere di responsabilità, ostacolando sempre il governo quando c'è da correggere le anomalie del sistema Italia invece di impiegare ogni risorsa ed energia nel tentativo di proporre quelle auto-riforme che la gente si aspetta dopo anni di abusi e scandali, allora il collasso sarà inevitabile.

E fra chi auspica per noi la stessa sorte della Francia di "autonomismo temperato", soprattutto nel Pd, e chi di contro rivendica stoltamente posizioni più drastiche all'insegna dell'identitarismo nazionale in chiave anti-europea, come fanno tutte le forze politiche ostili al governo Monti e perfino ampi settori del Pdl, si corre il rischio di far emergere una terza via realmente anti-politica e perfino peggiore della non auspicabile prospettiva greca: la destabilizzazione democratica come conseguenza di quella sociale.

Perché se si può dire cinicamente che in Grecia sono tutto sommato abituati da sempre a non sguazzare nel benessere, qui da noi siamo viziati (dalla cattiva politica e dal cattivo sindacato) e abbiamo per decenni vissuto al di sopra delle nostre possibilità e all'insegna dell'egoismo più sfrenato, spremendo le finanze pubbliche e compromettendo l'efficacia del welfare per le generazioni future. Cosa significa? Che non essendo più capaci di arrangiarci, di sacrificarci, di ripartire da zero, siamo più soggetti al rischio dell'esplosione della rabbia sociale non limitata alla protesta di piazza.

In questo senso, la prospettiva che Grillo arrivi in parlamento è la meno inquietante perché in una situazione come quella attuale potrebbe in effetti spuntare qualcun'altro che non si limita a suscitare l'ilarità degli astanti durante i comizi ma è davvero animato dall'intenzione di commissariare la nostra democrazia, magari col pretesto di preservare la pace sociale e la stabilità delle istituzioni. Pensiamoci bene, allora, noi cittadini. E soprattutto ci pensi, senza se e senza ma, quel poco di rappresentanza democratica che ancora s'affanna alla ricerca di una via d'uscita.

Il vero agguato alla seconda Repubblica, che va in ogni caso spazzata via al più presto, non è venuto dalle urne e non viene neanche dai comunque irrazionali e ingiustificabili assalti agli uffici e ai dipendenti di Equitalia e dell'Agenzia delle entrate. La vera sfida al sistema è stata lanciata a Genova col criminale attentato al manager di Ansaldo Roberto Adinolfi, proprio là dove molti anni addietro perse la verginità la protesta sociale di allora e venne inaugurato il buio periodo della lotta armata. Oggi come ieri il nostro Paese è dunque in pericolo, esposto non solo all'instabilità politica, alla crisi economica e al disagio sociale ma pure agli attacchi di un rinascente terrorismo e forse anche alle trame oscure di chi vuole approfittare del clima di confusione per limitare le nostre libertà.

In tale quadro quale ruolo vogliono ritagliarsi le forze politiche, almeno quelle che coltivano legittime velleità di governo? Intendono rendersi complici dei nemici visibili e invisibili della democrazia o hanno l'ambizione di riscattarsi sforzandosi finalmente di agire in nome della coesione, arginando le tentazioni populistiche che infettano la politica stessa e prevenendo ad un tempo l'arrivo di mali ancora peggiori? E' dalle risposte che nei prossimi mesi verranno a questi quesiti che passa il futuro di noi tutti.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares