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Aaron Bushnell come Jan Palach, ma senza sollevare le attenzioni dei nostri media

Domenica 25 febbraio, un militare americano, vestendo la propria divisa, si è recato davanti all'ambasciata israeliana a Washington, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco. Mentre ardeva, non ha cessato di gridare "free Palestine!"

Si chiamava Aaron Bushnell, aveva 25 anni ed era un aviere professionista di stanza alla base di San Antonio in Texas. Prima di compiere il gesto estremo, che in poche ore lo ha portato alla morte, aveva lasciato su suoi profili social il seguente messaggio come riportato dal sito di Radio Popolare: "Molti di noi amano chiedersi: "Cosa avrei fatto se fossi stato vivo durante la schiavitù? O durante le leggi Jim Crow degli stati del Sud? O l’apartheid? Cosa farei se il mio paese stesse commettendo un genocidio?’ La risposta è: quello che sto facendo, proprio adesso". Bushnell si è ucciso in diretta streaming; oltre la messaggio aveva infatti indicato il link per consentire di collegarsi in diretta con lui sulla piattaforma Twtch. Un gesto attentamente premeditato e pianificato, quindi, una protesta estrema, motivata da quanto ha dichiarato poi nei suoi ultimi momenti di vita: "Sono un membro in servizio attivo dell’aeronautica degli Stati Uniti e non sarò più complice del genocidio. Sto per intraprendere un atto di protesta estremo, ma rispetto a ciò che la gente ha vissuto in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso che deve essere normale".

Indipendentemente dal giudizio che ciascuno può dare su simile azione e da cosa sapremo eventualmente di più nelle prossime settimane, è del tutto evidente quale sia il deficit di equilibrio informativo che caratterizza oggi i media nostrani. Bushnell ha compiuto un atto estremo, terribile, del tutto simile al conclamato eroe della primavera di Praga Jan Palach; ha documentato e motivato il suo sacrificio in maniera inequivocabile perché non fosse in alcun modo frainteso o manipolato. Solo alcuni nostri tg han dedicato qualche secondo alla vicenda, derubricata a poco più di una tragica e triste curiosità. Non ci sono stati approfondimenti, dibattiti o quanto altro. Minimizzazione stridente considerando invece l'imponente esposizione mediatica offerta al caso Navalny da tutte le nostre redazioni, spintesi fino a dirette del suo funerale. Eppure se uno va a vedere i media anglosassoni, scoprirà che lì, invece, i servizi, gli approfondimenti, ed il dibattito sollevato, sono stati di un certo rilievo.

Conferma ulteriore che il caso Ghali ed il prospettato daspo per i nostri artisti, sono sintomi non secondari e conferma di una deriva verso un controllo dell'informazione e sua trasformazione in mera propaganda, indegno di un paese europeo e democratico come il nostro. Antonio Del Lungo

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