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A proposito di sucidi

Ogni anno nel mondo si suicidano ca. 800000 persone (una ogni 40 secondi), di cui 2/3 sono uomini.

Ogni anno nel mondo si suicidano ca. 800.000 persone (una ogni 40 secondi), di cui 2/3 sono uomini.

Il suicidio è causa dell’1,5% dei 54 milioni di decessi annui.

In Svizzera si tolgono mediamente la vita ca. 1400 persone all’anno con un tasso di 20,3 ogni 100.000 abitanti, mentre in Ticino si constatano mediamente 50-55 suicidi all’anno con un tasso del 18,3.

Nel nostro Cantone abbiamo il tasso di mortalità per suicidio più basso della Svizzera per gli uomini e il terzo più basso per le donne.


Il morire volontariamente è un fenomeno presente da sempre nella storia dell’umanità e continua a creare interrogativi sul suo senso e sul significato del morire. Mentre la morte naturale appare come un elemento ineluttabile e la morte per malattia come evento invasivo, seppur naturale, la morte per suicidio ci appare come innaturale: non è la morte che si impossessa della persona, quanto la persona che si impossessa della morte suscitando reazioni di sgomento per un accadimento incomprensibile.

Per tentare di capire la complessità di questo fenomeno possiamo individuare almeno tre nodi tematici pur considerandolo un evento di carattere assolutamente personale:


• Il livello della storia personale dove il senso di un gesto va interpretato all’interno di un orizzonte intenzionale di senso nell’esperienza complessiva del soggetto; il senso di inutilità, la stanchezza di vivere, il rimprovero alle persone significative, il rifiuto esplicito nei confronti dell’altro fino all’amara e tragica rivendicazione di sé sono alcuni dei dolorosi itinerari di storie quotidiane.

Il livello delle relazioni interpersonali prima e dopo l’evento dove gioca un ruolo speciale la questione della colpa; l’urlo disperato ed inascoltato della confessione o l’invocazione disperata di perdono danno forma ad un atto che si vorrebbe silenzioso pur nella sua eclatante teatralità.

Il livello delle relazioni sociali ossia delle regole condivise e del generale progetto di senso che tali relazioni configurano nella società; nella società moderna pervasa da un’esistenziale angoscia del quotidiano, priva di ritualità che elaborino positivamente il senso del morire, l’incertezza e la frammentarietà caricano il singolo di un peso che non può sopportare svuotando la vita, quasi dal di dentro, di rapporti significativi.

In questa ottica il suicidio di pazienti in cura presso strutture psichiatriche assume il carattere di evento sociale particolarmente drammatico poiché pone l’interrogativo sulla sua prevedibilità e prevenzione da parte degli operatori.

Pur essendo questa una preoccupazione costante da parte di chi si occupa di pazienti psichiatrici numerosi studi hanno però dimostrato che non c’è nessun metodo pratico per predire con sufficiente accuratezza clinica chi commetterà un suicidio.

Cerchiamo quindi di riconoscere i limiti di una medicina a cui si chiede di risolvere ogni problema e riproponiamoci con franchezza e umiltà la questione della possibilità di atti la cui conoscenza può diventare adeguata soltanto considerando i piani antropologico, etico e sociale.

Pur nella negazione il suicidio mette infatti in evidenza la domanda essenziale della vita e cioè la questione etica: c’è qualcosa per cui valga la pena di affrontare la fatica del vivere? C’è una causa che rende preziosa la vita?

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