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25 aprile: ancora contestazioni alla "Brigata Ebraica"

C’è una specie di vuoto, ogni anno, negli insulti alla presenza di simboli ebraici nei cortei del 25 aprile. Un vuoto che, a voler essere (molto) buoni, è forse determinato da una carenza di riflessione storica.

La Liberazione non fu infatti il momento simbolico della fine dell’oppressione di un astratto nazi-fascismo, ma la concretissima fine di una occupazione militare straniera e allo stesso tempo di un regime che aveva una sua ben precisa struttura sociale, politica e giuridica.

Di quest’ultima facevano parte leggi che rimasero poi anche nel codice repubblicano (basti pensare al famoso “codice Rocco”) ed altre che furono abolite da subito, fin da quel 25 aprile.

Ad esse appartenevano le leggi razziali.

Cioè quell’insieme di disposizioni che, fin dal 1938, avevano stabilito una specifica discriminazione degli ebrei all’interno del tessuto nazionale italiano. E che furono un insulto all’umanità, sia chiaro (e in questo senso riguardano tutti); ma, se non è di troppo disturbo per l’egualitarismo resistenziale a tutti i costi, riguardarebbero nello specifico proprio gli ebrei che ne furono, loro malgrado, i destinatari.

Specularmente, l’abolizione delle leggi razziali costituì un momento liberatorio specifico per gli ebrei, tanto quanto l’abolizione della messa al bando delle sinistre costituì uno specifico di comunisti e socialisti all’interno del più ampio significato di democratizzazione dell’intera società.

In altri termini, senza banalizzarne il senso, è evidente che alcuni poterono leggere, nella fine del regime, qualcosa che li riguardava più da vicino e più direttamente di altri, senza affatto negare il contesto più ampio di una liberazione che riguardava tutti (tranne i nostalgici, che comunque non furono pochi).

Qualcosa che, per gli ebrei, fu appunto “liberazione” dalle discriminazioni, dalle persecuzioni ed anche dal rischio, tutt’altro che astratto, di essere “venduti” da altri italiani. Perfino da altri ebrei (è famoso il caso di Celeste Di Porto, ebrea romana che collaborò con i nazi-fascisti). Il “premio” per la denuncia di un ebreo consisteva in 5000 lire di allora, equivalenti quasi ad un anno di salario operaio. Taglia succulenta che non pochi andarono a riscuotere dopo aver venduto i propri vicini di casa, vecchi conoscenti o compagni di scuola o lavoro.

Esiste quindi uno specifico ebraico nel giorno della Liberazione, la fine delle leggi razziali, cui si affianca la misconosciuta partecipazione di numerosi ebrei italiani alle formazioni combattenti (comprese sette medaglie d’oro al valor militare) e quella della Brigata Ebraica, formazione di volontari ebrei internazionali inquadrata nell’Esercito inglese.

Dal momento che ai cortei del 25 aprile ognuno porta con orgoglio le insegne della propria specificità, partitica, politica o nazionale - per cui nessuno si scandalizza se oltre alle bandiere dell’ANPI ed ai gonfaloni delle istituzioni si possono ben vedere bandiere del PD o di Rifondazione, di SEL, Lista Tsipras, Cinquestelle, Verdi, Radicali, CGIL, di Emergency, di anarchici e pacifisti, atei e religiosi, dei siriani pro-Assad e di quelli contro Assad, dei No-Tav, dei filopalestinesi, perfino degli ucraini del “Donbass antifascista” e dell’Arcigay - non dovrebbe essere strano che anche gli ebrei manifestassero con i propri simboli e le proprie bandiere. Che, indubbiamente più di altri, avrebbero diritto di portare.

E qui, lo sappiamo, casca l’asino.

Perché i simboli ebraici in fondo sono solo due: la menorah, il candelabro a sette braccia che è però un simbolo religioso, e la Stella di David che è invece laico. E che, proprio per questa sua laicità, fu scelto dal movimento sionista come propria bandiera. La stessa che il Governo inglese, su proposta della Jewish Agency, stabilì per la Brigata Ebraica con determinazione del 31 ottobre 1944, divulgata poi dalla più antica agenzia di stampa ebraica, la Jewish Telegraph Agency, che pubblicò la notizia il giorno dopo. La bandiera era la stessa che fu poi adottata dallo Stato di Israele nel 1948.

Il problema quindi si pone. O meglio si pongono solo due alternative: o gli ebrei rifiutano di sentirsi rappresentati da una simbologia (la Stella di David) antica, ma poi fatta propria dal sionismo, e quindi accettano di “sparire” nel corteo in mezzo a tutti gli altri in una versione moderna dell’assimilazionismo. Oppure non trovano affatto disdicevole adottare la simbologia davidica (che non era giudaica in origine, ma che diventò ebraica ben prima del sionismo) e quindi decidono di manifestare esibendo le bandiere con la Stella di David (in realtà lo "scudo" di David). Cioè con i simboli sentiti come "propri".

Il che non vuol dire affatto condividere in toto o in parte, acriticamente, le politiche israeliane.

Nel primo caso rinunciano a dare visibilità allo specifico ebraico della Liberazione, la fine delle leggi razziali e persecuzioni connesse, che riguardavano solo gli ebrei. Nel secondo contribuiscono a tener viva la memoria dell’antisemitismo fascista con il quale il nostro paese si è ampiamente “dimenticato” di fare i conti. Sia a destra che a sinistra.

I filopalestinesi si “dimenticano” anche loro di questa particolarità interna al mondo liberazionista. E vedono la specificità ebraica come il fumo negli occhi per la storia medio-orientale che non ha granché a che vedere con la liberazione italiana.

Dopo che la comunità palestinese ha ampiamente assicurato nei giorni scorsi che non esisteva alcuna preclusione da parte loro “verso la Brigata ebraica e la sua bandiera”, la comunità ebraica romana, a scanso di guai, ha preso la sciagurata decisione di non partecipare al corteo dell’ANPI, che così è stato abolito, procurando un vulnus al giorno della Liberazione difficilmente cauterizzabile.

Più moderata, la comunità ebraica milanese ha deciso di sfliare senza le vere bandiere della Brigata Ebraica (che sono uguali a quelle di Israele), ma trasformando in bandiera quelle che erano solo le mostrine “da spalla” della Brigata: bande verticali bianco-blu e Stella di David gialla nel mezzo.

Problema risolto? Nemmeno per idea. Fischi, offese, contumelie e dito medio alzato: bastardi e assassini gli epiteti più gettonati

Come si poteva facilmente immaginare nessuna simbologia ebraica è esente da contestazioni. Nessuna bandiera che richiami simboli ebraici è libera di sfilare al riparo da aggressioni verbali (e anche fisiche, come è successo a Cagliari). Che, sia chiaro, non è una novità di quest'anno, ma la prassi di ogni 25 aprile da anni.

Agli ebrei è concessa solo una dichiarata partigianeria filopalestinese (vedi i quattro rappresentanti di Ebrei Contro l’Occupazione), oppure nessuna appartenenza.

In altri termini o la condivisione acritica dell’interpretazione storica filopalestinese sulle vicende mediorientali (con l’unico storico israeliano sugli scudi, Ilan Pappè, citato a dismisura) che è in realtà ben più complessa di quel manicheismo pop di maniera che si "scorda", per fare un esempio, del massacro di Hebron e relativa pulizia etnica del 1929 che l'antica comunità ebraica ivi residente subì per mano araba vent’anni prima del declamato massacro di Deir Yassin.

Oppure devono farsi trasparenti e “sparire”, non farsi riconoscere. Ed essere “uguali” a tutti gli altri che però, loro, si riservano il diritto di non essere uguali, ma di portare in piazza ognuno la sua specifica identità di appartenenza, la sua particolarità politica, partitica, sindacale, nazionale, sessuale, gruppettara, microgruppettara, frazionista, movimentista, pro o contro qualsiasi cosa, che siano i treni ad alta velocità o i maltrattamenti degli animali, eccetera.

Tutti tranne gli ebrei. Questo nel giorno della Liberazione. No comment.

 

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