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 Home page > Tribuna Libera > Quando l’Interesse Nazionale presenta il conto

Quando l’Interesse Nazionale presenta il conto

La vicenda del gasdotto transadriatico è arrivata ad un punto di svolta. Il sedicente Governo del Cambiamento, non cambiando le decisioni dei governi che l'hanno preceduto, ha riconosciuto la legittimità e la necessità dei lavori di realizzazione del gasdotto che porterà il gas azero nelle nostre case. 

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La minore dipendenza dal gas russo, i minori costi del gas azero, la connessa possibilità di chiudere qualche inquinante centrale a carbone e il limitatissimo impatto ambientale della costruzione del gasdotto sono le ragioni che avevano spinto i governi precedenti ad autorizzare la posa dei tubi del gasdotto transadriatico. Qualcuno, però, ha finto che l'Interesse Nazionale non fosse alla base della decisione di far arrivare in Italia il gas dall'Azerbaigian. Pur di raccattare poche migliaia di voti, si è fatto credere che il sindaco di Melendugno fosse il responsabile della politica energetica italiana. Dopo anni di polemiche chiassose e sguaiate, il Movimento 5 Stelle ha finalmente capito che il sindaco di Melendugno non è il titolare della politica energetica nazionale, che viene invece stabilita dal Governo e dal Parlamento italiani!

Discorso analogo per la politica migratoria. Tra il 2014 e il 2016, l'Italia ha rinunciato alla gestione dei flussi migratori. Se ne sono occupati Laura Boldrini, ex dipendente dell'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, Monsignor Galantino, rappresentante di uno Stato straniero quale è la Città del Vaticano, e le Organizzazioni Non Governative finanziate e composte da non italiani. Nessuno ha difeso l'interesse degli italiani ad avere dei flussi migratori controllati e quantitativamente assorbibili. Nel triennio 2014-16, il trio Boldrini-Galantino-ONG ci dispensava, ogni santo giorno, prediche sul “dovere morale” di consentire a chiunque di arrivare in Italia. Dell'interesse degli italiani ha iniziato ad occuparsi, solo nel giugno del 2017, un italiano di Calabria, Marco Minniti, che non prendeva ordini né dall'ONU, né dal Vaticano, né dai filantropi un tanto al chilo che finanziano le ONG. Grazie al democratico calabrese di cui sopra, si sono stipulati accordi e adottati provvedimenti che hanno fatto crollare il numero di sedicenti profughi sbarcati in Italia; erano stati più di 180.000 nel 2016; saranno meno di 30.000 nel 2018. La tutela dell'interesse nazionale è stata completata da Matteo Salvini, che, al netto degli inaccettabili sequestri delle navi della Marina Italiana, ha l'indiscutibile merito di aver vietato l'approdo in Italia delle navi delle restanti ONG.

L'Interesse Nazionale sta per presentare il conto anche sulla cosiddetta autonomia di Veneto e Lombardia. Contando sull'occupazione leghista del ministero degli Affari Regionali (affidato alla figlia di un caporione vicentino della Lega), le due predette regioni si sono spinte a chiedere la regionalizzazione della Pubblica Istruzione. E' evidente, anche se non dichiarato, l'obiettivo dei venetisti di disporre di docenti ai quali far insegnare il dialetto veneto nelle scuole della Repubblica italiana.

E' una rivendicazione irricevibile! Va respinta anche a costo di ricorrere agli stessi metodi usati un anno fa dalla polizia spagnola contro i velleitari secessionisti catalani. Se continua così, il signor Zaia può tranquillamente fare la fine di Oriol Junqueras, il capo secessionista catalano incarcerato dalle autorità spagnole. Dopo decenni d'insulti razzistici, non si può e non si deve dare gratis a certi esaltati strapaesani ciò che i popoli degni di questo nome hanno conquistato con la lotta, col sacrificio e col sangue dei loro martiri. In tanti, in troppi hanno sottovalutato la natura eversiva di questi movimenti pseudoautonomistici. E' prossimo il momento in cui si capirà che vogliono solo riportare in vita la Repubblica di Venezia.

Ieri l'Interesse Nazionale ha presentato il suo conto alla Sinistra sulla gestione dei flussi migratori dall'Africa. Oggi lo presenta ai pentastellati sul gasdotto transadriatico. Domani lo presenterà alla Lega sull'equivoca richiesta di autonomia del Veneto.

Commenti all'articolo

  • Di Hard truth (---.---.---.132) 29 ottobre 2018 21:09

    Le formiche non manterranno le cicale in eterno..

    Repubblica Veneta subito❗

    • Di Rocco Di Rella (---.---.---.212) 29 ottobre 2018 22:51
      Rocco Di Rella

      Intanto, caro il mio "patriota", qualificati con un nome e cognome, anziché nasconderti dietro uno pseudonimo abbastanza patetico! Poi sappi che tu mantieni solo i tuoi frustrati desideri di ridare vita ad uno Stato, la Repubblica di Venezia, cancellato da Napoleone 221 anni fa. Questa è la dura verità (hard truth) con cui dovresti iniziare a fare i conti. 

  • Di B (---.---.---.6) 30 ottobre 2018 11:06

    La storia "presenterà il conto"? Si rende conto delle baggianate da Lei affermate in questo articolo?

    Ora, posso comprendere che in uno Stato ove la sinistra è centralista, il centro inesistente o anti-autonomista e la destra nazionalista, nella miglior tradizione ottocentesca dello Stato-unitario-accentrato-modello-Francia-napoleonica (perdonate il ’neologismo’), dicevo, posso comprendere che le richieste di autonomia vengano respinte come "irricevibili" perché contro la "sacra unità nazionale" (quando di fatto non lo sono, altrimenti non definiremmo ’Stati’ la Germania, l’Austria, il Belgio, la Svizzera...) e soprattutto segno di un "egoismo territoriale dei ricchi" (anche se ad esempio il Veneto, che vedo da molti attaccato con sterili polemiche, richiede e si vede negata l’autonomia da almeno un secolo, anche quando era una regione economicamente depressa). E tuttavia rimango sempre più sconcertato dalla dabbenaggine delle critiche: se la sanità e l’istruzione, le due materie più prese di mira, fossero davvero indevolvibili allora come si spiegherebbe la sussistenza di sistemi scolastici e sanitari autonomi in Valle d’Aosta, Trentino e Sud Tirolo, o come si spiegherebbe allora la presenza di Länder autonomi appena oltre il confine, in Austria o poco più in là, in Germania? Sono questi privilegi inaccettabili od opportunità da sfruttare per il bene dei cittadini?

    Queste critiche mi suonano parecchio sterili, anche e soprattutto nel suo riferimento ai "dialetti locali". A parte il fatto che i "dialetti", come sono ormai diffusamente definiti, anche per consuetudine, non sono varianti o corruzioni locali della lingua italiana (da essa non derivano, a meno che non si dimostri che siano dialetti del toscano o da esso influenzati a tal punto da aver perso tutto, a parte la cadenza), bensì lingue, od idiomi se la parola lingue la infastidisce, ad essa sorelle, un loro insegnamento, magari ridotto solo a studio di una eventuale scrittura unificata, di scritti letterari se esistenti e a dialogo ed uso delle medesime, pur mantenendo impregiudicato lo studio dell’italiano e delle lingue straniere, non sarebbe così riprovevole, come da Lei ritenuto, ma pure una cosa dovuta, secondo la Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie, non ancora applicata in Italia.

    Pertanto concludo dicendo che se il presunto interesse nazionale si dovesse scontrare con l’interesse dei cittadini, a perdere sarà solo lo Stato, anche se dovesse infine uscirne "trionfante", riuscendo ad imporre la propria egemonia unitaria ovunque ’dalle Alpi alla Sicilia’, come qualche ’fenomeno’ affermava alcuni annetti fa. Se le legittimissime richieste autonomiste non dovessero essere accolte per assurde ed ottocentesche resistenze unitaristiche, a perdere sarà solo l’Italia, che rinuncerà ad un’altra occasione per riconoscersi come ’pluralità in unità’. A parte i leghisti o chi per essi, a parte le baggianate dette e fatte, forse pure funzionalmente a delegittimare le richieste di autonomia, dei cittadini hanno democraticamente chiesto più decentramento per il proprio ente regionale; e la Costituzione lo consente anche su sanità, istruzione e quant’altro. Spero lo Stato non dimostri che per ottenere quanto si richiede in Italia occorrano le bombe, com’è accaduto in Alto Adige, e non processi democratici.

    Altrimenti perderà qualsiasi senso anche il concetto di patria. Perché in Italia una "patria" può esistere solo se stratificata su più livelli, locale, statale ed europeo, con tutte queste culture intrecciate e sovrapposte, in un continuo confronto reciproco. È ora di finirla di vedere qualunque forma di cultura od anche di amministrazione non prettamente nazionalista ed centralizzata come attacco all’unità dello Stato. Perché in un Paese unico e multiforme come l’Italia, chi si proclama centralista od unitarista si crede difensore della Nazione, ma è de facto un ’anti-patriota’.

    • Di Rocco Di Rella (---.---.---.104) 30 ottobre 2018 22:30
      Rocco Di Rella

      Alcune telegrafiche risposte: 1) quello veneto è un dialetto che non figura tra le 12 minoranze linguistiche tutelate dalla legge 482/99; la maggioranza dei linguisti non dà al dialetto veneto la dignità di lingua; 2) le regioni dovrebbero essere enti di programmazione e di indirizzo; sono invece diventati enti di gestione; le regioni, che oggi sono comunque troppe e il cui numero va almeno dimezzato, dovrebbero elaborare piani e programmi, delegando le funzioni amministrative di attuazione ai Comuni, che dovrebbero svolgerle singolarmente, se sono in grado di farlo, o in forma associata; 3) altro compito delle regioni dovrebbe essere l’individuazione degli ambiti territoriali ottimali entro cui dovrebbero essere svolte le diverse funzioni amministrative dei Comuni, ossia la definizione del bacino di popolazione ottimale per la fornitura dei servizi da parte dei Comuni (es. per ottimizzare la raccolta dei rifiuti vanno servizi almeno 100.000, un ospedale di primo livello deve servire almeno 150.000 abitanti, ecc.); definiti gli ambiti territoriali ottimali, si procede poi alla costituzione degli appositi consorzi intercomunali per l’offerta dei diversi servizi; 4) una simile idea di autonomia non parte quindi dalle burocrazie regionali che prendono il posto di quelle statali, ma dalle comunità naturali, i Comuni, che tanto hanno significato, ben più delle regioni, nella Storia d’Italia; 5) chiamare in causa la gestione della pubblica istruzione in Alto Adige e anche Val d’Aosta non ha molto senso, perché lì ci sono vere minoranze linguistiche; diverso è il discorso del Trentino che De Gasperi fece agganciare al treno altoatesino per spuntare privilegi per la sua terra di origine; 6) niente e nessuno hanno mai dimostrato che quella regionale sia la dimensione ideale per la fornitura del servizio sanitario; dalle centralizzazioni degli acquisti di beni, della gestione dei concorsi, della regolamentazione dei convenzionamenti e degli appalti per la costruzione di nuovi ospedali possono derivare economie di scala molto superiori a quelle ipotizzate dai leghisti con l’impiego dei mitici costi standard con cui si riempiono la bocca da oltre trent’anni; 7) non ho mai capito perché, in materia di servizi sanitari, le regioni debbano gestirne sia l’offerta, con gli ospedali, sia la domanda con le ASL; da che mondo è mondo, è risaputo che è bene affidare ad attori diversi e distinti attori la gestione della domanda e dell’offerta di un qualunque bene o servizio; 8) non mi dispiace affatto che Luca Zaia faccia la fine di Oriol Junqueras, anzi lo auspico! "Oggi in Spagna, domani in Italia!" lo scriveva Carlo Rosselli 80 anni fa; lo auspico anch’io quando non posso fare a meno di paragonare il farsesco secessionismo catalano al carnevalesco secessionismo veneto.   

    • Di B (---.---.---.111) 31 ottobre 2018 01:30

      @Rocco Di Rella Non la prenda sul personale, ma anche se noto come la sua risposta sia stata pacata, essa rimane comunque sempre ascrivibile alla sua esclusiva opinione (pur giustificatissima) in materia. E così lei potrà accusarmi per lo stesso motivo. Proverò ora comunque a risponderle sempre per punti, e mi perdoni se dovessi risultare prolisso, non certo per provocarla o chissà cosa, ma unicamente per intavolare una discussione con lei:

      1) è pur vero che il veneto viene definito da vari linguisti ’dialetto’, ma ciò per un uso consolidato del termine in ambito scientifico-linguistico italiano, dato che "dialetto" può indicare sia una variante di una lingua (quali sono ad esempio i nostri italiani regionali, ossia l’italiano non standard e non secondo dizione che parliamo consuetamente) od una lingua regionale il cui status non normato sia socialmente o giuridicamente inferiore, non per qualità o per meriti ma unicamente per un fattore politico, rispetto alla lingua nazionale e questo è il caso della maggior parte degli idiomi regionali d’Italia. Poi, che al momento essi non siano riconosciuti è un’altra questione, che non implica il loro essere "dialetti della lingua italiana", se mai "dialetti (lingue minori) italiani (nel senso di ’presenti in Italia’).

      2-3) che le Regioni debbano essere meri enti di programmazione ed indirizzo è una sua personale opinione, che se pur per certi versi rispettabile io non condivido. Personalmente invece, guardando anche alle altre esperienze europee, io mi ispiro alla distribuzione di competenze dei Länder o dei Cantoni svizzeri ad esempio, i quali hanno ben altri poteri che meramente di programmazione ed indirizzo. Detto ciò concordo con lei che sarebbe comunque positiva una maggiore sussidiarietà partendo proprio dai Comuni, unicamente coordinati dalle Regioni (e Province), che però dovrebbero permanere, come enti in grado di opporsi allo "strapotere" centrale, ma non in funzione ’centralistica’ regionale.

      4-6) È vero che i Comuni sono la reale base storica d’Italia, assieme alle Province, mentre le Regioni, salvo alcune con una propria specifica storia, come Piemonte, Veneto, Toscana o Sicilia, sono un’introduzione successiva e vista pertanto da alcuni -pochi- come inutile (di più sono quelli che invece attaccano le Province). Ma ci sono vari motivi per cui le Regioni dovrebbero permanere ed anzi sono necessarie: anzitutto perché sono l’unico ente in grado di tener testa allo Stato qualora esso, come spesso ha fatto e fa, invada le loro competenze (cosa molto più ardua da sostenere per un Comune, ma anche per una Provincia in certi casi). E seconda cosa, perché lo Stato non può provvedere, bene, a tutti: è ovvio che una legge adatta ad un certo contesto locale d’Italia possa essere totalmente inadatta alle esigenze di un altro territorio. Procedere così sarebbe come curare un raffreddore, una gamba rotta ed una polmonite (che brutti esempi!) con un’aspirina: qualcosa si risolverà, ma altre cose rimarranno sul piatto irrisolte. Si potrebbe pur via procedere con politiche differenziate anche se sempre impartite dal centro ma a rischio di avere un unico ente legiferante che si autocontraddica: a questo punto non vedo per quale motivo voler rinunciare al decentramento, se non per continuare una consuetudine che vede l’Italia da un secolo a questa parte copiare più o meno spudoratamente l’ordinamento statale da un Paese come la Francia, che oltre ad avere una storia completamente diversa (cosa che non giustifica però lo, a mio avviso, orrido accentramento del potere vigente Oltralpe), non parrebbe essere il più fulgido esempio di democraticità da seguire: retorica a parte fondamentalmente Parigi decide e la periferia si adegua. Tutta. Punto. Molto democratico come sistema. Ma comunque sempre Vive la Republique!

      5) il riferimento a queste particolari realtà ha senso invece, perché, a parte il fatto che secondo la Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie già citata tutti gli idiomi non dialetti della lingua ufficiale (ossia a parte le parlate del Centro Italia, tutti gli idiomi locali d’Italia o quasi) dovrebbero essere parimenti tutelati, la tutela linguistica non prescinde la facoltà di estendere un regime efficiente anche ad altri territori. Anche, ripeto, escludendo la questione linguistica, con cui comunque si dovrà prima o poi fare i conti.

      7) non ne ho idea nemmeno io. Ma la stessa questione si porrebbe se fosse lo Stato a gestire tutto. Il vero problema è che in Italia manca il principio, pur elencato in Costituzione, della "leale collaborazione" tra livelli di governo: invece di collaborare per il bene comune difatti, i vari enti pubblici confliggono spesso, se non sempre. Vuoi che sia lo Stato e la sua burocrazia che non vuole cedere competenze e risorse e che quindi si intromette anche dove non dovrebbe, vuoi che siano le Regioni che per vari motivi più o meno nobili eccedano dalle materie da esse gestite, vuoi che siano enti locali che attaccano altri enti pubblici, de facto non c’è purtroppo una vera idea di collaborazione tra i vari livelli. Manca purtroppo l’idea vera della sussidiarietà, che pone Comuni, Province, Regioni e Stato sullo stesso piano e ove l’ente di grado superiore interviene solo per favorire una maggiore omogeneità all’amministrazione. Non quindi una struttura gerarchica piramidale con Stato al vertice e Comuni alla base ma una tavola rotonda, ove gli enti maggiori sono "primi inter pares" e non "re". Ma questo probabilmente lo sa meglio di me, quindi non mi dilungo oltre a spiegarlo.

      8) beh, il suo commento non è molto comdivisibile. Mi spiego: ritenere corretto l’uso in tal caso esagerato della forza da parte della Polizia Spagnola verso i partecipanti ad un referendum che la Corte Suprema di Spagna avrebbe comunque potuto annullare non è una posizione granché democratica, tanto quanto augurarsi che lo stesso che è accaduto a Junqueras accada a Zaia, il quale nonostante alcune uscite un po’ indigeste non è certo considerabile il peggiore dei criminali ed anzi un uomo di discrete capacità politiche, pur non tralasciando i difetti suoi e della sua maggioranza in Regione (hmm...hmmm... Guadagnini.... hem-hemmm) e comunque tra i leghisti forse qualificabile come il """"meno peggio"""". Ma aggiungiamo anche qualche altra virgoletta.

      Ed ecco, concludo ripetendo quanto ho già detto in precedenza: se ben fatta, una riforma autonomista-federalista non può che far bene ad un Paese dalle molteplici culture ed esigenze quale è l’Italia, questa piccola Europa in miniatura che contiene così tante popolazioni diverse eppure unite da un filo comune che ne orienta la via, popolazioni differenti e lontane ma sorelle. E le nostre lingue locali, riconosciute o meno, sono parte della nostra cultura. Riconoscerle tali non toglie valore o svilisce l’italiano (o le lingue straniere, come affermano certuni per assurdo) bensì lo rafforza, rendendo ogni lingua minore, ogni Dialetto una forza di coesione: perché se la sorella maggiore si proclama superiore schiacciando le più piccole o deboli, anche se magari più vecchie, non provocherà altro che astio, fastidi e ribellioni. Ma se le accoglie e le rispetta, potranno vivere in pace in comunione tra loro e tutte ne usciranno arricchite. Perché se il motto e pluribus unum vuol dire qualcosa, non vedo perché non applicarlo nel Paese culturalmente più ricco e vario del Mondo. Perché se vogliamo e dobbiamo rispettare il cittadino e dargli la possibilità di esprimere se stesso al massimo, nella propria comunità locale, regionale, nazionale, continentale e globale, il federalismo è l’unica via per fare ciò in modo democratico.

      Buon proseguimento a lei.

    • Di Rocco Di Rella (---.---.---.109) 31 ottobre 2018 09:33
      Rocco Di Rella

      Mi mancava l’apologia dei dialetti. Non l’ho sentita fare da nessuno prima di lei. E’ il pensiero originario ed autentico dei Costituenti che concepisce le regioni come enti di programmazione. Sono diventate enti di gestione, perché bisognava dare mance di sottogoverno al PCI negli anni settanta. E il federalismo è solo uno slogan, una parola vuota! Il federalista Carlo Cattaneo lasciamolo lì dov’è sepolto, a Lugano, in Svizzera! 

    • Di Rocco Di Rella (---.---.---.109) 31 ottobre 2018 09:41
      Rocco Di Rella

      Mi correggo: lasciamolo lì dov’è morto (non dove è sepolto), a Lugano, in Svizzera!

    • Di B (---.---.---.111) 31 ottobre 2018 12:23

      @Rocco Di Rella

      Mi spiace vedere come non sia disposto al dialogo. Comunque la lascio alle sue opinioni, ciò non toglie che tra centralismo e decentramento il secondo sia certamente da preferire anche per una questione di democraticità. Se poi vuole essere centralista in uno Stato come l’Italia lo faccia pure, ma non si proclami patriota, ché non ne ha diritto (anche perché patria intesa unicamente come stato politico è un concetto vuoto, altro che vuotezza del "federalismo"). Se vuole lasciare Cattaneo in Svizzera faccia pure, nessuno lo impedisce. Ciò non le consente di opporsi a processi democratici di richiesta di autonomia immotivatamente appellandosi ad un presunto "interesse nazionale", che invece sembra più un interesse di nazionalisti fuori tempo massimo che ad effettivo pro del Paese. E per finire, l’apologia dei ’dialetti’ non è mia, se lei la sente per la prima volta trovo la risposta a molte domande... Potrà dire o fare ciò che vuole, la sostanza non cambia: napoletano, veneto, sardo, friulano, ligure, piemontese, siciliano... non sono varianti locali dell’italiano, poiché da esso autonomi lingusticamente, anche se vicini poiché di comune matrice originaria. Ed è questa la forza dell’Italia, non la sua debolezza! Se poi lei è ancora fermo all’idea fascista dell’ ’italiano superiore’ e dei ’dialetti da ignoranti e rozzi’ non ho intenzione di perdere ulteriore tempo con chi ignora la realtà. Che poi i padri costituenti fossero contro autonomia (invece sostenuta proprio in opposizione al centralismo asfissiante fascista) è tutto da dimostrare.

      Addio, e buona continuazione

  • Di B (---.---.---.6) 30 ottobre 2018 11:15

    Ah, mi perdoni per alcuni errori di battitura. Non sono molto bravo a scrivere da telefono ed il computer era purtroppo fuori mano. Buona giornata

  • Di Hard truth (---.---.---.16) 30 ottobre 2018 11:56

    22 ottobre 2017: il 98,1% dell’operosa Nasion Veneta ha parlato (largamente sfondati gli argini del quorum).

    Le scandalose cicale fremono in ogni antro: la manna (a spese d’altri) è finita. I nodi vengono al pettine, l’inverno arriva...

  • Di paolo (---.---.---.49) 31 ottobre 2018 11:23

    Ecco bravo Hard facciamo la " Nasion Veneta", ostregheta, poi anche il Granducato di Toscana (perché sono toscano) ovvia, poi il Regno di Sardegna,il Regno di Sicilia, la Repubblica piemontese e via a seguire............ Ma siccome non basta perché poi non passare alla Repubblica di Pisa, al regno di Etruria, al Principato dell’Isola d’Elba e via cosi’.... . Ancora poco non basta, allora perché non passare al ducato di Massa Carrara, alla Cascina di Tivoli e giù ancora ...

    Anzi chiedo l’autonomia territoriale per il mio Condominio, perché consentirebbe una migliore gestione delle spese, esenti dalla tassazione nazionale e regionale.

    A proposito B. l’unica lingua nazionale è l’italiano, ovvero ciò che in Toscana è dialetto. Capisco che può risultare indigesto ai lumbard e ai padani ma non possiamo trasformare questo paese in una babele. Evviva i dialetti locali, che sono una ricchezza storica e culturale, ma la lingua ufficiale è l’Italiano. Punto.

    Bravissimo Rocco di Riella, condivido e sottoscrivo tutto quanto lei ha scritto, con la scusa dell’autonomia che non basta mai questi tirano alla secessione alla catalana..

    A proposito di sanità, tanto per citare un servizio delocalizzato, con il passaggio dalla gestione del Sistema nazionale a quello regionale ( TOSCANA), i servizi resi ai cittadini sono nettamente peggiorati e i costi sono aumentati a dismisura. Per una visita specialistica siamo a quasi un anno, a volte anche più . Chi può, come fortunatamente il sottoscritto, ricorre al privato ( che poi era l’obiettivo strategico di tutte le politiche messe in campo da governi di destra e di sinistra).

    un saluto a tutti.

    • Di B (---.---.---.111) 9 maggio 2019 23:49

      @paolo Nessuno ha negato che l’unica lingua "nazionale" in Italia sia l’Italiano. Semplicemente non è l’unica lingua. Punto.

      Non è questione di essere ’lumbard’ (come io non sono) o ’padani’ (intende il formaggio grana?), è questione di Diritti Umani. Sì, Diritti Umani. La CEDU del Council of Europe (che, puntualizzo, è istituzione totalmente diversa dall’UE) indica infatti i diritti linguistici tra quelli fondamentali dell’uomo.

      Non si tratta quindi di trasformare "l’Italia in una Babele", perché queste "lingue regionali" già esistono, si tratta solo di prenderne atto. La qual cosa NON inficia il ruolo dell’Italiano come ’Lingua franca’ e nazionale comune ma solo la sua presunta (e linguisticamente infondata) "sacralità" e superiorità rispetto ai ’dialetti’. E consentirebbe di rispettare dei diritti delle persone. Diritti irrinunciabili, al pari del diritto alla libertà o all’opinione.

      Salvo non mi si dica che: 1) Le lingue regionali in sono dialetti (varianti locali) del Toscano, pardon, Italiano o che "Lo sono diventati col tempo" (eh?); 2) Dei Diritti Umani non importa a nessuno se vanno contro il "superiore interesse della Nazione" (chi era che affermava questa cosa? Un Tizio coi baffetti...?) 3) L’UNESCO ha sì riconosciuto questi "sistemi linguistici" come lingue a tutti gli effetti, ma che della sua opinione "Noi ce ne freghiamo" (Anche questo mi ricorda qualcuno... stavolta un pelato col cappello nero... mah...) e che ha torto. Tranne quando indica che in Italia "è situato il cinquanta per cento dei beni artistici e culturali al mondo". Allora l’opinione dell’UNESCO va bene.

      Pertanto si tratta di accettare la realtà, a dispetto di legaioli, fascistini e nazionalisti dell’ultima ora. Le lingue regionali esistono, sono pari all’italiano, all’inglese, al bretone, al catalano, allo spagnolo (etc...) salvo per quanto riguarda la diffusione. Se poi si vuol continuare a non accettarlo va bene: un tempo non si accettava che la terra fosse un geoide, quindi posso capire i dubbi in proposito. Però non mi si riproponga lo schema "Italiano lingua superiore e unica" e "Dialetti - culturalmente importanti, storici, ma- da rozzi ed ignoranti". Chi ragiona così è semplicemente un glottofobo, più o meno consapevole.

      Detto questo la saluto. Senza speranze di averla convinta, buona continuazione.

      P.S.: quando deve criticare una cosa (come l’autonomia), estremizzare le conseguenze e criticare il risultato è fallace, non solo dal punto di vista logico (dall’autonomia delle Regioni -secondo Costituzione- alla secessione di condomini? Quale sarebbe la correlazione tra i due? Che viaggi mentali occorre fare per giungere dall’uno all’altro?) ma anche dal mero punto di vista razionale.

      Sarebbe come dire (nel 1946): "Dare diritto di voto alle donne? Per poi arrivare alla dittatura femminista?".

      Giudichi lei se è il caso di fare una simile operazione mentale. Saluti di nuovo.

  • Di Hard truth (---.---.---.153) 1 novembre 2018 21:14

    Dietro la vostra espressione "interesse nazionale", leggiamo l"’interesse parassitario dei soliti noti". I 20 miliardi di euro annuali di residuo fiscale, rubato al Veneto per decenni, ora se li tengono i Veneti. La Catalogna va alla secessione avendo "solo" 8 miliardi di euro di residuo fiscale, perlopiù diviso per una popolazione di 7,5 milioni di abitanti. I Veneti sono 4,9 milioni e vengono derubati di ben 20 miliardi l’anno: uno scempio alla potenza. Gli 11 miliardi in rosso che la Sicilia si pappa dal Nord annualmente spariranno. I Veneti lo hanno chiesto plebiscitariamente tramite referendum ufficiale, Sì 98,1%! Ripeto, 98,1% Sì!

    Basterà a piegarli il vostro ("democraticissimo") "interesse nazionale"

    ? Veneti Avanti Dret!

  • Di Rocco Di Rella (---.---.---.137) 1 novembre 2018 22:58
    Rocco Di Rella

    Io l’autonomia alla Sicilia non l’avrei mai data! L’autonomia siciliana è un pozzo senza fondo di sprechi, inefficienze, corruzione e malaffare! E comunque i conteggi sul cosiddetto residuo fiscale sono molto, molto opinabili. Le stime ballano a seconda di chi le fa e dei criteri che usa. Altri economisti hanno calcolato un residuo fiscale veneto molto più basso dei numeri sopra esposti! 

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