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Commento di B

su Quando l'Interesse Nazionale presenta il conto


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B 30 ottobre 2018 11:06

La storia "presenterà il conto"? Si rende conto delle baggianate da Lei affermate in questo articolo?

Ora, posso comprendere che in uno Stato ove la sinistra è centralista, il centro inesistente o anti-autonomista e la destra nazionalista, nella miglior tradizione ottocentesca dello Stato-unitario-accentrato-modello-Francia-napoleonica (perdonate il ’neologismo’), dicevo, posso comprendere che le richieste di autonomia vengano respinte come "irricevibili" perché contro la "sacra unità nazionale" (quando di fatto non lo sono, altrimenti non definiremmo ’Stati’ la Germania, l’Austria, il Belgio, la Svizzera...) e soprattutto segno di un "egoismo territoriale dei ricchi" (anche se ad esempio il Veneto, che vedo da molti attaccato con sterili polemiche, richiede e si vede negata l’autonomia da almeno un secolo, anche quando era una regione economicamente depressa). E tuttavia rimango sempre più sconcertato dalla dabbenaggine delle critiche: se la sanità e l’istruzione, le due materie più prese di mira, fossero davvero indevolvibili allora come si spiegherebbe la sussistenza di sistemi scolastici e sanitari autonomi in Valle d’Aosta, Trentino e Sud Tirolo, o come si spiegherebbe allora la presenza di Länder autonomi appena oltre il confine, in Austria o poco più in là, in Germania? Sono questi privilegi inaccettabili od opportunità da sfruttare per il bene dei cittadini?

Queste critiche mi suonano parecchio sterili, anche e soprattutto nel suo riferimento ai "dialetti locali". A parte il fatto che i "dialetti", come sono ormai diffusamente definiti, anche per consuetudine, non sono varianti o corruzioni locali della lingua italiana (da essa non derivano, a meno che non si dimostri che siano dialetti del toscano o da esso influenzati a tal punto da aver perso tutto, a parte la cadenza), bensì lingue, od idiomi se la parola lingue la infastidisce, ad essa sorelle, un loro insegnamento, magari ridotto solo a studio di una eventuale scrittura unificata, di scritti letterari se esistenti e a dialogo ed uso delle medesime, pur mantenendo impregiudicato lo studio dell’italiano e delle lingue straniere, non sarebbe così riprovevole, come da Lei ritenuto, ma pure una cosa dovuta, secondo la Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie, non ancora applicata in Italia.

Pertanto concludo dicendo che se il presunto interesse nazionale si dovesse scontrare con l’interesse dei cittadini, a perdere sarà solo lo Stato, anche se dovesse infine uscirne "trionfante", riuscendo ad imporre la propria egemonia unitaria ovunque ’dalle Alpi alla Sicilia’, come qualche ’fenomeno’ affermava alcuni annetti fa. Se le legittimissime richieste autonomiste non dovessero essere accolte per assurde ed ottocentesche resistenze unitaristiche, a perdere sarà solo l’Italia, che rinuncerà ad un’altra occasione per riconoscersi come ’pluralità in unità’. A parte i leghisti o chi per essi, a parte le baggianate dette e fatte, forse pure funzionalmente a delegittimare le richieste di autonomia, dei cittadini hanno democraticamente chiesto più decentramento per il proprio ente regionale; e la Costituzione lo consente anche su sanità, istruzione e quant’altro. Spero lo Stato non dimostri che per ottenere quanto si richiede in Italia occorrano le bombe, com’è accaduto in Alto Adige, e non processi democratici.

Altrimenti perderà qualsiasi senso anche il concetto di patria. Perché in Italia una "patria" può esistere solo se stratificata su più livelli, locale, statale ed europeo, con tutte queste culture intrecciate e sovrapposte, in un continuo confronto reciproco. È ora di finirla di vedere qualunque forma di cultura od anche di amministrazione non prettamente nazionalista ed centralizzata come attacco all’unità dello Stato. Perché in un Paese unico e multiforme come l’Italia, chi si proclama centralista od unitarista si crede difensore della Nazione, ma è de facto un ’anti-patriota’.


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