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Un monumento all’ignoranza

Queste considerazioni arrivano a una decina di giorni dall’inaugurazione della scolpitura dedicata al mito di Talos, collocata in piazza Dante a Ruvo di Puglia.

Solo dopo una decina di giorni in cui ho rischiato un ictus per la rabbia e lo sconcerto indotti dal disvelamento del “capolavoro” di Max Di Gioia, si possono mettere in fila alcune riflessioni razionalmente argomentate.

La scolpitura realizzata da Max Di Gioia è chiaramente sproporzionata e sgraziata. Troppo grande è la testa; troppo lunghi sono gli arti, su cui è stata caricata una muscolatura eccessiva. Il risultato è un corpo da adolescente con una testa sovradimensionata. Per non parlare poi dell’espressione caricaturale del volto della statua, della sua capigliatura e della sua barba: ne risulta qualcosa a metà strada tra il fumettistico e il tamarro. Queste sono, in estrema sintesi, le pecche lampanti di un manufatto che non ispira nessuna emozione, se non un’insopprimibile sensazione di disagio.

Ma il problema non è Max Di Gioia, della cui buona fede e buona volontà non oso minimamente dubitare. Il problema è di chi gli ha dato la patente di artista.

A Max Di Gioia la patente di artista è stata data dai promotori e finanziatori di questa sciagurata iniziativa e dall’Amministrazione comunale che ha autorizzato la collocazione in uno spazio pubblico di questo NON capolavoro.

I promotori/finanziatori dell’iniziativa hanno dimostrato d’ignorare le regole basilari del mecenatismo. Un bravo mecenate, come un bravo committente, è colui che non solo finanzia la realizzazione di un’opera d’arte, ma è capace di guidare l’artista verso qualcosa destinata ad essere apprezzata nel tempo. Visto il risultato, si deduce che, nella realizzazione della scolpitura di Talos, questa funzione di guida e d’indirizzo è completamente mancata. Ci si è affidati esclusivamente al presunto talento dello scolpitore e si è a lui delegata una reinterpretazione sgradita e opinabilissima del mito di Talos raffigurato sul Vaso esposto nel Museo Jatta.

Sul basso gradimento della reinterpretazione c’è poco da aggiungere: bastano gli occhi! Sull’opinabilità della reinterpretazione del mito di Talos, pochissimi hanno fatto notare che lo scostamento dalla raffigurazione pittorica di Talos (fatta da un pittore ateniese due millenni e mezzo fa) è oggettivamente un danno per l’identità e per l’immagine della Comunità ruvese.

Dal 21 ottobre scorso, infatti, abbiamo due Talos e non sappiamo nemmeno quale sia quello più importante: è quello piccolo e bello dipinto sul Vaso o è quello mastodontico e sgraziato scolpito da Di Gioia? Le dimensioni della scolpitura, purtroppo, farebbero propendere per la seconda ipotesi. E se il Talos più importante, almeno per le sue dimensioni, è diventato quello scolpito, significa che è stato svilito il Talos dipinto 2.500 anni fa, che ci racconta di una Ruvo ricca e florida, in cui si commissionava la realizzazione di opere d’arte nientemeno che ad Atene, la Culla della Civiltà occidentale; proprio come il Rosone della Cattedrale ci parla di una Ruvo rinata dopo le distruzioni patite ai tempi delle invasioni barbariche. Il Talos custodito nel Museo e il Rosone della Cattedrale sono due motivi di orgoglio e sono i simboli di due momenti unici e forse insuperati della storia ruvese. Sono dei veri e propri MARCHI della Città di Ruvo di Puglia. Da sabato 21 ottobre 2023, uno di questi due marchi è stato inopinatamente profanato, perché si è voluta riconoscere un’illimitata e ingiustificata libertà artistica ad uno scolpitore.

Dubito che di questa profanazione siano consapevoli i promotori e i finanziatori della scolpitura. Molto probabilmente, non si sono mai accorti della grandezza e dell’importanza simbolica e semantica di ciò che sono andati a toccare. Del resto, durante la cerimonia di disvelamento della scolpitura, non si è mai fatto cenno al legame con l’Antica Grecia, alla sua grandezza e alla volontà di omaggiarlo con la scolpitura di Di Gioia.

In questa vicenda è emersa anche l’ignoranza degli strumenti di tutela da parte dell’Amministrazione comunale ruvese. L’autorizzazione all’installazione della scolpitura di Di Gioia in piazza Dante è stata forse concessa solo a seguito di calcoli politici ignoti ai più. Non risultano impartite allo scolpitore istruzioni e direttive rivolte alla preservazione del patrimonio simbolico e semantico raffigurato sul Vaso di Talos. L’unico modo di preservarlo sarebbe stata la richiesta perentoria di limitarsi alla riproduzione scultorea dell’immagine dipinta sul Vaso. Questa richiesta non è stata formulata e la sua mancata formulazione prova quanto chi di dovere sia incosciente del valore di ciò che la scolpitura ha intaccato.

Non ci si venga, per cortesia, a nascondere dietro la libertà concessa al presunto artista. E’ un argomento insussistente soprattutto se si ha l’impudenza di paragonarlo agli artisti del Rinascimento italiano. Quegli artisti, infatti, godevano di una libertà limitata dalla sorveglianza di un’autorità ecclesiastica attentissima a usare le loro opere per finalità di propaganda e di promozione della fede cattolica. Invece, l’Amministrazione comunale, al pari dei promotori/finanziatori della scolpitura, non è stata attenta alla propaganda e alla promozione della migliore storia ruvese, palesando una scarsa conoscenza sia del valore del nostro passato, sia delle più elementari tecniche di promozione, anche turistica, dell’identità di una comunità.

Tutta questa vicenda, dopo la rabbia iniziale, lascia un’amarezza destinata a durare per tutto il tempo, probabilmente non breve, in cui la scolpitura rimarrà esposta al pubblico. E’ un’amarezza che, purtroppo, si accompagna alla triste constatazione della maniera pessima in cui è stato celebrato il legame con la Magna Grecia e dell’ignoranza del valore, dell’importanza e della sacralità di quel legame.

La scarsa consapevolezza del grande valore del nostro passato, unita alla scarsa conoscenza dei modi per renderlo una fonte di orgoglio e di ricchezza, è una piaga che ammorba molti luoghi della nostra Italia. La sconclusionata scultura ruvese ne è solo un piccolo, marginale e periferico esempio. Se pensiamo che il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, vuole abbattere lo stadio di San Siro, non possiamo che provare angoscia per il dilagare dell’ignoranza al potere.

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