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La fase nuova

Le spiegazioni parziali

Premetto che, secondo il mio modesto punto di vista, a Giorgia Meloni e a Fratelli d’Italia è bastato cavalcare il fastidio di molti italiani verso i giochi di palazzo e verso qualche tollerabile divieto di natura sanitaria per riuscire a vincere le ultime elezioni politiche.

Andando oltre le valutazioni personali, è indubbio che analisti e osservatori non sono unanimi nella lettura della fase politica iniziata il 25 settembre 2022.

Molti si sono soffermati sulla novità della prima donna alla presidenza del Consiglio dei ministri. Giustamente si è anche sottolineata la netta vittoria del centrodestra, sigillata da una solida maggioranza parlamentare. E’ certamente positivo avere alcune decine di seggi in più rispetto alle opposizioni, ma è anche stato un evento casuale, perché la legge elettorale in vigore non garantisce sempre la formazione di una solida maggioranza parlamentare.

Anche le analisi sulle difficoltà delle attuali tre opposizioni rischiano di non cogliere la vera novità emersa con la nascita del governo Meloni. In realtà, tali difficoltà sono nate nella scorsa legislatura, quando si sono formate tre diverse coalizioni di governo (M5S-Lega, M5S-PD e M5S-PD-Lega-FI). Poco prima delle elezioni, inoltre, è nata una nuova forza politica (Azione-IV) esplicitamente schierata a favore del governo Draghi. Non è stato premiato dagli elettori nessuno dei partiti che hanno sostenuto i governi della precedente legislatura, ma il solo partito rimasto costantemente fuori da tutte le coalizioni governative. Non era difficile prevedere un esito del genere (personalmente avanzai questo tipo di previsione già nel febbraio del 2021). Tutti coloro che hanno partecipato alle giostre governative della scorsa legislatura dovrebbero tenere conto, in futuro, di questo giudizio espresso dagli elettori ed evitare di avventurarsi in alchimie parlamentari magari animate dalle migliori intenzioni, ma quasi sicuramente destinate ad essere disapprovate dal popolo sovrano. In particolare, di questa lezione dovrebbero fare tesoro soprattutto le due (delle tre) attuali opposizioni che hanno decisamente sopravvalutato il beneficio elettorale ricavabile dal sostegno al governo Draghi.

 

La novità sostanziale

Per capire la vera novità emersa dopo le elezioni dello scorso settembre, secondo me, non bisogna chiamare in causa né il sesso del presidente del Consiglio dei ministri, né l’ampia maggioranza parlamentare di cui dispone la sua coalizione, né le difficoltà e le divisioni delle attuali opposizioni. La vera novità, infatti, è rappresentata dal modo in cui il centrodestra nazionale si rapporta all’Unione europea e all’Eurozona.

Dopo decenni di chiassosa e sterile conflittualità nei confronti delle istituzioni europee, la destra italiana sembra accettare la disciplina di bilancio imposta dall’adesione all’unione monetaria. Non lo fa per convinzione, ma per evitare scottature come quella subita circa 11 anni fa. Nel novembre del 2011, infatti, l’ultimo governo Berlusconi fu travolto dalla sua superficiale opposizione ad una necessaria e modesta manovra finanziaria correttiva. Il prezzo più alto di quell’opposizione è stato pagato proprio da Fratelli d’Italia e dalla componente post-missina del centrodestra con 11 anni consecutivi di opposizione. Ecco perché l’attuale presidente del Consiglio dei ministri evita conflitti con le istituzione europee incaricate di tenere sotto controllo i conti pubblici degli Stati membri: perché sa perfettamente che da un nuovo scontro ne uscirebbe con le ossa rotte, proprio come ne uscì Berluconi nel 2011, e che un eventuale nuovo conflitto le assicurerebbe altri 11 anni di opposizione.

La stagione politica iniziata il 25 settembre 2022, pertanto, è caratterizzata dal fatto che anche il centrodestra nazionale si è deciso ad accettare l’appartenenza dell’Italia all’unione monetaria e a rispettare le regole (non perfette) da essa imposte. Si tratta di un risultato storicamente importante che conclude il processo di adesione ad un’area di stabilità valutaria iniziato più di trent’anni fa e non mette più in discussione il percorso di stabilizzazione voluto e attuato da persone lungimiranti come Beniamino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi e Tommaso Padoa Schioppa.

 

La possibile estinzione del PD per avvenuto raggiungimento dello Scopo

Anche i problemi d’identità e di strategia del Partito Democratico possono ricondursi all’ormai irreversibile appartenenza dell’Italia all’Eurozona. Analizzando attentamente la storia del PD e dell’Ulivo suo predecessore, non possiamo non constatare che l’adesione e la permanenza nell’Eurozona sono state la vera stella polare della politica dell’Ulivo-PD. I diversi tentativi di dare un’altra identità al PD, infatti, si sono vicendevolmente annullati negli ultimi anni. Non sono prevalse la vocazione maggioritaria e la connotazione americaneggiante che volevano dare al PD Veltroni e Renzi, così come non si è affermata l’identità socialista che voleva dargli Bersani. Oggi, la definitiva acquisizione dell’obiettivo originario della stabilità valutaria, già raggiunto ai tempi del primo governo Prodi e finalmente non più messo in discussione dagli altri schieramenti politici, produce l’effetto di rendere più pressante per il PD l’individuazione di un nuovo obiettivo strategico di fondo e la conseguente ridefinizione della propria identità.

Qualcosa di simile, se vogliamo, accadde alla Democrazia Cristiana. La fine della DC coincise col raggiungimento del suo scopo fondativo: contrastare democraticamente la possibile instaurazione di un regime comunista in Italia. La DC, alla fine degli anni ottanta, raggiunse l’obiettivo storico per cui era nata, ma non fu in grado di ripensarsi dopo il pieno raggiungimento del suo scopo iniziale.

La DC fu una federazione di correnti tenute assieme da una chiara finalità anticomunista, ma l’eccessivo pluralismo interno non le fu d’aiuto nell’intraprendere un nuovo cammino dopo la conclusione di quello condiviso dalla fine del 1942.

Anche l’Ulivo-PD è una federazione di correnti (forse anche più eterogenee di quelle che costituivano la vecchia DC) e le troppe diversità interne non gli facilitano la messa a punto di una nuova e chiara identità di cui ha più che mai bisogno.

Le fine della DC e le attuali difficoltà dell’Ulivo-PD sono esemplari nel farci capire che i partiti, come tutte le organizzazioni, possono anche dissolversi dopo il raggiungimento degli scopi iniziali. Non spariscono solo i partiti e le organizzazioni che falliscono nel conseguimento dei loro obiettivi (come i partiti fascista e comunista), ma anche quelli che li raggiungono e non sono capaci di darsene di nuovi.

 

Le promesse già tradite da Giorgia Meloni

Prima di prendere in esame gli obiettivi di fondo dei vincitori delle ultime elezioni, è bene precisare che l’attuale presidente del Consiglio ha già clamorosamente disatteso due promesse solennemente fatte agli elettori italiani: ha fatto aumentare il prezzo dei carburanti e non è riuscita ridurre gli sbarchi d’immigrati clandestini provenienti dal Nord Africa.

L’odioso aumento del prezzo dei carburanti è un provvedimento molto ingiusto che colpisce nel mucchio e senza fare distinzioni tra le classi di contribuenti.

Gli sbarchi d’immigrati provenienti dall’Africa settentrionale stanno aumentando. Nel solo mese di gennaio sono raddoppiati rispetto al gennaio del 2022. E’ un fenomeno impossibile da giustificare da parte di chi si era addirittura spinto a promettere la chiusura dei porti. Le polemiche contro gli altri Stati europei e contro il censurabile favoreggiamento dell’immigrazione clandestina da parte delle ONG non servono a bloccare l’afflusso incontrollato d’immigrati. Bisogna fare di più, anzi, bisogna fare qualcosa e smettere di polemizzare a vuoto. Per esempio, sarebbe necessario potenziare, attraverso un’opportuna riorganizzazione amministrativa, la capacità di rimpatrio dei nostri apparati burocratici. Il numero dei clandestini rimpatriati è scandalosamente basso. Andrebbe chiusa la fabbrica di scartoffie delle espulsioni fittizie, in cui è specializzata la burocrazia italiana, per concentrare gli sforzi nei rimpatri fisici e materiali degli immigrati clandestini nei loro paesi d’origine. Non risultano iniziative e proposte del governo sul potenziamento della capacità di rimpatrio. Evidentemente sono solo interessati a fare baccano durante la campagna elettorale per poi disinteressarsi della soluzione del problema un minuto dopo la chiusura delle urne.

 

L’identità e gli “scopi” di chi ha vinto

Volgendo lo sguardo alle finalità strategiche di chi è al governo, si viene presi da un misto di desolazione e d’incredulità.

Gli elettori hanno premiato un partito e una signora europeisticamente e costituzionalmente analfabeti.

Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni provengono da una tradizione politica nazionalimperialistica contraria allo spirito di cooperazione e collaborazione su cui è stata fondata l’Unione europea. Come già sottolineato, hanno accettato di rispettare le regole di bilancio dell’Eurozona solo per il timore di uno scontro che li avrebbe visti soccombere. La loro estrazione nazionalistica non consente loro di avere la visione e i mezzi per agire nella direzione del rafforzamento dell’Unione, oggi realizzabile con la creazione di una comunità europea di difesa e con gli investimenti comuni nelle tecnologie ambientalmente sostenibili (idrogeno verde, energie rinnovabili, fusione nucleare, ecc.) e necessarie alla conquista del primato europeo nell’economia del futuro.

La presidente del Consiglio dei ministri balbetta vistosamente quando le fanno domande sulla Resistenza e sull’antifascismo. Sembra veramente ignorare cosa abbia ispirato la stesura e l’approvazione della Costituzione repubblicana. Non ha detto una sola parola sulla Resistenza durante il suo discorso d’insediamento! Fa fatica persino ad ammettere la più banale delle ovvietà, ossia che il cambio di fronte avvenuto nel corso del 1943 fu patriotticamente condiviso da un vasto insieme di forze politiche composto da congiurati fascisti del 25 luglio, monarchici, democristiani, liberali, azionisti, socialisti, comunisti, ecc. E’ imbarazzante che la presidente del Consiglio dei ministri non riesca a spiccicare due parole di senso compiuto neanche sul merito storico della gran parte del popolo italiano, che, nel 1943, constatò il fallimento delle illusioni imperialistiche del fascismo e smise di combattere per una causa persa e sbagliata.

 

Le velleità in materia di riforme istituzionali

Molto contraddittoria appare la continua evocazione meloniana dell’idea di Nazione. Chi scrive non è insensibile al tema dell’identità nazionale (che è essenzialmente linguistica), non ne può più dell’incivile abuso di anglicismi e ritiene che dovremmo imitare ciò che fanno francesi e spagnoli per tutelare le loro belle lingue nazionali. Ma è quanto meno perplesso quando sente ossessivamente ripetere la parola “Nazione” dalla presidente del Consiglio, cioè dalla stessa persona che ha firmato un disegno di legge con il quale si vorrebbero istituire 20 sistemi scolastici regionali. Da circa un trentennio, il nazionalsecessionismo del centrodestra è l’ossimoro più comico della politica italiana. Nella stessa coalizione convivono, per evidenti ragioni di potere, i nazionalisti post-missini e i secessionisti della lega. Le loro posizioni sull’articolazione territoriale della Repubblica italiana divergono insanabilmente. Senza il coinvolgimento delle opposizioni, o di una parte di esse, il centrodestra non riuscirà mai ad individuare un punto di equilibrio tra nazionalisti post-missini e secessionisti leghisti. E l’unico punto di equilibrio possibile, se non si passa al modello dell’unico ente intermedio tra Stato e Comuni, non può che prevedere una maggiore autonomia alle Regioni bilanciata dal ritorno sotto l’esclusiva competenza statale quantomeno delle materie dell’istruzione, dell’energia, del commercio estero, delle grandi reti di trasporto e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Parlare di radioso futuro della Nazione, come spesso fa la presidente del Consiglio, è alquanto inopportuno se si avalla il desiderio leghista di avere venti sistemi scolastici regionali e si hanno le idee molto confuse sull’assetto delle autonomie.

Grande è la confusione anche sotto il cielo delle altre riforme istituzionali. Se ne parla da più di quarant’anni, senza riuscire a risolvere gli altri due problemi di fondo del nostro ordinamento: due assemblee legislative con compiti identici e governi fragili perché non protetti nemmeno dalle più insignificanti imboscate parlamentari. Solo Meloni e i suoi Fratelli possono brandire l’elezione diretta del presidente della Repubblica come soluzione di due problemi da essa totalmente avulsi. Anche per procedere alla necessaria abolizione di una delle due Camere e al rafforzamento dell’esecutivo, il centrodestra nazionale non andrà da nessuna parte senza il sostegno di almeno una parte delle opposizioni.

 

Le vere emergenze sociali che NON saranno affrontate

Altro tema su cui insiste il centrodestra nazionale è il contrasto del calo demografico. Bene, si tratta di un problema serissimo per affrontare il quale non basta il semplice aumento degli importi dell’assegno unico universale. Bisogna intervenire sulle cause vere ed economiche del calo demografico, riducendo la precarietà sul lavoro e aggredendo la perdita del potere d’acquisto dei salari. Uno strumento sicuramente efficace sarebbe una buona legge sul salario minimo. Il centrodestra non l’approverà mai. Lo si deduce dalle parole molto bizzarre usate dalla presidente del Consiglio per “motivare” la sua contrarietà ad un provvedimento assolutamente necessario. Il disinteresse verso le difficoltà economiche di molti italiani risulta poi irritante con la criminalizzazione dei percettori del reddito di cittadinanza. La sua istituzione non fu impeccabile. Il reddito di cittadinanza si presta ad abusi e truffe da limitare col ritorno al reddito d’inclusione varato dal governo Gentiloni. Il sostegno alle persone non occupabili, perseguito dal reddito d'inclusione, va distinto dalle politiche attive del lavoro. Sovrapponendo le due finalità, si consentono gli odiosi abusi di cui abbiamo spesso notizia. In ogni caso, i percettori del reddito di cittadinanza sono in prevalenza persone non occupabili, nei cui confronti l'attuale governo ha fatto partire una demagogica caccia all’untore, che fa passare per approfittatore chi spesso non lo è, poiché è solo una persona in una situazione di quasi indigenza!

 

La vile e continua ricerca di capri espiatori

Uno dei primi atti del governo Meloni è stato il decreto legge contro i raduni illegali. Su quel decreto è stata anche chiesta e ottenuta la fiducia parlamentare. Si è intervenuti in materia di libertà individuali per decreto e con la fiducia. E’ stata pertanto fatta una doppia forzatura della normale procedura di approvazione delle leggi. Qualche lieve modifica della precedente normativa era auspicabile, ma il brutale intervento su alcuni articoli del codice penale ha oggettivamente compresso la libertà del Parlamento nel trovare la soluzione tecnicamente più idonea. Si è forzata la mano per creare la falsa emergenza dei raduni di drogati e per accanirsi contro un facile capro espiatorio.

E’ lo stesso copione del caso Cospito. Ci si inventa la falsa emergenza dell’attacco anarchico allo Stato per accanirsi contro un terrorista anarchico, che, per inciso, non è responsabile di alcun omicidio. Si chiama in causa la “sacra” difesa del regime carcerario previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, non messo in discussione dalle principali forze di opposizione, per trasformare Cospito in un capro espiatorio e per dare il suo scalpo in pasto agli elettori italiani più sadici e vendicativi. Col suo sadismo, il governo Meloni rischia di trasformare l’anarchico Cospito in un nuovo Bobby Sands, l’attivista nordirlandese che si lasciò morire di fame in un carcere britannico nel 1981. L’inutile crudeltà usata da Margaret Thatcher verso Bobby Sands lo ha trasformato in un mito capace di motivare generazioni di militanti ancora oggi molto determinati ad unificare le due Irlande. Un politico saggio dovrebbe evitare di regalare alla minuscola eversione anarchica un’arma motivazionale così potente. Purtroppo, la saggezza sembra non albergare nelle teste di chi sta volutamente puntando a far degenerare la situazione, magari per invocare poi leggi speciali e nuove restrizioni delle libertà individuali.

L’indiscriminata criminalizzazione dei percettori del reddito di cittadinanza, la brutalità esibita contro pochi raduni illegali e la possibile degenerazione del caso Cospito sono accomunate da un chiaro desiderio di ricerca di capri espiatori su cui indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica, distraendola dai problemi veri su cui il governo balbetta e inizia pure a sbandare.

 

Basta poco per far cambiare il vento

Le sopra descritte debolezze del governo Meloni preoccupano coloro che lo sostengono più di quanto diano ad intendere. D’altronde, il consenso popolare al centrodestra è ancora alto e nulla lascia presagire un cambio di verso. Sono soprattutto le divisioni tra le opposizioni ad alimentare la fiducia popolare nel governo. L’italiano medio non intravede un’alternativa e ha le sue ragioni. Le opposizioni, infatti, si stanno solo beccando tra di loro come i capponi di Renzo. Il PD, poi, è pure in letargo da 5 mesi, in attesa di trovare un nuovo segretario. Il risultato delle elezioni regionali del 12 e 13 febbraio rende ineludibile la ricerca di punti d’intesa tra oppositori che siano seriamente intenzionati a costruire un’alternativa al centrodestra nazionale. E’ difficile scorgere oggi una loro volontà di elaborazione di proposte comuni. Eppure è quasi intuitivo il primo tema su cui iniziare a convergere. Una buona proposta di legge sul salario minimo potrebbe essere messa unitariamente a punto dalle tre opposizioni per fermare la perdita del potere d’acquisto dei salari registrata nell’ultimo quindicennio. Si può iniziare da un tema molto concreto e condiviso da molta parte dell’opinione pubblica. Potrebbe essere il primo passo per costruire un percorso comune e un programma alternativo ispirato dai bisogni reali di quella larga fascia di popolazione economicamente in difficoltà. Ecco, si può ripartire da qui, dall’ascolto del disagio sociale, anziché dalle pelose astrattezze del politicamente corretto, per iniziare a far cambiare la direzione del vento che oggi gonfia le vele del governo in carica.

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