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Terremoti, una voce fuori dal coro

Quando c’è bisogno di miracoli, Dio è assente, li fanno i pompieri e le persone generose che rischiano la vita per gli altri.

“Non si muove foglia che Dio non voglia” questo il ritornello, somministrato dai preti alla credulità popolare, quando fa comodo, ma ignorato quando una evidente volontà divina dietro una catastrofe significherebbe un Dio sadico e malefico.

Un altro “miracolo laico e della ragione” che mi piacerebbe vedere sarebbe quello di consegnare ad ogni nucleo familiare che ha perduto la casa una somma di cinquecentomila euro, sufficienti ad abbandonare subito quella zona sismica e a comprare un pezzo di terra su cui costruire una casa, privatamente e con tutte le agevolazioni burocratiche del caso.

Altrimenti assisteremo alla calata degli avvoltoi sugli appalti della rimozione delle macerie, dei restauri dei beni culturali, e della ricostruzione, che inghiottiranno somme enormi e lasceranno per anni quella povera gete senza casa.

Naturalmente so che le disgrazie di molti sono una splendida opportunità per pochi, e dunque la cosa non si farà, invocando magari la probabile distruzione della identità culturale e la volontà delle persone di restare.

Mi piacerebbe chiedere agli sfollati se è ragionevole continuare a vivere in una zona gelida d’inverno, torrida d’estate, sismica, dove si è perso qualche parente, o scegliere un contributo dello Stato della entità che ho indicato e fare fagotto.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.96) 10 aprile 2009 19:08

    Concordo pienamente. Siamo almeno in due a sperare in quel miracolo laico e della ragione. Lo pensavo proprio ieri, consegnare il denaro a chi ha perso la casa per consentirgli di poterla acquistare o riedificare dove vuole, e poter ricominciare a vivere da subito, evitando che si consumino ignobili speculazioni e attese dell’ordine di lustri.
    Capisco il perché la popolazione colpita dal terremoto non voglia abbandonare quei luoghi; senz’altro non nell’immediatezza, soprattutto se sotto le macerie c’è rimasto un congiunto. Una diaspora inoltre spegnerebbe i riflettori sul problema, che verrebbe presto dimenticato; ma superato questo momento, nel quale anche l’unione dà la forza, che senso avrebbe rimanere accampati per anni in un luogo di distruzione e di morte, soprattutto avendo la possibilità di ricominciare altrove?
    La soluzione prospettata è logica, semplice e rispettosa delle persone, alle quali verrebbe restituito il diritto di scegliere del loro futuro nell’immediato; e se andiamo a fare i conti magari viene fuori che è anche più economica della ricostruzione (nel senso che la spesa sarebbe coperta). Chissà cosa ne pensano i diretti interessati.

  • Di mauro bonaccorso (---.---.---.249) 10 aprile 2009 20:46
     
    La proposta è ragionevole e proprio per questo non si attuerà. Fornire a chiunque abbia i requisiti il necessario per ricominciare una vita nuova, senza chiedere in cambio “qualcosa” è proprio sinonimo di emancipazione che un paese fondato sul do ut des non può permettersi, pena la rottura del vincolo di sudditanza tanto utile a chi “governa” come sta facendo.
    Un saluto
    Mauro
     

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