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1° maggio alla Scala: questo concerto non s’ha da fare

Il 1° maggio è stato scelto come data inaugurale dell'Expo 2015. Per festeggiare l'evento, si è deciso di organizzare un concerto alla Scala, la Turandot, non tenendo in alcuna considerazione il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici di festeggiare la giornata internazionale dei lavoratori.

Il NOSTRO diritto alla festa, al ricordo, alla lotta dovrebbe dunque piegarsi dinanzi al LORO diritto ad indossare gioielli, capi firmati e ad ascoltare buona musica. I lavoratori e le lavoratrici della Scala sono in prima linea nella battaglia contro il capitale. Lo sono loro malgrado, perché a causa dell’Expo tutto ciò che accade è sotto milioni di riflettori, sotto una lente di ingrandimento che non lascia via di scampo. Quanti di noi, quante lavoratrici e quanti lavoratori abbiamo incontrato nel corso degli anni costretti a lavorare il 1 maggio, in piccole e grandi realtà!

Oggi accade però che alla Scala si stia producendo una resistenza dei lavoratori. Non si tratta di soldi. Le offerte della controparte possono sembrare generose, ma tradiscono una visione che considera monetizzabile ogni cosa ed ogni diritto. I lavoratori e le lavoratrici della Scala, seppur non all’unanimità, per ora si stanno opponendo a questo scambio. Il nostro riposo, le nostre feste, sono più importanti del denaro, anche in una situazione di crisi sociale dilagante, in cui gli extra fanno sempre molto piacere.
Le file del nemico si stanno stringendo. Dal governo, dalle istituzioni e da molti cosiddetti addetti ai lavori si dice che i lavoratori stanno mettendo a repentaglio il “prestigio” dell’Italia: “siamo pronti a tutto per evitare una figuraccia internazionale" laddove il primo maggio ci dovesse essere "una qualche minoranza che pensa di poter bloccare" il concerto. Così si è espresso il premier Matteo Renzi, e “pronti a tutto” significa nel migliore dei casi la precettazione, oppure, con la benedizione del Jobs Act, magari un bel licenziamento di massa. O ancora meglio, si coglie la palla al balzo per varare l'ennesima legge che limiti il diritto di sciopero.

Tanto come nel Titanic, anche se la nave affonda l'orchestra deve continuare a suonare.
Per parte sua, poi, il sindacato sta cercando di riportare a più miti consigli gli iscritti. Insomma, il fronte nemico sta mettendo in campo l’artiglieria. È una storia che si ripete sempre in occasione dei grandi eventi. Quando ci furono le Olimpiadi a Londra, nel 2012, dipendenti della metropolitana minacciarono scioperi a causa di ritmi di lavoro che si preannunciavano particolarmente duri. Contro di loro si schierarono praticamente tutti, richiamando, anche in quel caso, il “prestigio” nazionale.

Eppure, una vittoria di questi lavoratori sarebbe molto importante per tutto il movimento dei lavoratori in questo paese. Darebbe forza e coraggio a tutte e tutti i NOSTRI, che il 1 maggio, ma anche in occasione di altri giorni festivi, la domenica in primis, sono costretti a cedere al ricatto del padrone e ad andare a lavorare. In Italia l'uso della minaccia contro chi si vuole astenere dal lavorare il 1° maggio non è una novità: i precedenti si possono riscontrare anche nel ventennio dal 1925 al 1945. Allora non possiamo che auspicare che i lavoratori facciano come Toscanini che si rifiutò di dirigere, giustappunto, la prima della Turandot davanti a Benito Mussolini.

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Di seguito pubblichiamo un intervento dei lavoratori della Scala



da: inventati.org/cortocircuito
by Scala Worker

Non lavoreremo semplicemente perché siamo lavoratori e il Primo Maggio è la nostra festa comandata. Giornata di fratellanza universale, devozione e appartenenza a una storia condivisa da milioni e milioni di lavoratori in tutto il mondo da generazioni. Ideale che si oppone a una razionalità strumentale che considera l’economia il valore determinante di una società, e la sola funzione di un individuo/lavoratore quella di garantirne un tranquillo e ininterrotto funzionamento. Ideale che né si vende né si tratta (anche perché non consideriamo giusto contrattare o scambiare qualcosa che non appartiene solo a noi ma a tutti).
Non lavoreremo perché crediamo nei legami di solidarietà che trasformano le scelte individuali in scelte collettive; nel lavoro come strumento d’emancipazione e partecipazione sociale. Soprattutto oggi, che il lavoro è tornato a essere una merce comprata al minor prezzo e a minor tutele possibili sul mercato; che nella nuova alfabetizzazione servile i diritti si chiamano privilegi, infangando la memoria di chi per questi diritti ha lottato, s’è sacrificato, è andato in prigione, ha dato la vita. Diritti collettivamente conquistati a duro prezzo, di conseguenza a duro prezzo collettivamente da difendere.
Non il nostro diritto individuale, stabilito da una sentenza del 2005 della Corte di Cassazione, di stare a casa pagati, ma di tutti i lavoratori in egual modo.
A chi ci chiede – tutti! – di lavorare in nome dell’Expo, evento eccezionale bla, bla, bla, poiché così agendo danneggeremmo l’immagine del paese, noi rispondiamo che la colpa è di chi ha voluto fissare l’inizio dell’Esposizione Universale in un giorno festivo per legge in plateale spregio della storia del movimento operaio, con l’avallo di sindacati complici del lavoro gratis e interinale. E poi quale immagine dovremmo tutelare? A fronte di quanto accaduto in questi anni, tra inchieste, appalti manovrati da sistemi mafiosi, arresti per turbativa d’asta, azzeramenti del CdA, fino alla nomina di Cantone a presidente del comitato anticorruzione nel giugno 2014, a soli 11 mesi dall’inaugurazione, l’immagine di Expo è terrificante a causa dei danni inflitti dai suoi protagonisti.
Al sindaco che qualche giorno fa ci ha chiesto una riflessione ulteriore, rispondiamo che noi è più di un anno che riflettiamo e facciamo comunicati dicendo che per noi la Turandot può andare pacificamente in scena il 2 maggio.
A Paolo Puglisi segretario generale di Slc Cgil Milano, che propone di dedicare la rappresentazione ai morti sul lavoro, proprio al fine di valorizzare la festa del primo maggio rispondiamo che l’unico modo di valorizzare la festa del Primo Maggio è non lavorare, nel totale rispetto della sua natura e storia, che la CGIL dovrebbe avere ben nota (basta leggere “Storia del Primo Maggio” a prefazione di Luciano Lama per curare l’amnesia). A Puglisi diciamo che è meschino e squallido fare beneficenza sulla pelle degli altri. Meschino e squallido fare demagogia sulle morti bianche per comandarci al lavoro. Davvero una strana concezione del sindacato quella secondo cui chi dovrebbe rappresentare l’interesse dei lavoratori si schiera non solo contro la loro volontà, ma contro la propria storia, quella del Primo Maggio socialista e comunista.
C’è un modo semplice per giungere a un accordo. La Direzione sposti la data della prima di Turandot al 2 maggio, Tanto più che l’inaugurazione di Expo 2015 non è – né è mai stata – il 1° maggio, ma il 30 aprile, con il concerto Andrea Bocelli. Ma se insiste a perseverare nella perniciosa richiesta, il problema è tutto suo. Direzione che in questa vicenda aveva prima negato che si dovesse lavorare il 1° maggio (con il vecchio Sovrintendente Lissner), quindi con Pereira ha tergiversato, per poi infine mettere tutti davanti al fatto compiuto.

Credo non ci sia molto da aggiungere, se non buon Primo Maggio di festa a tutti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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