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La globalizzazione colpisce ancora

Leggo da un documento di una Ong, GRAIN (Genetic Resources Action International) con sede a Barcellona, del nuovo fenomeno che vede Stati, fondi speculativi, multinazionali acquistare o affittare milioni di ettari di terreno ad uso agricolo nei paesi poveri.

I primi Stati sono Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti.

Gli Stati bersaglio sono: Madagascar, Brasile, Cambogia, Mozambico, Sud Africa, Kazakistan, Queeslan, Filippine, Sudan, Pakistan, Indonesia, Ucraina, Russia, Nigeria, Africa sub-sahariana.

Non essendoci, in molti di questi paesi, catasti terreni che certificano la proprietà della terra, milioni di contadini, che da sempre vivono di quella terra, saranno espropriati e condannati nella migliore delle ipotesi a manovalanza nelle nuove monoculture (probabilmente anche transgeniche).

Il fenomeno, mascherato grottescamente da “cooperazione allo sviluppo agricolo”, che prevede che i nuovi “colonizzatori” aprano strade e ferrovie, per portarsi via il bottino, ci impone di fare delle riflessioni che mettano qualche punto fermo senza il quale nessuna strategia di controinformazione è possibile.

La prima certezza è che il cibo già scarseggia e i ricchi mettono le mani avanti, fregandosene altamente della loro adesione alla FAO, che certifica che vi sono già 920 milioni di persone che soffrono la fame, pensando solo ad avere cibo per le loro popolazioni. La certezza assoluta è che questo fenomeno toglierà ai poveri per dare ai ricchi.

Questa corsa speculativa globale ad accaparrarsi terreni agricoli ha l’unico pregio di trasformare in fatto (facendo piazza pulita delle gratuite opinioni dei negazionisti che parlano di sostenibilità infinita) le conclusioni di molti scienziati che le risorse agricole, i banchi di pesce, l’acqua potabile, non sono più sufficienti per quasi 7 miliardi di persone, e già consumiamo più di quanto la natura può riprodurre.

Di fronte a questo fatto, invece di investire ogni dollaro per far diminuire le bocche da sfamare, ecco la brutale ed egoistica risposta del solito capitalismo, che pensa così di riuscire a sfamare le sue popolazioni fregandosene altamente del fatto che lo farà alle spalle di quelli che sono già affamati.

Da questa situazione leggiamo con chiarezza che il nostro insistere sulla SOSTENIBILITA’ di ogni nazione, che deve cercare rigorosamente un equilibrio fra le proprie risorse e il numero di bocche da sfamare, è l’unico principio valido. Nemmeno un metro di terra deve essere venduto,e devono essere immediatamente avviate campagne massicce di contenimento delle nascite tramite uso massiccio dei presidi anticoncezionali e tassazione pesante del secondo figlio.

L’UNICO MODO per uscire dalla spirale del sottosviluppo è diminuire le bocche da sfamare, questa è l’unica battaglia progressista, che mette fuori gioco gli alleati di ferro, i due compari storici: capitalisti e preti (di tutte le religioni), che invece vogliono che le cose continuino così.

Tutti coloro che da decenni, a vario titolo, si sono occupati di “aiuti” ai paesi poveri, nonostante tutti questi impegni non abbiano risolto assolutamente i problemi, se non sono in malafede, dovrebbero dedurre che l’unica strada da seguire è la decrescita demografica e che i primi nemici di questo programma sono quei pazzi vestiti di bianco che vanno a raccontare che l’uso del preservativo è peccato, anzi aggrava i problemi.

Mettersi su questo terreno significa anche poter prevenire le ulteriori ondate migratorie che inevitabilmente si abbatteranno sui paesi ricchi, quando il riscaldamento globale e le desertificazioni dispiegheranno i loro effetti, ma questa è materia per persone razionali, e purtroppo le madri dei deficienti sono sempre incinte.

Colonialisti e preti sono responsabili della situazione attuale, e hanno fallito.

E’ ora di far prevalere il rivoluzionario programma della sostenibilità, dell’autosufficienza energetica (con le rinnovabili) ed alimentare per ogni nazione (Italia compresa, dove la sostenibilità possibile è di 30 milioni di abitanti, come nei primi anni del ‘900).

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