Per
quanto mi riguarda non troverei nulla di scandaloso nell’eliminazione
delle primarie aperte agli esterni per l’elezione del segretario di
un partito.
Detto
questo, se nessun esterno può pretendere di partecipare alla vita
interna di un partito, è pur vero che un partito, nella sua
autonomia, può però decidere di far partecipare gli esterni alla
sua vita interna e quindi anche alle sue primarie (per varie ragioni,
perché crede così, a torto o ragione, di allargare i consensi o più
semplicemente per rimpinguare le casse con la richiesta di un obolo).
Che
poi ci sia il rischio che gli elettori dei partiti dello schieramento
A, approfittando delle primarie aperte, eleggano il leader di un
partito dello schieramento B e addirittura il candidato premier dello
stesso schieramento B, beh, questo è innegabile, anche se fino
adesso questo rischio è stato sventato (anche in questo caso se un
partito ritiene che il rischio di ’entrismo’ sia più basso della
probabilità di allargare i consensi concedendo il diritto di voto
anche ai non iscritti, non vedo perché tale diritto esso non
dovrebbe poter riconoscere).
Ma
il punto che volevo toccare nel mio intervento è un altro.
Le
primarie che hanno eletto Bersani segretario del Pd nel 2009 non
hanno coinvolto solo gli iscritti. Ora, i dirigenti del Pd che (e non
sono pochi), pur nulla avendo obiettato su quel tipo di meccanismo,
oggi lo contestano solo perché, è mia convinzione, potrebbe portare
all’elezione di una persona sgradita danno prova, a mio avviso, di
disonestà intellettuale e di come siano intenzionati a difendere la
validità delle regole solo fino a quando queste possano garantire
esiti a loro favorevoli.