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su Lombardia: Ambrosoli non commemora Andreotti che del padre disse: "Se l'andava cercando"


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7 maggio 2013 20:10

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Ambrosoli è rimasto vittima della sua onestà e del suo zelo professionale.

La lettera inviata alla moglie (febbraio 75) dimostra, senza alcun dubbio, che era del tutto consapevole del tipo di pericolo a cui si era esposto nell’accettare la nomina (5 mesi prima) di Commissario Fallimentare della B.P.I di M.Sindona.
Si legge, tra l’altro, l’invito rivolto alla moglie a fare “qualunque cosa succeda” quello che “sapeva di dover fare” per allevare i figli. Mentre Le diceva che “sarà una vita dura” era convinto che lei avrebbe fatto il suo dovere “costi quel che costi”.
Continuò quindi per altri 4 anni a svolgere il compito.

La sera prima di sottoscrivere un atto formale per il Tribunale (luglio 79), rientrando a casa, fu assassinato da un killer appostato all’ingresso. Mandante risultò essere quel Sindona che, condannato all’ergastolo (marzo 86), morirà avvelenato dal caffè bevuto in carcere 2 giorni dopo l’arresto. Lo stesso che non era stato “estraneo” alla fine del banchiere Calvi trovato impiccato (giugno 82) sotto un ponte di Londra.

Da precisare.
Ambrosoli avrebbe potuto, in qualsiasi momento, rinunciare all’incarico. Se non l’ha mai fatto è stato per una sua precisa scelta “personale”.
Non va perciò assimilato a quei “servitori” dello Stato che mettono a rischio la propria incolumità nell’assolvere i loro normali doveri.
Ancora.
L’espressione a cui è ricorso Andreotti è tanto di largo uso quanto “inopportuna” se riferita ad una vita soppressa.
Non si può negare che Ambrosoli fosse più che consapevole delle prevedibili “nefaste” conseguenze a cui si esponeva.
Come non può essere attribuito ad Andreotti un giudizio “riduttivo”, né tanto meno “offensivo”, della dedizione e dello zelo di Ambrosoli.
Tacitare lo spirito critico è rischiare di essere Travolti dalle Informazioni


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