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Commento di Diana De Caprio

su Testamento biologico: tra etica e diritto


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Diana De Caprio Diana De Caprio 6 aprile 2011 12:38

 

Obbligo a vivere, diritto a morire

Sono seduta vicino alla finestra. Guardo fuori. C’è il sole, peccato però che non riesco a sentire il suo calore sulla mia pelle. Sono giorni che non posso liberarmi da quella sensazione di freddo addosso. Viene da dentro e mi ha invaso. Mi appoggio al muro della stanza e ti guardo. Il freddo aumenta e il mio corpo non smette di tremare. Pareti bianche, lenzuola bianche, il tuo viso pallido e ancora più bianco. Un unico rumore spezza quel silenzio irreale. Il suono delle macchine che ti tengono attaccata alla vita.

Ho perso il conto dei giorni. Quanto è passato? Un mese, un anno? Che importa. Il tempo scandisce solo il mio dolore. E si è fermato per me a quel maledetto giorno. Quando un camion per la pioggia sbanda e travolge la tua macchina. Tu resti schiacciata. Ci vogliono ore per liberati dalle lamiere. Dicono che sembravi già morta. Ma invece respiravi, seppure debolmente. La corsa in ospedale e la diagnosi brutale dei medici. Non c’è nulla da fare per te. E’ probabile che non supererai neanche la notte. Quelle parole si confondono nella mia testa insieme alla sirena dell’ambulanza che ti ha portato lì. Assurdo. Ti avevo sentito al cellulare appena un quarto d’ora prima. E poi ho ricevuto dalla polizia la maledetta telefonata che mi diceva di te.

 

Da allora sono passate molte notti. Tu non ti sei mai risvegliata e i dottori continuano a non darmi speranze. Morte celebrale, dicono. Per loro tu non ci sei già più.

E per me? Non lo so neanche io. Non puoi parlarmi, non puoi guardarmi, non puoi stringere la mia mano.

Però io posso parlarti. Posso guardarti ancora. E posso toccarti.

Mi chiedo se sia giusto tenerti così. Lo faccio perché io non riesco ancora a farmene una ragione o perché davvero ho ancora la speranza che tu possa risvegliarti?

Prego, certo. Solo un miracolo forse potrebbe riportarti da me.

 

Apro il giornale e inizio a leggere tutto d’un fiato.

“Torna alla ribalta l’annosa questione del testamento biologico. La legge che dovrà regolamentarne l’applicazione è, infatti, in discussione alla Camera e sebbene nel nostro Paese otto italiani su dieci siano favorevoli al testamento biologico, il governo sembra più propenso a far approvare una norma che obbliga all’agonia infinita. 

La nuova norma esclude, infatti, la possibilità della libera scelta e di autodeterminazione dell’individuo (definita fondamentale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 438 del 2008), privando le dichiarazioni del soggetto di qualsiasi potere vincolante e vanificando così le “dichiarazioni anticipate di trattamento”, uno strumento questo la cui introduzione formale prevista dalla legge viene immediatamente svuotata di qualsiasi potere.

Negando inoltre il diritto a rifiutare trattamenti come l’alimentazione e l’idratazione forzata ed escludendone il valore terapeutico, la legge sostituisce alla libera scelta del soggetto l’obbligo a vivere.

Al contrario, spetterà al medico l’ultima parola. Egli dovrà farsi dunque carico non solo delle enormi responsabilità che derivano dal potere decisionale che gli viene attribuito, ma anche di importanti rischi sul piano penale che senz’altro contribuiranno ad influenzarlo nelle scelte inducendolo a pesare ogni passo. “

Obbligo a vivere, diritto a morire. Una scelta? E qual è quella giusta da fare? Chi può dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato?

Ti guardo ancora una volta. Vorrei tanto sapere tu cosa vorresti. Perché alla fine penso che solo tu avresti davvero il diritto di scegliere. E’ la tua vita, non la mia. Ma tu non puoi farlo. Chissà se hai coscienza di qualcosa.

Arriverà il momento in cui qualcuno dovrà farlo per te. Decidere se lasciarti in quel letto e continuare a sperare oppure staccare una spina e lasciarti andare. Mi ricordo che spesso ne abbiamo parlato e ci siamo soffermati sulla considerazione che forse non sempre vale la regola che si deve vivere sempre e nonostante tutto. La vita deve avere una dignità, un senso. Per me quel senso ora è averti ancora qui con me, ma per te qual è?

Non lo so cosa farò. Non so se avrò il coraggio di rinunciare a te. O se troverò la forza di essere Dio per un istante.

L’unica cosa che chiedo è la libertà di poter decidere. Non voglio giudizi, critiche o pareri. Al mio posto ognuno di voi – se mai si troverà davanti a questo bivio (cosa che non auguro) – potrà agire come meglio crede.

Per ora lasciate che io resti sola in quella stanza con lei.

 


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