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Autoinganni "democratici"

Il prof. Luciano Canfora filologo,umanista e storico dell’Università di Bari, ha fatto un’ampia recensione, per il Corriere della Sera del 29 giugno 2009, del volume di Massimo Salvadori “Democrazia senza democrazia”, edito da Laterza.

Salvadori scrive: “La democrazia è venuta ad assumere il carattere di un sistema che ha riconsegnato per aspetti cruciali il potere a nuove oligarchie,le quali detengono le leve di decisioni che, mentre influiscono in maniera determinante sulla vita collettiva, sono sottratte a qualsiasi efficace controllo da parte delle istituzioni democratiche”. E subito dopo: “Si tratta sia di quelle oligarchie che, titolari di grandi poteri, privi di legittimazione democratica, dominano l’economia globalizzata, hanno nelle loro mani molta parte delle reti d’informazione e le pongono al servizio degli interessi propri e dei loro amici politici; sia delle oligarchie di partito che in nome del popolo operano incessantemente per mobilitare e manovrare quest’ultimo secondo i loro intenti; sia dei governi che tendono programmaticamente a indebolire il peso dei parlamenti (….) e soggiacciono all’influenza del potere finanziario e industriale, diventandone in molti casi i diretti portavoce e gli strumenti”.
Quest’analisi della crisi di molte forme della democrazia moderna e contemporanea è condivisibile. Ed il prof. Canfora sostanzialmente la condivide ed approva.
 
Giunto al punto,però, di dover decidere se cantare il de profundis ai modelli otto-novecenteschi di democrazia basati sulle oligarchie, il prof. Canfora avverte il rischio dell’autoinganno, dell’illusione ed auspica per il futuro della democrazia che “il lavoro, semmai, si sposti sempre più sul piano scientifico e culturale” e dai luoghi di formazione vengano fuori nuove élite, le quali legittimamente aspirino alla direzione delle società avanzate e sempre meno siano disposte a porre la loro intelligenza al servizio di poteri egoistici ed autoreferenziali. E propone come modelli, per formare le nuove élite, Adriano Olivetti come esempio recente e il filosofo Platone come antecedente remoto. Il rimando è giusto.
 
Infatti l’impegno politico, che Platone considerò un dovere legato alla sua stessa professione di filosofo, si inserisce appunto nell’arco di diversi e talora contrastanti interessi. La crisi della democrazia ateniese, l’irrequietezza di una società lacerata da antagonismi di gruppi spiegano la sua opera di riformatore politico. I meschini e disgutosi intrighi dei politicanti, i drammatici avvenimenti di cui fu spettatore e infine la rovina della patria acuirono indubbiamente in lui il desiderio di uno Stato più giusto, regolato dalla ragione. Nella Repubblica egli formulò i principi di una radicale riforma, la visione di uno Stato inteso come totalità organica dei cittadini, configurando un ideale politico che rispondeva ad un’esigenza morale e che doveva pertanto tradursi in strutture difficilmente conciliabili con la realtà e con la concreta situazione storica. Il confronto tra lo schema di governo progettato e le condizioni del reale riuscì senza dubbio deludente, e dovette pertanto dar luogo ad una fase di ripensamento, di cui sono frutto il Politico e le Leggi, che attestano una maggiore consapevolezza della complessa natura del reale. Ivi la funzione dell’uomo politico è determinata con un certo rigore; l’attività politica si prospetta come un’attività specifica, fondata su una particolare scienza o cognizione.
 
Però in conclusione, anche se consideriamo utile ed opportuno, per formare nuove generazioni di politici, rifarci a Platone o a qualunque altro grande riformatore o teorico dell’attività politica, l’esercizio dell’azione politica rimarrà sempre appannaggio di élite o oligarchie.
 
Allora il problema si riduce non alla scelta tra democrazia o non democrazia, ma tra buona e cattiva democrazia. La differenza la fanno la virtus politica , il senso dello stato e del bene comune che dimostreranno quelle minoranze, chiamate a dirigere la cosa pubblica, nella effettiva e concreta azione di governo. E la vera democrazia consisterà non solo in un estrinseco e complesso apparato di forme statuali, ma soprattutto nell’incessante, aspra opera quotidiana di creazione di libertà e di benessere per tutti.
 
E avremo contemporaneamente evitato pericolosi autoinganni “democratici”

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