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Welfare: tecnocrati vs economisti

Un commento alle parole proferite da Monti davanti all'assemblea dell'ABI è doveroso. A tamburo battente abbiamo sentito il commento di Susanna Camusso che ha fatto giustamente notare innanzittutto la lontananza nel tempo della fatidica "concertazione" criticata da Monti e in secondo luogo il peso esercitato dal contesto (l'ABI) dentro cui Monti ha esternato il suo attacco. Sullo stesso registro aggiungerei che il riferimento fatto da Monti a Berlusconi suona come una excusatio di quest'ultimo, povero capo di governo, umiliato per colpa degli effetti della concertazione. Monti ha così dimenticato che Berlusconi aveva tenuto lontano dai suoi governi la concertazione (ben servito da Sacconi e Brunetta) e che lo stesso ha avuto immense responsabilità nello stato di sfascio in cui si ritrova l'Italia.

"Parol dal sen fuggite..." rivelano l'intrinseca "ideologia" montiana, che, contrariamente a quanto dichiarato, si discosta di tanto dal sano conservatorismo della Destra storica risorgimentale.

Cadono, queste parole, su una società piegata dalla crisi e dalla recessione, duplicate con provvedimenti, quelli del governo Monti, assolutamente parziali sul piano dell'equità sociale.

Parole che, associate ad altre dichiarazioni sparse ad arte qua e là e sapientemente edulcorate da altre, inneggianti alla capacità di rivalsa dell'Italia, mettono in evidenza un programma condiviso con l'establishment tecnocratico dell'Eurogruppo che mira alla rimozione del Welfare State. Nell'ottica di questo establishment, il Welfare State fa tutt'uno con la dottrina economica di Keynes, considerata ormai come fortemente "datata", remora ed ostacolo per il superamento della crisi.

Gli schieramenti sono ormai chiari: da una parte tecnocrati fiduciosi, in maniera cieca, dell'ingegneria finanziaria - si deve notare il modo in cui Monti "accarezza" continuamente il mercato, che per lui è la Borsa -, dall'altra economisti come Fitoussi, Roubini e Krugman (per citare i principali) che ripetutamente ritornano sui passaggi fondamentali della grande crisi del 1929 (anni 1933 e 1937) per suggerire un nuovo New Deal.

Per i tecnocrati i soggetti sono le pedine finanziarie (ESM, MSP, Spread) che dettano le regole a cui spetta risanare l'economia, ed è l'economia a prevalere decisamente sulla politica; gli oggetti sono invece gli Stati (come pedine) e i popoli intesi come fedeli esecutori (servi).

Per gli economisti i soggetti sono le democrazie che riconoscono il primato dei popoli (sovranità popolare) senza nessuna delega in bianco all'economia che, invece, conserva la classica accezione di nomos dell'oikos (quest'ultima si può declinare in maniera consona alla Globalizzazione senza scadere nel localismo).

Il Welfare State, come argomentato da diverse parti, s'inserisce nell'evoluzione della democrazia, "marca" lo stadio avanzato della democrazia matura, in grado di governare l'economia secondo i principi dell'utilità sociale.

Val la pena di soffermarsi sullo spessore del concetto di "benessere" incluso nel Welfare, per sottolineare la ricca gamma di diritti civili e sociali, che costituiscono il corredo irrinunciabile della cittadinanza della seconda metà del xx secolo.

Dietro le quinte si è assistito ad un tentativo subdolo - la cosiddetta logica della "biopolitica" indagata da M. Foucault - di svuotare il cittadino in maniera indolore della sua titolarità democratica (rimanendo qui all'accezione classica e quindi "piena" di civis della polis). L'attacco, per buona parte, è stato respinto.

Così il Welfare è diventato, per via dialettica, il sostrato della cittadinanza, da cui non è consentito recedere dato che sarebbe come togliere via il nostro humus, sul quale va edificata la latitudine cosmopolita e multiculturale dell'uomo moderno.

Nelle pieghe di questo discorso generale, va articolata la differenza tra un Welfare organicamente applicato, tipico dei paesi del nord Europa, e il Welfare stentato e frammentario che la politica dell'ostruzionismo e dei mille compromessi ha reso possibile in Italia. La differenza mi sembra che inviti noi italiani ad esigere di più e meglio dalle scelte politiche e non ad accettare la rinuncia allo stato sociale e la sottomissione ai diktat.

Spostando l'attenzione all'orizzonte europeo, la prova di forza che è in corso, deciderà l'Europa di domani: un'Europa federata con il lievito della democrazia (dentro la quale, come si è visto, il Welfare è complemento necessario) o un' Europa arroccata nella cittadella fortificata delle grandi potenze sovrane, abile manovatrice di un'ingegneria economico-finanziaria.

Ultima nota è la concertazione che tanto scandalizza gli "ottimati", tra cui si può allineare Monti, i quali vanno ben distinti da coloro che avversano la concertazione per pura convenienza di parte (Berlusconi ed altri pseudo-imprenditori). La concertazione rappresenta il "sale" del metodo democratico. Non significa altro che creare l'opportunità affinché ogni componente sociale possa esprimere le proprie istanze e realizzarle attraverso il confronto dialettico in maniera armoniosa.

Dovrebbe essere un momento indispensabile nella pianificazione economica di un Paese.

Ma l'Italia ha un piano economico?!

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