Venezia – Al Teatro Malibran, Il Bajazet di Antonio Vivaldi
Il lavoro della Fenice di riscoperta della produzione operistica di Antonio Vivaldi, dopo Dorilla in Tempe (2019), Farnace (2021), Griselda (2022) e Orlando furioso (2018, 2023), si arricchisce di un nuovo titolo, Bajazet (Il Tamerlano), dramma per musica in tre atti su libretto di Agostino Piovene ispirato alla figura del potente sultano dell’impero ottomano Bajazet e del condottiero mongolo Tamerlano.
Il nuovo allestimento, nelle mani di due specialisti di questo repertorio e vale a dire il direttore Federico Maria Sardelli, alla testa dell’Orchestra del Teatro La Fenice e il regista Fabio Ceresa ha suscitato qualche perplessità sul versante registico.
Ceresa, appellandosi al ricorso della forma del ‘pasticcio’ per la realizzazione musicale del libretto da parte del Prete Rosso, decide egli stesso di crearne uno registico: i recitativi sono interpretati dai cantanti in costume neutro, come nel corso di una prova, espediente del “teatro nel teatro”, mentre le arie vengono cantate dagli stessi all’interno di siparietti che si aprono, talvolta come il diaframma di apparecchio fotografico, dietro la postazione dei recitativi, ma in contesti completamente avulsi dalla narrazione di Agostino Piovene.
Queste scene sono di grande effetto, ma c’è da chiedersi perché rappresentare un’opera la cui regia non apporta niente al lavoro di librettista e compositore che, pur nella forma di “pasticcio”, scrive un’opera coerente tanto da renderla un capolavoro ancora sulle scene.
La scelta creativa di realizzare, come sostiene il regista Fabio Ceresa, «venticinque numeri musicali, venticinque siparietti tutti diversi tra loro, venticinque opere liriche formato mignon» rende inintelligibile la storia perché le arie essendo completamente decontestualizzate non possono assolvere alla loro funzione di epifonema del recitativo in quanto completamente a sè stanti.
Tra gli ultimi “siparietti” in una Londra dickensiana, notturna e avvolta dallo smog Irene canta “Son tortorella”. E’ una prostituta che, con altre, esercita sulla strada la professione. Gratuito e inutilmente volgare il gesto che il regista le fa fare per sottolineare l’alternarsi dei clienti. Ritegno, buon gusto e pudore sono valori che decretano il senso del limite, non moralismi.
Il risultato complessivo comunque è esteticamente bello, lo spettacolo crea la sorpresa e lo stupore richiesti e previsti nel teatro barocco grazie alle meravigliose scene di Massimo Checchetto, alle luci sapienti di Fabio Barettin, ai costumi di Giuseppe Palella, al video design di Sergio Metalli.
Sul versante musicale lo spettacolo offre un esito interpretativo che coinvolge e convince.
Federico Maria Sardelli alla testa dell’Orchestra del Teatro La Fenice si conferma specialista di Vivaldi e del teatro barocco regalandoci un’interpretazione asciutta e attenta al nitore delle forme e del suono in cui la sobrietà di gusto ne caratterizza la finezza.
Il cast vocale è risultato perfettamente all’altezza. Il baritono Renato Dolcini ha interpretato Bajazet con voce timbrata e fraseggio incisivo, mentre il contralto Sonia Prina ha dato voce e corpo al Tamerlano, ruolo impegnativo punteggiato di passaggi virtuosistici ed agilità. Il mezzosoprano Loriana Castellano è stata una credibilissima Asteria: ha sfoggiato un’eccellente gestione della colonna del fiato in tutta la gamma dei suoni, dosando sapientemente i gradienti del colore. Il controtenore Raffaele Pe regala il giusto carattere alla figura di Andronico con la sua voce che rifulge limpida e pura. Lucia Cirillo, Irene, dà il meglio di sé nell’intensa aria “Sposa son disprezzata”. Ottima anche a prova del soprano Valeria La Grotta, nel ruolo di Idaspe.
Pubblico soddisfatto, applausi, qualche obiezione rivolta alla regia.
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