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Usa 2009: Obama al verde

Il 20 gennaio si insedia ufficialmente alla Casa Bianca. Ma per Barak Obama non ci sarà nessuna luna di miele. Affrontare la crisi finanziaria e la recessione e contemporaemante i tanti punti sospesi in politica estera. Con l’estrema destra cristiana fondamentalista che non concederà nessuna tregua.

Il 2009 sarà l’anno di Obama, che si insedierà ufficialmente alla Casa bianca il 20 gennaio, ma anche l’anno “nero” della crisi economica. Tutti gli analisti prevedono lacrime e sangue: recessione, ondate di nuova disoccupazione, calo esponenziale della produzione industriale. Il nuovo governo democratico dovrà affrontare una serie di nodi interni che richiederanno un profondo ripensamento nell’intervento del settore pubblico sul mercato del lavoro, sul sostegno alle industrie e sul sistema sanitario e pensionistico. La crisi economica e occupazionale che ha colpito la superpotenza sta già producendo i suoi effetti, e Obama si troverà ad affrontare anche l’ideologismo ultraliberista che gli ha messo i bastoni fra le ruote per quanto riguarda le sovvenzioni pubbliche al settore automobilistico. 

Il mondo si aspetta anche, e soprattutto, una profonda riconsiderazione delle strategie di politica estera ereditate dall’amministrazione Bush. Cominciando dal Medio Oriente dove più alte sono le aspettative della comunità internazionale. La novità, almeno stando a quanto dichiarato dal neopresidente in campagna elettorale, non riguarderà tanto il conflitto arabo-israeliano quanto il rapporto con la Siria. Sono però in molti a temere che i problemi interni terranno Obama lontano dalla palude mediorientale. È invece sull’Iraq e l’Afghanistan che si misurerà la capacità della nuova amministrazione. Il presidente entrante ha dichiarato che ritirerà le truppe dall’Iraq, ma contemporaneamente ha chiamato Hillary Clinton come segretario di Stato, lei che aveva votato per l’intervento in Iraq (anche se poi ha “riaggiustato il tiro”).


La partita vera si giocherà in Afghanistan, dove la missione è in difficoltà. Non a caso Obama chiederà agli europei aiuto proprio in questa e in altre zone calde, come il Darfur. E questo nuovo atteggiamento potrebbe rappresentare un ritorno al multilateralismo internazionale. I rapporti con la Russia sono tesi come non mai dopo il crollo del muro di Berlino: questo è il regalo più “avvelenato” che Bush ha lasciato al suo successore. Al centro del contendere la questione dello scudo spaziale e del dispiegamento militare Usa nei Paesi dell’ex patto di Varsavia. Ma non c’è solo lo scudo: sul tavolo trovano spazio anche la questione energetica e la politica, aggressiva, del governo russo e della Gazprom.

L’impressione generale è che Obama, nonostante il consenso elettorale, non potrà contare sulla tradizionale “luna di miele”, i cento giorni di sospensione di giudizio da parte della politica e dei media, sulla quale hanno potuto contare i suoi predecessori. Troppe forze sono pronte a fare muro alla trasformazione promessa dal neopresidente, in particolare il settore ultraliberista dell’industria e della finanza e la destra repubblicana tendenzialmente fondamentalista. La scommessa del nuovo capo di Stato è cambiare profondamente le politiche sociali e pubbliche senza arrivare a uno scontro diretto con queste forze. A facilitargli il compito la maggioranza democratica al Senato e al Congresso. Ma potrebbe non bastare. 

left n°52 2008

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