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Una sinistra operaia e sciovinista per fermare la destra?

Pubblichiamo la traduzione di un interessante articolo della ricercatrice e attivista spagnola, Nuria Alabao, che fa il punto sul tema dei migranti e delle migrazioni, oggi decisivo per l’intera sinistra sul continente europeo, nelle sue diverse declinazioni.

Un tema non considerato soltanto dal pur necessario versante umanitario, ma anche nella dimensione strategicamente centrale per la costruzione di un “nuovo movimento operaio”, meticcio, multirazziale, internazionale e internazionalista, e per contrastare efficacemente la crescita di consensi di cui sta beneficiando la destra estrema e radicale in tutta Europa.

In tal senso, l’autrice produce una critica non superficiale né scontata alla sinistra sovranista e, soprattutto, nazionalista in Francia e Germania, paesi in cui essa ha una presenza e una rappresentatività, anche sul piano europeo, ben maggiore che in altri paesi europei. Questa sinistra sta sposando l’ordine del discorso politico imposto dall’estrema destra con l’illusione di recuperare i consensi elettorali di una classe lavoratrice attratta dalle sirene xenofobe, quando non apertamente razziste. La chiusura delle frontiere e la selettività nell’accoglienza agli immigrati, ritenuti corresponsabili, volenti o nolenti, dell’abbassamento delle condizioni salariali e lavorative, sono parte integrante e prominente di questo orientamento politico.

Si tratta di un ordine del discorso perdente e che finisce per favorire proprio quella destra estrema che si pretenderebbe combattere, oltre ad affondare le sue origini sociali in un settore di classe lavoratrice in via di profondo mutamento, quando non di marginalizzazione (la vecchia “aristocrazia operaia” di leniniana memoria, oggi sempre più assottigliata e invecchiata).

Si tratta, inoltre, di un orientamento non nuovo a un settore di sinistra, storicamente maggioritario in Europa, la cui progressiva “nazionalizzazione” aveva fatto smarrire i residui riferimenti all’internazionalismo, sovente più una petizione di principio che un asse strategico e una concreta pratica politica.

Lo sciovinismo, per quanto declinato a “sinistra”, è dunque un potente fattore di divisione della classe lavoratrice, di intensificazione della sua concorrenza interna e di rafforzamento di specifiche frazioni di classi dominanti.

Di converso, un orientamento coerentemente internazionalista, che preveda l’apertura delle frontiere, la libertà di movimento, l’autorganizzazione sociale della componente immigrata della classe, e la generalizzazione dei diritti sociali e civili, non può che produrre un consolidamento dell’unità e della forza dei lavoratori e delle lavoratrici, autoctoni e immigrati, in grado di sfidare concretamente il Capitale nella sua fase di dominanza finanziaria.

È di questo che, anche in Italia, dovremmo discutere.

 

da Sinistra Anticapitalista

In Germania nasce “In Piedi”, un movimento che sostiene voler recuperare gli elettori della classe lavoratrice andati verso l’AfD. Ma è valida la strategia di razzializzazione della classe come via per ottenere successi elettorali?

di Nuria Alabao

Nonostante la propaganda dell’estrema destra quest’estate, la Spagna è ancora un paese in cui l’immigrazione non costituisce una preoccupazione importante per i suoi abitanti, come si è dimostrato inchiesta dopo inchiesta, sebbene Rivera sostenga il contrario. Sicuramente, non ha la rilevanza che ha assunto in altri paesi europei, compresa la vicina Italia. In questi paesi, l’estrema destra, che occupi posizioni di governo o no, detta l’agenda su questo tema, trascinandosi dietro l’intero arco politico. Sembra che gli attori politici non abbiano altra scelta se non posizionandosi costantemente intorno a un campo di significanti seminato dagli oltranzisti, e di cui questi raccolgono i frutti. È però certo che questo tema sta dimostrando una capacità brutale di articolare paure e una sensazione di insicurezza di classi lavoratrici e medie impoverite che stanno attraversando una crisi sistemica ancora irrisolta.

In paesi come la Francia o la Germania stanno agendo anche posizioni di partiti progressisti o che chiamiamo molto genericamente “sinistra”. Jean-Luc Mélenchon, ad esempio, difende i lavoratori autoctoni nei confronti di quelli stranieri, insistendo che l’immigrazione non regolata è uno strumento nelle mani del capitale globale. In realtà, questa posizione non è nuova ma legata ai discorsi tradizionali di una parte del mondo sindacale francese[1], ben anteriori alla leadership di Marine Le Pen al suo rinnovamento del Front National, ora Rassemblement National. Nello sciovinismo operaista di Mélenchon si combina una rivendicazione di maggior sovranità nazionale al cospetto di istituzioni europee allineate agli interessi della finanza e una certa nostalgia del passato, per un alquanto idealizzato Stato sociale del dopoguerra, quando i nemici avevano contorni più definiti e sembrano più facili da affrontare da parte di sindacati forti. Tutto ciò non è solo definitivamente passato, ma non tornerà più, per quanto si insista a porre l’attenzione sui migranti, che ben poca responsabilità hanno nel tramonto del patto tra capitale e lavoro precedente alla deregolamentazione neoliberista.

Il rinnovato protezionismo dei lavoratori

In Germania si è in questi giorni aperto il dibattito con la presentazione di Aufstehen (In Piedi), una piattaforma guidata da Sarah Wagenknecht, deputata della Linke, il partito situato più a sinistra nell’arco parlamentare. Questo movimento, che si definisce populista e ispirato alla France Insoumise di Mélenchon e al Momentum di Jeremy Corbyn, vorrebbe agglutinare membri di diversi partiti progressisti, della stessa Linke, ma anche della socialdemocratica SPD e dei Verdi. La proposta si concentra su uno spazio di confluenza che ha l’obiettivo di riconquistare gli elettori disincantati, compresi quelli che hanno finito per sostenere la destra estrema dell’Alternativa per la Germania (AfD), con particolare attenzione a quelli della vecchia Germania Est, curiosamente il posto in cui c’è meno pressione migratoria, come spesso accade con l’estrema destra.

Per la Wagenknecht e i suoi alleati, nel contesto della globalizzazione, i salariati e gli operai manifatturieri, non hanno solo peggiorato le proprie condizioni di lavoro, ma si sentono anche minacciati nella loro identità a causa della crescita dell’immigrazione. La deputata tedesca sostiene che la sinistra ha ceduto troppo alle posizioni della classe media urbana favorevole alla globalizzazione, dimenticandosi dei perdenti, di quelli che occorre recuperare con politiche redistributive, fino a giungere a un certo “sciovinismo del Welfare”. In tal modo, la sua proposta non comprende solo politiche socialdemocratiche, che oggi hanno un sapore di radicalismo, come l’aumento dei salari, il rafforzamento dello Stato sociale o una maggior progressività nelle imposte, ma anche l’uso del nazionalismo, un tabù nelle sinistre tedesche, e la regolazione dell’immigrazione in una riedizione dell’argomento dei migranti come mano d’opera a basso costo importata dal capitale.

Ovviamente, è imprescindibile competere con l’estrema destra con un progetto politico credibile per gli elettori della classe lavoratrice che hanno smesso di sostenere alternative progressiste, in un paese in cui molte delle riforme neoliberiste sono state applicate dalla socialdemocrazia. Tuttavia, questa proposta può essere letta come un ulteriore avanzamento dell’estrema destra. Forse un giorno qualcuno dell’AfD potrà dire che la sua “migliore opera” sarà stata Sarah Wagenknecht e la nuova sinistra sovranista tedesca. Presupporre che il dibattito pubblico sulla giustizia sociale e la redistribuzione debba giocarsi nell’arena della chiusura delle frontiere implica una sconfitta. Significa accettare l’incapacità di ricollocare in primo luogo un conflitto forte contro le élite del capitalismo finanziario, in una dinamica anche populista di quelli in basso contro quelli in alto, invece di assumere il mondo alla rovescia di quelli che dirottano il malessere sociale sui migranti.

Per quanto Paolo Casado[2]si possa impegnare, non sono i migranti a minacciare lo Stato sociale. Questa idea dello “sciovinismo del Welfare” è in via di sperimentazione sia dal Front National che da una parte dell’estrema destra europea, che si stanno spostando da un programma liberista a uno di difesa della spesa pubblica[3], in grado di garantire un miglio risultato alle urne (l’Europa non sono gli Stati Uniti. Qui un Trump non potrebbe conquistare una Rust Belt francese, come se fossero i Grandi Laghi, con la promessa di meno Stato). La sinistra che si sposta verso il sovranismo delle frontiere potrebbe scoprire che l’estrema destra le abbia divorato la sua posizione di difesa del pubblico. E chi preferirebbero gli elettori così infiammati da sentimenti nazionalisti e rancore nei confronti dello straniero? Probabilmente chi sia in grado di condurre tutto ciò fino alle estreme conseguenze.

Perciò, una riedizione operaista del “prima i tedeschi” non sembra il miglior modo di fermare il fascismo. La scommessa di uno scontro della piattaforma di Wagenknecht con i postulati ufficiali della Linke, che difende una politica generosa e aperturista sia con i migranti che con i rifugiati, ha anche una chiave di lettura interna. Anche qui c’è una strategia per assumere il controllo della Linke, la cui base respinge chiaramente queste posizioni [della Wagenknecht, n.d.t.] e preferisce strategie di demarcazione più movimentiste e conflittuali. Come spiega Miguel Sanz su Viento Sur[4], l’orientamento politico del partito è più incline ai movimenti sociali antifascisti che si sono sviluppati in reazione all’AfD e in sostegno ai rifugiati, mobilitandosi anche per altre cause: movimento con autentico potere sociale e riluttanti a proposte populiste promosse dall’alto da personaggi mediatici come la Wagenknecht. Questa figura appare più interessata a campagne gestite da scintillanti squadre di comunicatori professionisti che a costruire organizzazione o reti dal basso, in grado di costituirsi come contrappesi dalla capacità di limitare il potere di leader dal carattere populista, di cui lei rappresenta un buon esempio.

I media e i leader carismatici possono essere strumenti, ma non ci sono scorciatoie se si vuole essere una forza sociale in grado di fermare l’estrema destra. È sempre più facile apparire in televisione o accodarsi con il potere in auto di rappresentanza, ma non esistono scorciatoie per coloro che intendono scontrarsi con i poteri economici e sociali reali.

Chiudere le frontiere migliora la vita della classe lavoratrice?

Sin dallo scoppio della crisi, sappiamo che il capitalismo finanziario non necessariamente è contro lo stato-nazione. Vuole solo che lavori per i suoi obiettivi. Una piena sovranità nazionale è oggi una finzione. Inoltre, le restrizioni all’immigrazione non risolvono le questioni economiche più importanti, la globalizzazione, la finanziarizzazione, l’austerità, né le battaglia centrali delle lotte per l’emancipazione: una maggior redistribuzione di reddito e potere. Come dice David Lizoain in Fin del Primer Mundo[5], discriminazione di classe e razza sono in relazione fra loro. Il nemico degli operai non sono gli immigrati, ma chi detiene il potere. Per evitare che frazioni diverse di classe lavoratrice si scontrino fra loro, occorre rivendicare più diritti, non meno. Ciò che abbassa il prezzo della forza-lavoro è la mancanza di protezione sociale, che la obbliga ad accettare lavoro a condizioni peggiori. Una cosa che ben sa chi elabora le leggi sull’immigrazione e chi le subisce, come le lavoratrici domestiche, la maggioranza delle quali sono latinoamericane, o gli immigrati che lavorano in agricoltura.

La sinistra europea dovrebbe abbandonare queste strategie di razzializzazione della classe come via al successo elettorale e cominciare ad attaccare senza reticenze né concessioni i miti sull’immigrazione. Non basta dire che il discorso progressista è impopolare o difficile da spiegare. Ci sono argomenti a sufficienza: gli immigrati sono necessari in una demografia in decadenza, tra l’altro perché pagano le tasse, stimolano la crescita e sostengono lo Stato sociale. Però occorrerebbe anche smetterla di guardare ai migranti in modo paternalista e capire che sono una forza sociale straordinaria con cui bisogna allearsi per ridurre le possibilità dell’estrema destra. Si tratta di sostenere la loro autorganizzazione affinché possano dispiegare il proprio potere. Quanti più diritti hanno, compreso quello di partecipazione politica, tante meno possibilità avrà il fascismo. Insieme dobbiamo sfidare senza concessioni quelli che stanno in alto, i loro paradisi fiscali e i loro privilegi, ed esigere di colpire i redditi da capitale, le vere minacce allo Stato sociale.

È qui che risiede l’unica sovranità possibile per quelli che stanno in basso. Non quella delle frontiere, ma quella di classe. Di una classe che non è un dato, che si costruisce sempre nelle sue lotte e che è multinazionale e multirazziale da almeno mezzo secolo in Europa. (In Spagna, anche la povertà è meticcia da moltissimo tempo. Lo si può osservare quotidianamente nei quartieri popolari). Coloro che parlano di classe come qualcosa di fisso, di cui si ergono a interpreti, i Mélenchon, le Wagenknecht e compagnia, la usano spesso per difendere settori corporativi che garantiscono la loro quota di potere. La classe si costruisce nella lotta, e quelle che verranno dovranno con forza recuperare il suo carattere antifascista, cioè, porre al centro le questioni migratorie e di razza insieme agli altri esclusi dai benefici della globalizzazione. Il femminismo giocherà un ruolo di primo piano, perché anche i diritti delle donne, e dei binari e dei non eterosessuali, sono minacciati dall’estrema destra. Il compito da realizzare per le forze progressiste sarà difendere e ampliare i diritti di tutti.

È l’unico modo di confrontarsi realmente con il fascismo.

 

(articolo originariamente pubblicato su http://ctxt.es/es/20180905/Firmas/21545/fascismo-ultraderecha-nacionalismos-die-linke-Aufstehen-melenchon-lepen-nuria-alabao.htm)

Trad. di Antonello Zecca

Dell’operazione della Wagenknecht avevamo già parlato sul sito: Germania | Il progetto di Wagenknecht: un nuovo movimento?

[1]https://www.youtube.com/watch?v=ZWsE8kFt0Wk&feature=youtu.be - Nel 1980 l’allora segretario del PCF, George Marchais, sosteneva che occorresse fermare l’immigrazione… [n.d.t.]

[2]Pablo Casado è presidente del Partito Popolare spagnolo dal 21 luglio 2018 (n.d.t.)

[3]https://politikon.es/2018/04/02/inmigracion-chovinismo-del-bienestar-y-apoyo-a-los-partidos-radicales-de-derechas-en-europa/ (un’ampia disamina delle posizioni dei diversi partiti di estrema destra in Europa, riguardo allo Stato sociale) [n.d.t.]

[4]https://www.vientosur.info/spip.php?article14125

[5]https://www.catarata.org/libro/el-fin-del-primer-mundo_79818/

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di gerardo lisco (---.---.---.37) 11 settembre 2018 10:34

    La critica che fa la Alabao è priva di qualsiasi fondamento. Non va oltre l’accusa di rossobrunismo rivolto a quella parte della sinistra che pensa di recuperare categorie come sovranità, patria e nazione in chiave democratica e sociale. Ciò che sostiene è l’esempio della sinistra critica funzionale al sistema capitalista dominante. Pensa di essere contro il razzismo e lo sfruttamento ed invece asseconda e sostiene i processi di espulsione di masse di essere umani dalle proprie terre e dalle proprie comunità In quanto afferma è implicita l’idea che il modello occidentale neoliberale è l’unico possibile. Gli altri modelli culturali, economici e sociali, frutto di secoli di storia e di visione del mondo, non sono accettabili perchè nessuno di essi è in linea con i principi liberal democratici occidentali. Dimentica come ha evidenziato Sen che esiste anche una democrazia degli altri. La classe operaia multiculturale e multirazziale della quale parla presuppone l’accettazione tout court dei valori occidentali e non sono, almeno nel contesto attuale, quelli della solidarietà, dell’appartenenza ad una comunità, della responsabilità verso la comunità di appartenenza che può essere anche la classe sociale. Il modello culturale neoliberale, che trae origine direttamente dalla cotestazione "artistica" del 68 - una attenta lettura degli studi di Boltanski aiuterebbe la sig.ra a capire la realtà, esalta l’individuo, lo stato di classe regolatore, l’idea che ciascuno individuo debba essere imprenditore di se stesso e non certamente della solidarietà di classe o della solidarietà tra appartenenti alla stessa comunità. Ignora volutamente che il riconoscersi in una data classe sociale non è solo l’essere legati a un determinato sistema produttivo, è soprattutto un fatto culturale. Si è classe operaia perchè si è consapevoli di esserlo. La sinistra, della quale mi sento culturalmente di far parte, che recupera la sovranità nazionale e perfino il nazionalismo economico nel senso di de Cecco noto destrsorso, si pone come obiettivo la riconquista del Governo dello Stato e per poterlo fare non deve assecondare le spinte identitarie e minoritarie - farebbe bene a leggere Mark Lilla - individualiste deve essere in grado di esprimere una visione nazionale. A negoziare e a sottoscrivere trattati sono i governi degli Stati - Nazione e non certamente minuscole entità come sono anche le grandi città come Barcellona o Napoli. Se gli Stati nazionali guidati da governi funzionali agli interessi oligarchici non hanno la forza sufficiente per trattare con gli oligopoli figurasi cosa può fare una città per quanto grande. Al contempo non possono essere entità sovranazionali come l’UE ad opporsi al modello neoliberale e agli interessi che esso rappresenta. Non bisogna mai dimenticare che tra gli obiettivi del Trattato di Maastricht c’è la destrutturazione degli Stati nazionali c’è il potenziamento delle regioni. Non a caso l’idea di una UE dei popoli e il diritto alla secessione sia una tesi sostenuta da filosofi di destra: Buchanan, Miglio e in modo diverso de Benoist. L’internazionalismo operaio non ha nulla a che vedere con la globalizzazione, con i no border e il cosmopolitismo. Sono cose completamente diverse ed alternative tra di loro. Il cosmopolitismo ossia la globalizzazione e i no border sono solo l’altra faccia dell’idea che ha come unico fine la riduzione di ogni relazione al mercato. I no border sono implicitamente razzisti. Lo sono quando sul piano economico giustificano l’accoglienza con le pensioni che non possono essere pagate o la mancanza di braccia per la raccolta di pomodori. Gli USA è una dei maggiori Paesi agricoli eppure impiega solo il 3% di manodopera in agricoltura. A costoro sfugge che anche in agricoltura ci sono tecnologie labor saving. La verità è che si preferisce importare manodopera sottopagata perchè data la globalizzazione la maggior parte delle imprese agricole non sono in grado di ammortizzare l’investimento tecnologico iniziale. In aggiunto a questo aspetto bisogna riflettere su un altro dato e cioè che i movimenti migratori, sottolineo migratori, assecondano la logica capitalista che affida al mercato la soluzione delle crisi. Il mercato ragiona secondo la logica del mercato per cui assecondare i fenomeni migratori vuol dire assecondare gli interessi dei ceti dominanti occidentali alleati con quelle dei Paesi di provenienza dei Paesi dai quali traggono origine i flussi migratori. La sig,ra in questione farebbe bene a leggere attentamente Samir Amin. In conclusione di destra e rossobruna non è la Sinistra che recupera Sovranità, Patria e Costituzione ma le Sinistre critica e storica ormai parte integrante della narrazione neoliberale. 

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