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Una famiglia, di Sebastiano Riso

'Woman is the nigger of the world' (John Lennon 1972): questa frase viene in mente guardando, e soffrendone, il film Una Famiglia, il viso stesso di Micaela Ramazzotti esprime sofferenza. Nessuna traccia di innamoramento – come dice qualche recensione - per il suo uomo, interpretato dal francese Patrick Bruel (personaggio spregiudicato e calcolatore, l'attore è nei fatti un buon giocatore di poker), quanto piuttosto sottomissione, devozione, ubbidienza e dipendenza da lui, con tratti solo occasionali di ribellione. Questa donna è stata dal suo compagno, e per sua volontà stessa, trasformata in “fattrice”, un corpo riproduttivo, fabbrica bambini da rivendere dopo il parto, 40-80000€ alla volta e han fatto l'impresa. Un'impresa usurante però, dove non c'è da arricchirsi, e dove infine Micaela s'interroga sulla 'ragione sociale', chiede al partner perché non potrebbero essere in tre (Una Famiglia), finalmente le è nato il desiderio che il bambino partorito sia suo e non più estraneo dato ad estranei. Il parto su commissione, nulla di desiderato, voluto, naturale; l'atto sessuale quasi a cottimo, violento come la violenza contenuta in tutto il film. Sfornare bambini per rivenderli come oggetti (quasi) pregiati. Ma per Patrick l'impresa deve continuare, le toglie violentemente la spirale che lei si era lasciata introdurre segretamente da un medico, affarista di qst traffici pure lui. Anzi, se la partner ora è sfiorita ed esausta, lui ne cerca una più giovane, raccolta dalla strada, a cui promettere un'altra vita: la ragazza gli ha chiesto quale sarebbe st'altra vita e la risposta è nell'inquadratura successiva di Micaela lasciata sola, chiusa in casa e col parto sopraggiunto.

 

L'idea del film il giovane regista Sebastiano Riso e i suoi sceneggiatori l'hanno tratta da un fatto vero, una coppia di Mondragone che avrebbe venduto 11 figli durante anni. Un mondo orribile vi è disegnato, il film racconta una vicenda disumana, sconvolgente. La fine del film fa esalare un sospiro liberatorio, liberatorio della realtà che vi è raccontata. In un'intervista Riso – che di recente, dopo il film, ha subito un'aggressione presumibilmente omofoba nell'androne di casa sua a Catania – sostiene che questa è una storia che doveva raccontare; il film, è detto, attribuisce la responsabilità allo Stato perché, complice l'interferenza della Chiesa, mette gli omosessuali nella posizione di considerare qualcosa di illegale. Se Riso sentiva che il film “doveva” farlo, gli spettatori dovrebbero vederlo, per prendere coscienza di un mondo poco conosciuto ai più. Pecca solo in qualche inquadratura stilistica, troppo studiata e in qualche dialogo incomprensibile a chi non sente bene le basse frequenze. Il film ha la presenza di vari volti noti del cinema italiano: Ennio Fantastichini, Pippo Delbono, Marco Leonardi, Gaetano Bruno. Speriamo che sia consentito a tutti, single e coppie di fatto, di adottare, una parvenza di famiglia a un bambino dà molto di più di una vita in solitudine. Più buio della mezzanotte (primo film di Riso) non può fare.

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