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Una domanda scomoda sul nuovo caso Kyenge

La ministro dell'Integrazione è finita al centro di un nuovo caso che richiama al razzismo, ha suscitato l'interesse di molta stampa internazionale.

È stata una notizia molto discussa nel nostro Paese, quella della pubblicazione dei prossimi appuntamenti istituzionali della ministro Cécile Kyenge da parte del quotidiano della Lega, La Padania. Il giornale, sostenuto dal partito, si è difeso insistendo che quelle segnalate erano informazioni di pubblico dominio, riportate anche sul sito del Ministero - dell'Integrazione - e che in fin dei conti, era diritto di tutti criticare l'operato di un ministro. 

La questione ha aperto ampie discussioni, con accuse di razzismo nei confronti dei leghisti e delle rubriche da circo del suo organo di informazione - inutile poi girarci intorno con ipocrisia, il contesto di fondo era quello che tutti conosciamo, giustificando ampiamente il processo alle intenzioni di quella che vorrebbero farci passare come una semplice "rubrica" di un'agenda pubblica. 
 
Il mondo ci guarda: abbastanza incuriosito. E credo che la questione che sollevi di più la curiosità degli altri paesi, riguarda l'assenza nel nostro sentimento nazionale del benché minimo spirito di multiculturalismo. Ancora, nel 2014. 
 
Tanto che il Washington Post, per scriverne, ha dovuto raccontare un po' la storia, spiegando che la Ministro: «si è guadagnata l'ira della Lega promettendo di cambiare le politiche di immigrazione e cittadinanza restrittive in Italia e sostenendo che gli immigrati sono una risorsa di cui l'Italia ha bisogno e non un peso o una minaccia per la sicurezza».
 
Chi ha probabilmente centrato di più il punto, è stato il quotidiano spagnolo El Pais: scrivendo che gli attacchi della Lega a Kyenge «hanno a che fare con il colore della sua pelle, ma rappresentano anche una chiara strategia del partito nazionalista per le elezioni europee del prossimo maggio» - non a caso il neo segretario Salvini giorni fa ha incontrato Marine Le Pen, estrema destra francese, per individuare un percorso comune per le prossime europee.
 
Il tedesco Die Wielt ha calcato la mano, parlando addirittura di «stalking».
 
Invece da riportare per ampliare il ragionamento, laddove si ferma l'aspetto più epidermico della vicenda, c'è un'interessante considerazioni che arriva dall'Italia. Filippo Facci su Libero (qui via il Post) si è chiesto una cosa d'altra parte importante e basilare, soprattutto in un paese come il nostro, in cui ci si è abituati a razionalizzare il tutto con un "pro" o un "contro", tipo il tifo allo stadio, perdendo tutte le innumerevoli sfumature di grigio che separano i poli delle questioni. Non è mio interesse usare l'argomentazione di Facci per difendere la Lega - di cui poco me ne frega, e con cui non sono mai stato dolce. Il problema che si chiede Facci, però si crea: «Come si può criticare il ministro Cécile Kyenge ritenendosi legittimati a farlo?». E ancora, meglio: «Com’è possibile farlo da destra o su giornali di centrodestra?». 
 
Domande che vanno affrontate: perché io da sinistra, voglio "arrogarmi" il diritto di criticare un prossimo possibile futuro politico di colore, rappresentante delle destra, senza correre il rischio di passare da razzista. O di prendermela con quel fenomeno di Pogba, usando quella "sana" invidia da tifoso milanista verso un campione juventino che sta permettendo alla sua squadra di fare tanto bene, senza il rischio di vedermi dare due giornate di squalifica al divano di casa.
 
Nota: la questione non salva i coglioni che continuano a pensarla in un certo modo, a pubblicare nei propri profili social network immagini la cui cretineria non merita nemmeno la descrizione (tanto ci siamo capiti), e via dicendo. Anzi, si parla proprio dell'opposto.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.202) 18 gennaio 2014 17:27

    E’ vero, quanto viene affermato in chiusura di quanto sopra, criticare è possibile specialmente in lingua italiana, tutto dipende dalle parole che vengono utilizzate; purtroppo la non cultura è viva e vegeta ampiamente anche nei circoli " vip " della politica italiana, diversamente il Paese non sarebbe nella situazione in cui si trova, frutto di Parlamenti composti da eletti senza arte ne parte, da un Popolo che da quaranta anni ha preferito sempre delegare la politica a terzi, chi fossero poi i terzi, a quanto pare, non interessava ad alcuno.

     

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