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Una delle tante questioni morali

Sono tante le questioni morali da tenere vive secondo Monsignor Crociata, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana; ed una potrebbe, forse, essere quella delle responsabilità politiche della Chiesa di Roma nella Prima Repubblica. Non si sa dove Monsignor Crociata abbia svolto all’epoca il suo Ministero e, pertanto, in quali condizioni ambientali lo abbia fatto; nel Meridione le cose sono andate pressappoco così. Sin dall’immediato dopo-guerra, al centro delle vicende politiche vi era la lotta ideologica senza esclusione di colpi fra le forze cattoliche e quelle comuniste (chissà perché entrambe rivendicavano contemporaneamente piena patente di «democraticità»).

L’iniziale prevalenza della parte cattolica non rasserenò gli animi: si ricorda una certa qual aspirazione dei soccombenti alla rivalsa ad all’ipotesi di utilizzo di sonore pedatone nel sedere per scacciare dal potere gli avversari.
 
Tutta la storia politica della Prima Repubblica visse di questo aspro confronto ed a riprova quest’ultima finì con la caduta del muro di Berlino e con la dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Sovietiche.
 
E’ questo il periodo in questione, quando la Chiesa di Roma formava la classe politica italiana al potere (la controparte si formava a Mosca) selezionandola per cooptazione con il criterio che riteneva più opportuno per il suo fine. Nel Meridione tutto ciò innaffiò copiosamente e fece sviluppare in misura esponenziale la mala pianta del clientelismo. Funzionava così.
 
La nuova classe politica di cui sopra, post-fascista, per prima cosa formava la classe amministrativa, gestendo le assunzioni e le carriere nel pubblico impiego secondo il suo fine unico, che era quello del mantenimento del potere nelle varie tornate elettorali.

 
Ogni pezzo della Pubblica Amministrazione era visto per prima cosa come strumento per la ricerca del consenso attraverso i suoi dipendenti. La classe amministrativa, a sua volta, faceva la stessa cosa nell’esercizio dei poteri suoi propri amministrativi nei riguardi del cittadino/pubblico: tutto veniva fatto non per diritto e perché dovuto, ma solamente per favore amicale. Il cittadino doveva diventare cliente e, per prima cosa, procurarsi la cosiddetta raccomandazione del politico di turno, cui avrebbe poi dovuto dare il voto nelle competizioni elettorali.
 
A quest’ultimo terzo stadio le cose si erano, però, fortemente alterate ed accanto alla mala pianta del clientelismo era nata e già cresceva con vigore un’altra mala pianta, quella della corruzione: c’era concime per farle crescere entrambe.
 
Il quarto ed ultimo stadio era quello della Pubblica Amministrazione che operava jure privatorum, ossia nei contratti con imprese, fornitori e professionisti (quella di prima era la Pubblica Amministrazione che operava jure imperio). Qui le due piante avevano raggiunto enormi dimensioni e si intrecciavano saldamente l’una con l’altra.
 
Non a caso la caduta del muro di Berlino e la fine della Prima Repubblica hanno coinciso con l’avvio dell’operazione di pulizia straordinaria ad opera della Magistratura denominata «Mani Pulite» proprio in questo quarto ultimo stadio. E non a caso la Chiesa di Roma nella Seconda Repubblica non ha più formato soggetti destinati a far parte della classe politica.
 
Quale è il problema? Quali sono gli aspetti di queste vicende con cui la Chiesa di Roma non ha mai fatto i conti? Orbene, il problema è la vera e propria disintegrazione di vite umane che si è avuta sull’altare della lotta al comunismo. Prendiamo un giovane che illo tempore si affacciava al mondo del lavoro e che voleva formare una famiglia, che ricercava, insomma, dopo gli studi, la propria dignità di persona. Trovava un mondo in cui non esisteva il merito nell’accesso al pubblico impiego e nelle carriere al suo interno; in cui non esisteva il valore della professionalità nelle attività economiche; in cui non esisteva neanche la politica (quella che c’era era una sua vaga parvenza, dove l’accesso alla classe politica ed il progresso in essa erano consentiti e guidati sempre e solo da forme di cooptazione). Brevis verbis trovava un mondo dove conseguire il rispetto della dignità della propria persona era un lusso che nessuno si poteva permettere ; e tutto aveva la sua prima origine nella Chiesa di Roma e nella sua lotta contro il comunismo.

Nei quaranta anni, in cui vi è stata la Prima Repubblica, nel Meridione, quante vite umane sono state così sacrificate sull’altare di questa lotta? Quando la Chiesa di Roma avrà il coraggio da fare i conti con questo periodo della sua storia così pieno di ombre? Quando questa questione morale potrà essere considerata chiusa?

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