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Un rivoluzionario siriano racconta la sua "Primavera Araba"

In questi giorni la vecchia talpa della rivoluzione che sulle pagine dei grandi media (ma purtroppo a volte anche su quelle del Manifesto) alcuni si affrettavano a dare per finita, riappare in superfice: dalla ennesima mobilitazione in piazza Tahrir al Cairo, alla nuova sfida all’emiro del piccolissimo ma cruciale Bahrein, presidiato dall’esercito saudita e dalla flotta USA.

È una follia della sinistra ignorarla e non sostenerla, ma ricorda vecchie abitudini: sto finendo di leggere un libro sgradevole ma ben documentato di Alessandro Frigerio, Budapest 1956. La macchina del fango, Lindau, Torino 2012: ho detto «sgradevole», perché lo è per il tono e per l’interpretazione del dibattito che vi fu allora nel PCI, o per l’introduzione di Paolo Mieli, ma leggendo quegli articoli dell’Unità o di Rinascita (anzi rileggendoli, dato che quella crisi la vissi da dentro, e fu decisiva per le mie scelte future), molte volte mi è venuto in mente il modo con cui una parte della sinistra denigra oggi i processi inevitabilmente complessi e difficili che si sono sviluppati in gran parte del Maghreb e del Vicino Oriente.

Ci ritornerò recensendo il libro, ma intanto segnalo questo nuovo articolo sulla Siria pubblicato dai compagni svizzeri di Solidarietà-Ticino. Non è che una messa a punto: ne avevamo parlato già molte volte, ad esempio in Ancora sulla Siria , o Siria, la solidarietà e il no alla guerra

Antonio Moscato

 

Siria, una rivoluzione che tutti vorrebbero fermare

di Khalil Habash*

«La prima volta che abbiamo appreso che i nostri amici erano stati massacrati, si è levato un grido d’orrore. Poi ne sono stati massacrati un altro centinaio. Ma quando un migliaio è stato massacrato e che la carneficina non aveva fine, si è propagato un velo di silenzio. Quando il terrore viene come la pioggia che cade, nessuno grida «stop!».

«Quando dei crimini iniziano ad accumularsi, diventano invisibili. Quando le sofferenze diventano insopportabili le grida non sono più ascoltate. Anche le grida, allora, cadono come la pioggia in estate».

Bertold Brecht (Poemi, 1913-1958)

Queste parole risuonano oggi nel quotidiano dei Siriani e delle Siriane. Il massacro dei manifestanti da parte delle forze dei servizi di sicurezza continua malgrado l’accettazione formale del piano di Kofi Annan da parte del regime e una parte dell’opposizione rappresentata dal CNS (Consiglio Nazionale Siriano, “presieduto” da Burhan Ghalioun). Quest’ultimo è stato riconosciuto dalla “Comunità internazionale” come il rappresentante legittimo del popolo siriano in occasione della seconda conferenza degli “Amici della Siria” a Istanbul, il 31 marzo 2012. Questo riconoscimento da parte della “Comunità internazionale” è problematico in quanto una gran parte della popolazione e dell’opposizione all’interno del paese non vi si identifica e non è rappresentata all’interno del CNS.

In Siria, lontano dalle grandi dichiarazioni e conferenze internazionali, la lotta coraggiosa dei Siriani e delle Siriane continua ogni giorno di fronte alla dittatura criminale del regime. Nel paese, le manifestazioni e la resistenza continuano. La repressione continua e si accentua.

 La conferenza di Istanbul e il CNS

La conferenza di Istanbul non ha portato nulla di nuovo al popolo siriano, del resto numerosi cittadini e cittadine siriani pensano che la conferenza non abbia particolari conseguenze positive per il popolo. Durante una manifestazione a Dael, nella provincia di Deraa, si vedeva un grande cartello con scritto “Amici della conferenze della Siria. Sarà il primo d’aprile degli imbecilli?”. Un gran numero di Siriani hanno testimoniato la loro delusione per questa conferenza; fatto che traspariva già all’occasione delle precedenti.

Il presidente americano Barack Obama e il Primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan si sono pronunciati per un aiuto “non-militare” ai rivoluzionari siriani, in equipaggiamenti di comunicazione e di materiale medico, il che dimostra quanto è tiepido il sostegno americano. Loro, che sono stati così celeri, in passato, a inviare armi in tutto il mondo. Di fronte alla rivoluzione siriana e alle conseguenze non controllate e non controllabili da parte dell’amministrazione democratica e delle sue diverse forze –che sia a livello della Siria e di tutto il fragile mosaico regionale- della fine del regime di Assad, la più grande riserva è di rito alla Casa Bianca, al di la della retorica di Obama o di Hillary Clinton. È necessario ripetere la verità seguente: nessuno Stato ha interesse nella caduta del regime di Assad, o più esattamente al crollo dei pilastri dello Stato siriano: il potere del clan.

Assad ha permesso di evitare scontri con Israele durante quattro decenni, reprimendo nel contempo le forze progressiste e di opposizione che tentavano di emergere sulla scena regionale. Dal canto suo, Israele, attraverso l’intermediazione di Ehoud Barak, ha domandato a Obama e agli Stati Uniti di alleggerire la pressione sul regime siriano. Inoltre, non bisogna separare la rivoluzione siriana dagli sconvolgimenti che hanno condotto alla caduta o alla contestazione dei poteri in campo da molti anni nel Vicino e Medio Oriente. L’espressione di questi stravolgimenti, con le loro specificità, è troppo spesso ridotta, dai media, ai risultati elettorali, allorché il ciclo dei conflitti socio-politici è lungi dall’essere chiuso.

Il fallimento del CNS è evidente. Non ha saputo aiutare il popolo siriano nella sua lotta rivoluzionaria contro il regime dittatoriale di Assad. Il CNS non ha mai proposto dei mezzi o una strategia effettiva per rinforzare il movimento popolare all’interno del paese. La principale ragione è la dipendenza del CNS dai paesi occidentali imperialisti e dai loro alleati nella regione. Ne deriva che i dirigenti del CNS hanno accettato senza difficoltà il piano di Annan, imposto dai loro pretesi alleati della “comunità internazionale”, con gli Stati Uniti in testa.

Inoltre, il CNS è stato utilizzato dalla Confraternita dei Fratelli Mussulmani - che controlla il CNS con i liberali vicini agli Stati Uniti - per ricostruirsi in quanto struttura, oggi assente in Siria. Sono stati anche accusati di utilizzare i fondi del CNS, dei quali controllano la distribuzione in Siria grazie al loro dominio della commissione degli aiuti umanitari, per ricostruirsi una base popolare e militante all’interno del paese, dopo tre decenni di esilio.

Il CNS non è riuscito ad essere inclusivo e a integrare le altre componenti dell’opposizione siriana, avendo nel contempo un’attitudine autoritaria nella sua gestione degli eventi. Alla conferenza di Istanbul, il comitato di coordinamento nazionale per il cambiamento nazionale e democratico (CCNCD) - che raggruppa partiti nazionalisti arabi, kurdi e socialisti, e un piccolo gruppo costituitosi attorno all’intellettuale Michel Kilo - e la coalizione Watan che raggruppa 17 partiti di sinistra erano assenti. Un oppositore conosciuto, l’avvocato Haithaman al Maleh, si è ritirato dalla conferenza del 31 marzo fin dall’inizio. Contestava al CNS di non rispettare le altre componenti dell’opposizione, imponendo, senza discussioni preventive, il suo ordine del giorno e le sue procedure. Aveva del resto dato le sue dimissioni dal CNS il 14 marzo, unitamente a due attivisti di lunga data: Kamal al-Labwani e Catherine al-Telli.

Sono stati in seguito i kurdi del consiglio nazionale kurdo (CNK) che hanno sbattuto la porta della conferenza di Istambul, dopo aver denunciato l’assenza della questione kurda nelle sessioni e nei programmi proposti dal CNS.

La conferma di Burhan Ghalioun alla testa del CNS su nessuna base democratica è anche stato l’oggetto di dibattiti e discussioni in passato. Il mandato del professor Ghalioun è in effetti stato imposto dal movimento dei Fratelli mussulmani, soddisfatti del modo in cui Ghalioun si è avvicinato ai governi occindentali e dei paesi del Golfo e dunque degli interessi politici del movimento islamista. Egli rappresenta anche un «viso accettabile» agli occhi dell’Occidente e dei Siriani laici secondo l’ex-segretario generale dei Fratelli mussulmani siriani: Ali Sadr al-Din al-Bayanouni.

Di fronte a questa mancanza di democrazia, è stato chiesto da alcune componenti dell’establishment, in seno al CNS, che si costituisca un collegio elettorale che designi il presidente sulla base di un voto democratico. Questa opinione è in particolare difesa dall’islamista Imad al-Din al-rachid, ex decano della facoltà della Charia dell’Univesità di Damasco. Egli ha fondato il proprio gruppo, rivale dei Fratelli mussulmani: la Corrente nazionale siriana. Lo stesso discorso vale per il gruppo della Dichiarazione di Damasco, diretta dal laico Samir Nachar.

Inoltre, bisogna ricordare che esistono molti dissensi e divisioni all’interno del CNS. Non è un gruppo omogeneo. Comprende elementi che si collocano a destra come i Fratelli mussulmani, personalità legate ai paesi occidentali come Radwan Ziade e Basma Kodmani, fino alla sinistra con il Partito democratico del popolo. Uno dei risultati è stato l’accordo nato morto il 31 dicembre 2011 tra Burham Ghalioun e il CCNCD; accordo in fine rifiutato dal comitato esecutivo del CNS.

 Il piano Annan

 Il piano Annan costituisce una vittoria per il regime sotto diversi aspetti. Il piano di «uscita dalla crisi» dell’emissario, approvato dall’ONU e dalla Lega araba, prevede effettivamente un cessate il fuoco immediato, un accesso all’aiuto umanitario per le popolazioni civili, la liberazione delle persone detenute arbitrariamente, la libera circolazione dei giornalisti nel paese e l’apertura di un «dialogo» tra il potere e l’opposizione, ma il testo non domanda – ce lo si poteva aspettare - le dimissioni del presidente Assad. Inoltre, mette sullo stesso piano il regime siriano e i rivoluzionari domandando la cessazione della violenza, mentre è la repressione del regime che porta i Siriani a difendersi con le armi. Questi punti, in particolare, sono stati criticati da una grande parte dell’opposizione che vuole la partenza del clan Assad, un governo di transizione e l’elezione di un’Assemblea costituente.

Il piano Annan domanda in particolare al governo di ritirare le sue truppe e di non ricorrere più alle armi pesanti nelle zone abitate. Il che vuol dire, molto chiaramente, che il governo deve fermarsi per primo, poi discutere di una cessazione delle ostilità con «l’altro campo» e il mediatore. Intanto, il 10 aprile 2012, il regime continua i suoi massacri contro la popolazione civile, quotidianamente.

Per il regime siriano, il piano di Annan ha riconosciuto al governo il diritto di «reagire alle violenze», per riprendere la formula di Jihad Maqdisi, portavoce del ministero degli Affari esteri, che ha poi aggiunto che «la battaglia per il rovesciamento del regime dello Stato è terminata. Il nostro obiettivo è di garantire la stabilità e di creare le condizioni necessarie alle riforme e allo sviluppo della Siria, impedendo nel contempo il sabotaggio delle via delle riforme».

Il regime di Bachar el-Assad ha anche accettato la richiesta dell’ONU di accogliere un gruppo di esperti per studiare le condizioni di dispiegamento di un eventuale missione di osservatori nel paese «straziato dalle violenze». Una squadra del Dipartimento per il mantenimento della pace delle Nazioni Unite dovrebbe recarsi a Damasco per discutere del dispiegamento di osservatori per sorvegliare un cessate il fuoco in Siria, ha dichiarato Ahmad Fawzi, portavoce del mediatore internazionale Kofi Annan.

Il presidente americano Barack Obama e il suo omologo russo Dmitri Medvedev hanno del resto dichiarato il loro accordo per sostenere il piano di Kofi Annan e l’installazione a Damasco di un governo «legittimo», di cui ognuno ha una propria visione, ma che non è quella del popolo siriano che lotta per la dignità e la libertà. Dal canto loro, l’Arabia saudita, il Qatar e gli altri paesi del Golfo hanno annunciato a Istanbul che anche non armando l’Esercito libero siriano (ASL), finanzieranno i suoi combattenti e le strutture amministrative del Consiglio nazionale siriano (CNS), senza precisare come, in che modo e a che condizioni. Molte voci infondate hanno detto che l’Arabia saudita e il Qatar armavano l’ASL. Ma questo non è successo e questo esercito – o più esattamente le sue diverse componenti poco coordinate - resta insufficientemente armato e mal equipaggiato di fronte all’esercito del regime che è ben attrezzato per questo tipo di guerra contro la popolazione, anche senza tener conto della sua superiorità numerica.

 Quale approccio di fronte al piano Annan ?

 Esiste la possibilità per l’opposizione (nelle sue differenti correnti) e per il popolo siriano insorto di accettare o rifiutare questo piano? Quale sarebbe l’alternativa? Il rifiuto del piano Annan da parte dell’opposizione sarebbe sfruttato dal regime per rigettare sugli oppositori la cosiddetta continuazione delle violenze e dell’attuale massacro ben reale inflitto dagli sbirri del regime. L’accettazione del piano Annan è legata alla sua applicazione da parte del regime, il quale non è veramente degno di fiducia. Ha dimostrato in passato il suo disprezzo per tutte le iniziative che miravano a mettere un termine alla repressione sanguinaria contro il popolo siriano.

I comitati di coordinamento locale (CCL) e una gran parte dell’opposizione hanno del resto accolto con scetticismo il piano di Annan dichiarando che questo conoscerà un destino simile a quello dell’iniziativa elaborata dal Protocollo della Lega araba e dell’infame Missione di osservazione presente nel dicembre 2011. I CCL aggiungono anche che il regime ha avanzato riserve su numerose disposizioni del piano, rendendolo privo di ogni significato. Il piano Annan, infine, accorda al regime ancora del tempo per assassinare più militanti, secondo i CCL.

L’accettazione del piano Annan non significa la fine della rivoluzione o la fine della mobilitazione. I CCL hanno del resto dichiarato che i giovani militanti devono cercare di mantenere l’iniziativa nelle loro mani; continuare a sviluppare dei nuovi metodi di resistenza e mettere in campo le loro forze per mantenere «l’unità della nostra società, della nostra terra, e la nostra sovranità».

Gli altri gruppi dell’opposizione come la sinistra rivoluzionaria siriana insistono analogamente sulla continuazione della mobilitazione popolare, anche accettando il piano Annan, dato che la garanzia della sua applicazione da parte del regime, a partire dal 10 aprile, è lungi dell’essere garantita, come possiamo constatare oggi. I tank e l’esercito sono infatti sempre presenti nelle città e non si sono ancora ritirati. È necessario continuare a mantenere la pressione sul regime di Assad al fine di non lasciargli riprendere l’iniziativa sulla scena che gli ha offerto il piano Annan.

 La questione del sostegno alla rivoluzione siriana e la sinistra

 La dinamica della rivoluzione siriana è ancora mal compresa da parte di un gran numero di persone e in particolare in seno alle componenti della sinistra radicale in Europa, per non parlare dell’America latina. Concentrando l’attenzione sul CNS e la sua alleanza con i governi occidentali come Francia e Stati Uniti e con i regimi reazionari come l’Arabia saudita, non riescono a prendere in considerazione la lotta del popolo siriano per la democrazia, la giustizia sociale e per un’effettiva indipendenza, che implica una lotta contro un regime autoritario e criminale.

Questo regime non è né «anti-imperialista», né «socialista», né «laico», come pretendono alcuni. Inoltre il CNS è diventato, nei fatti, più un centro «d’informazione mediatica» e mediatizzato che un gruppo operante all’interno del paese e con un ruolo fondamentale nella mobilitazione popolare. Al contrario, è piuttosto la sua assenza a brillare. È assordante del resto lla mancanza di informazioni sulle reali forze che agiscono sul terreno: i comitati di coordinamento di cui alcuni sono molto chiaramente marcati a sinistra come i comitati di coordinamento comunisti, i raggruppamenti di giovani come Helem e Hashad, e altri ancora. Le forze politiche progressiste si ritrovano in parte nella coalizione Watan, che raggruppa 17 partiti di sinistra. Esiste in Siria una lunga tradizione di forze e correnti di sinistra. È sbagliato non prenderle in considerazione. Vanno dai comunisti a marxisti di differenti opzioni politiche, fino ai nazionalisti.

Allo stesso modo, le condanne all’ingerenza dei governi occidentali imperialisti, e della Turchia di Recep Tayyip Erdogan o dei regimi reazionari del Golfo, che vogliono piazzare lo loro pedine, per contenere il processo di rivoluzione anti-dittatoriale cooptando una parte delle forze politiche e non certo instaurare una democrazia, non hanno alcun senso se non sono accompagnate da una condanna, senza condizioni, degli interventi dei regimi iraniano e russo che sostengono il clan di Assad. Questi ultimi partecipano in effetti, in maniera diretta, alla repressione attraverso l’invio di materiale militare e di «mezzi umani» per assistere le forze di sicurezza siriane nelle loro opere criminali. Inoltre, non bisogna dimenticare la natura di questi regimi e il modo in cui trattano e opprimono le «loro» popolazioni.

È certo che non esiste in Siria un partito di massa con delle decine di migliaia di membri con concezioni socialiste rivoluzionarie. È un dato di fatto, che non è però solo della Siria! Allo stesso modo, non esiste alcun partito di massa che esprima altre tendenze politiche. Il divieto di ogni attività politica e la repressione violenta e continua di questi ultimi 40 anni hanno impedito sviluppi di questo tipo.

Questo non deve costituire un ostacolo al sostegno di questa rivoluzione. Allo stesso modo, per quanto riguarda la partecipazione a una lotta rivoluzionaria – tanto più se ricondotta nell’ambito della congiuntura politica regionale che si è aperta nel 2011 - i cui obiettivi prioritari sono la democrazia, la giustizia sociale e una vera indipendenza. Noi non scegliamo in quali condizioni si svolge una rivoluzione, come Karl Marx scriveva nel suo libro Il XVIII Brumaio: «Gli uomini fanno la loro storia da soli; ma non la fanno arbitrariamente, nelle condizioni scelte da loro: la fanno nelle condizioni date, direttamente ereditate dal passato. La tradizione di tutte le generazioni morte pesa molto gravemente sul cervello dei viventi.»

Per contro, noi dobbiamo scegliere se vogliamo essere dei soggetti attivi o degli spettatori disincantati della storia. Noi possiamo scegliere se sostenere un movimento popolare nella sua lotta coraggiosa di fronte a una dittatura criminale e autoritaria, oppure restare silenziosi di fronte a un massacro. La nostra volontà di cambiamento non potrà compiersi se non ci uniamo al movimento popolare siriano e non ci gettiamo con le nostre forze nella sua lotta eroica. E questo malgrado le apprensioni e le paure di ognuno di fronte all’avvenire, e le nostre riserve politiche e ideologiche di fronte a molti esponenti dell’opposizione. Attraverso la nostra partecipazione, noi possiamo puntare a garantire l’indipendenza del movimento popolare e gli obiettivi di una rivoluzione che nessuno vuole, se non il popolo siriano, che ha sete di libertà e di dignità.

Bertold Brecht aveva ben ragione di affermare : «Colui che combatte può perdere, ma colui che non combatte ha già perso». Sta a noi fare la scelta.

Vittoria alla rivoluzione siriana e pace ai nostri martiri!

* Khalil Habash è un militante siriano socialista-rivoluzionario.

L’articolo è apparso sul numero 8 di “Solidarietà”, quindicinale pubblicato dal Movimento per il Socialismo - Ticino (MPS- TI),

Questo articolo è stato pubblicato qui

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